Povera Chiesa in un poco libero Stato
Dopo tante illazioni e altrettanti rumors, eccoci finalmente arrivati al dunque. Lo ha detto papa Francesco che ha voluto smentire il Motu proprio di un altro papa anche se emerito ed ancora vivente. Dunque un papa contro l’altro a proposito della liturgia. E poiché i papi si esprimono paradossalmente in lingua latina che oggi vogliono invece eliminare da ogni manifestazione liturgica, ecco comparire con la sorpresa della contraddizione, il Motu proprio: tradizionis custodes di Francesco che dichiara di fatto decaduta la Summorum pontificum di Benedetto XVI emanata nel 2007. Cosa diceva quest’ultimo Motu proprio? Che alla tradizionale messa stabilita dalla riforma del Concilio vaticano II, si potesse associare anche quella tradizionale in lingua latina. Dunque, parlando sempre nella lingua dei padri, vetus e novus ordo, potevano coabitare, che tradotto in volgare voleva dire permettere in forma extraordinaria la liturgia della tradizione con quella ordinaria del post concilio. Un Motu proprio contro l’altro sta ora dilaniando la Chiesa. Soprattutto quando, come è accaduto, la liturgia in lingua latina sta incrementando il numero dei fedeli, mentre le Chiese, dopo la riforma conciliare sono diventate pressoché deserte. Stando così le cose appariva logico allora liberalizzare le due forme liturgiche in questo clima di disaffezione nei confronti della fede. Questo avrebbe dovuto essere la posizione di un papa che tiene alla Chiesa come comunità di fedeli, ora scossi dal clima di secolarizzazione che dalla società si è diffuso presso gli altari. Sconvolti anch’essi da un pensiero che come esempio di libertà viene sempre più disatteso nel nostro stato e che come tale investe una Chiesa che non si sa più come definire. Se da considerare una assemblea in cui si dibattono argomenti sociali al pari di organizzazioni umanitarie e sindacali, oppure una riunione di fedeli ormai senza fede. In quanto investita, parlo della Chiesa, da una ventata di desacralizzazione che tende a sostituire il mistero con la certezza di come dover vivere nel mondo. Condividendone sia le cosiddette certezze scientifiche, specie in campo sanitario, con una maggior attenzione verso la salute al posto della salvezza, sia come momento di associazione come tanti altri luoghi aggregativi in cui passare il tempo. Se non addirittura come forme di divertimento, come dimostrano alcune processioni offertoriali che associati alla messa ordinaria trasformano le liturgie in fatti di pura evasione come fossero feste di paese. Tutto questo favorisce non un richiamo, ma l’allontanamento degli stessi fedeli, che nonostante l’inserimento di musiche, moderne nelle liturgie, trovano di meglio nel cercare altrove i momenti di incontro senza dover cedere all’usanza, ormai logora, delle preghiere. Le quali appaiono stonate in quanto non in linea con il messaggio assembleare tutto proteso, come si diceva, al senso non della visione salvifica al posto di quella salutistica. In questo clima di una lenta e progressiva disaffezione nelle chiese, un bisogno di ritorno all’antico poteva sembrare non solo utile, ma doveroso per cercare di porre un argine al processo di una fede senza fede. Insomma un ritorno all’antico poteva rappresentare una nuova occasione per scoprire vecchi valori, su cui si sono formate nei secoli schiere di martiri e santi. Cosi facendo il rischio era quello di isolare una fede che si stava perdendo, ma nello stesso tempo cercare di fortificarla, pur accettando di ripristinare aree anguste in cui difendersi dalle lusinghe del mondo come le vecchie catacombe. Dove il principio di verità poteva permettersi di restare inviolato attraverso la riscoperta di una fede che delle cose contingenti poteva addirittura infischiarsene. Al fine, come succede oggi, di non essere travolta. Ma tutto questo presupponeva adottare anche una lingua comune. Quella dei padri. Dunque il latino che nella vecchia liturgia si arricchiva di simboli, immagