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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Panettoni e biscotti: pasticceria o pasticcio stradale?

Per rimanere sempre nel campo della pasticceria, dai panettoni siamo passati ai biscotti. Cosa sono? Strutture in cubetti di porfido debolmente rialzate rispetto al fondo stradale, un po’ allungate e un po’ arrotondate. Da qui il nome. E dove metterli? Naturalmente sulla via più rettilinea e grande del nostro centro storico

Che oggi non vi siano più regole è un dato di fatto. Siamo giunti infatti ad un punto critico della nostra civiltà. Che come tutte le civiltà, la storia insegna, sta percorrendo la sua parabola discendente. Lo diceva perfino all’inizio del secolo scorso un certo Oswald Spengler, che nel suo libro “Il tramonto dell’occidente” preconizzava quello che noi ora tocchiamo con mano. Vale a dire il nostro declino. Semmai potremmo dire che questo tramonto è stato fin troppo lento: ma così è. I sintomi per chi ancora non ci crede, sono espressi dalla mancanza di idee forti, di pensieri alti, di ideali alati, perfino di vocazioni eroiche, che anche se utopici, sono in grado di stimolare le menti a credere in qualcosa. Anche se, va detto, non sempre questo qualcosa è   apportatore di benessere. In quanto dovendosi misurare con lo sconfinato egoismo dell’uomo, è causa a volte più di danni che di benefici. 

Tuttavia, rimane il fatto che una forma di fede, sia essa ideologica, civile o religiosa, è spesso utile per dare un senso e uno scopo alla vita, onde costruire una serie di valori che giusti o sbagliati, danno un’identità alle singole persone e di conseguenza anche ad un intero popolo. Generando quindi una civiltà. Ebbene noi in questa fase storica, facciamo esattamente il contrario. 
Ce lo ricorda perfino la filosofia, secondo la quale non esistono certezze e tanto meno verità. Ognuno deve un po’ arrangiarsi per trovare una soluzione al fine di dare uno scopo alla vita, così infatti ci dice la nuova tendenza culturale chiamata appunto  pensiero debole. Alias nichilismo. 

Bene, tutta questa solfa perché? Solo per parlare un po’ delle cose di casa nostra. In particolare del Codice della strada e dei suoi ammennicoli vari, che poi sono i cartelli stradali (a tanto scadiamo nel discorso) che non rappresentano più un insieme di regole o di norme da rispettare, essendo tali divieti diventati tanto elastici che  l’oggettivo è diventato soggettivo. Nel caso specifico, tutto dipende dal mezzo di locomozione. 

L’esempio è sotto gli occhi di tutti. Basta infatti inforcare una bicicletta, che il predetto codice (della strada) diventa un optional. Espressione anch’esso di quel pensiero debole che non vanta certezze nemmeno per la segnaletica stradale,  sopravvissuta di un tempo neanche troppo remoto, quando ancora il suo mancato rispetto, generava complessi di colpa e il timore per l’infrazione commessa. Perché da dietro l’angolo poteva spuntare il vigile col suo fischietto, pronto all’uso per segnalare con il temuto trillo che la legge è legge. Dunque uguale per tutti, indipendentemente dal mezzo di trasporto, piedi inclusi. Quindi non un invito, ma un obbligo. 

Oggi invece, come dicevo, è subentrato il relativismo. Basta avere una bicicletta e ti senti libero di percorrere ogni strada in qualsiasi direzione. E se capita un incidente, peggio per l’investitore, in genere un automunito colpevole a prescindere dalle ragioni e dai torti. Da questo se ne ricava almeno una constatazione. Che non tutto oggi è relativo, perché almeno un punto fermo, una eccezione esiste, vale a dire che il ciclista ha sempre ragione. A tal punto questo è vero, che per lisciarlo oltre il lecito, al posto di far rispettare i divieti, si preferisce modificare le strade, restringendole onde lasciare spazio alle piste, dette appunto ciclabili, con possibilità ad essere percorse nei due sensi di marcia. In un festoso clima di anarchia circolatoria. Tanto che quando tali piste attraversano incroci o strade che le intersecano, non esistono deroghe al loro diritto di precedenza. E sia la destra che la sinistra, un tempo espressione di tale diritto, non vengono neppure degnate di attenzione. Chiunque deve cedere il passo al mezzo biroto (mi scuso del latinismo) che vanta il privilegio di non inquinare. Oltre a quello di essere il più libero sul mercato della locomozione, il più veloce (parrà strano, ma è così) e soprattutto il  meno sottoposto a vessazioni e, tanto per restare in rima, a tassazioni, cui non possono esimersi invece sia auto che moto. 

Le strade dunque devono uniformarsi all’andazzo dei tempi e perché non suscitino nostalgie del passato, si è ricorsi, a mo’ di spiegazione, ad una rivoluzione semantica del linguaggio. Che vuol dire sostituire un gergo con un altro per far digerire un po’ la pillola del disagio circolatorio. Ecco allora comparire i panettoni, manufatti in cemento vagamente simili ai ricordati dolci natalizi, sistemati in quelle aree urbane per impedire l’accesso o il parcheggio delle auto. E poiché non sono abbastanza alti da rendersi visibili in manovra, spesso e volentieri al posto di dolcificare l’esistenza, la rendono amara. Specie quando il paraurti ammaccato dopo l’urto scatena la rabbia tipica dell’automobilista, incontrollabile perché fino a quel momento repressa da  norme punitive, atte a colpire il suo mezzo inquinante. Inquinamento che non riguarda  solo l’aria che respiriamo, ma soprattutto la mentalità ecologista, oggi imperante, da parte di quella categoria di persone che sempre a proposito del declino di cui si parlava, ambisce al ritorno ad una condizione primitiva, vagheggiata e sognata, nelle loro fantasticherie da lettori di Heidi.  

Una specie di arcadia, priva di motori e rumori, che tali buontemponi si inventano anteponendo l’illusione alla realtà. Almeno fin tanto che le cose non vengono al pettine, quando in quelle menti fanciullescamente alterate (mirabile a dirsi) la  vituperata comodità del vivere si riprende tutti i suoi diritti con tanto di interessi.  

Ebbene in tempi più recenti, per rimanere sempre nel campo della pasticceria, dai panettoni siamo passati ai biscotti. Cosa sono? Strutture in cubetti di porfido debolmente rialzate rispetto al fondo stradale, un po’ allungate e un po’ arrotondate. Da qui il nome. E dove metterli? Naturalmente sulla via più rettilinea e grande del nostro centro storico che conserva ancora la vecchia denominazione di Stradone Farnese. Realizzata un tempo per consentire il passaggio delle carrozze, mentre oggi, involgarita dal traffico inquinante, soprattutto di auto, appare quasi rimpicciolita tanto da apparire nel nome più che Stradone uno Stradino. Auto dicevo in perenne crescita sia in numero che in dimensioni e la cui potenza si esprime in cavalli. Anch’essi enormemente aumentati rispetto ai quadrupedi delle origini che, cambiando natura, si sono trasformati in cavalli-motore, senza più il corredo di zoccoli e nitriti. 

Bisognava allora inventare una soluzione e, mutuando, lo ripeto, il linguaggio della pasticceria, eccola trovata ricorrendo ai summenzionati biscotti. Da posizionare, e questa è la trovata geniale, non solo nel mezzo della strada farnesiana, ma in prossimità di alcune vie di afflusso o deflusso della medesima. Il risultato è la paralisi del traffico per l’impossibilità da parte delle auto, quando si apprestano  alla svolta, di portarsi verso il centro della carreggiata e così lasciare spazio a quelle macchine che intendono invece proseguire nel percorso rettilineo. 

Ma non basta. I biscotti di colore grigio scuro, quasi simili al grigio nero dell’asfalto, specie di notte o durante la pioggia possono anche non essere visti e dunque investiti con conseguenze inimmaginabili. O meglio immaginabili nella loro tragicità. I numerosi vetri rotti che già si vedono nelle loro vicinanze dimostrano per ora impatti senza conseguenze per i conducenti, per il momento ad interesse esclusivo di fanali e paraurti. Ma domani chissà. E si badi bene, che nessuno vuole rivaleggiare con Cassandra in queste previsioni. Si dirà che comunque rappresentano dei dissuasori della velocità, ma si dimentica che lo Stradone oltre ad essere attraversato da varie strisce pedonali che inducono al rallentamento, presenta anche numerosi cartelli che   con il numero 30 ricordano il limite di velocità che non deve essere superato. Dico e ripeto 30, nel senso di Km/ora, perché trattasi di un limite impossibile da rispettarsi  da parte delle nuove auto, sempre più potenti, a meno di doverle spingere a mano. 

E allora diciamocelo chiaro: chiudiamo lo Stradone al traffico e sia finita lì, senza aspettare l’incidente del biscotto che prima o poi avverrà. Continuando con il gergo del pasticciere, i panettoni offrono molte altre possibilità creative. Potrebbero anche chiamarsi Pandoro o Pandolce oppure se fossimo in località di mare Pan del pescatore,  che più o meno impastati di elementi cementizi di vari colori potrebbero ricordare visivamente un contenuto di mandorle, uvetta, cioccolatini o confetti. Tutta una varietà questa della dolcificazione del pane, che non consentono però all’automobilista  di dimenticare il vecchio detto, pan per focaccia, col rischio di bloccargli la digestione. 

Ma continuando con i dolci si potrebbero trovare altri nomi per designare ogni tipo di ostacolo stradale. A Siena ad esempio potrebbe comparire il Panforte che nel nome evoca robustezza, mentre ritornando a Piacenza le rotonde, per merito di una nostra specialità, potrebbero chiamarsi anche ciambelle, naturalmente col buco da lasciare rigorosamente vuoto o al massimo occupato da un campetto all’inglese. E non con quelle fontane, ne ricordiamo esempi recenti, che invece di esprimere allegria, suscitano al contrario pena e desolante sconforto, con i loro getti miseri e stentati che a mala pena si innalzano di pochi centimetri, per poi subito ricadere esausti. 

Anche la vicina Cremona potrebbe adottare lo stesso gergo ed utilizzare il suo dolce più tipico, il torrone, per definire il il guard rail. La sua proverbiale durezza  sarebbe garanzia di durata e poi ricorda anche il torrazzo, altro simbolo cittadino, che, nella sua svettante mole, è sempre un dolce vedere. Tuttavia se il gergo da pasticciere rimanda per i suoi effetti più che ai pasticcini ai pasticci, si potrebbe ricorrere anche al linguaggio della frutta e verdura. Infatti le cavolate sono all’ordine del giorno a proposito di queste troppo cervellotiche soluzioni della viabilità, tanto che i suoi autori, nella considerazione della gente, sono già caduti su una mostruosa buccia di banana. Inoltre si potrebbe dare anche molto spazio alla zucca, da cui deriva zuccotto, zucchino e zuccone, quest’ultimo, così teneramente indicativo. Fra i due modi espressivi, lo confesso, forse perché influenzato da questo clima che precede le feste, mi è più congegnale il primo. Perché ci ricorda anche le numerose torte che troviamo lungo i marciapiedi, l’ultima delle quali ho calpestato ieri. Mannaggia.

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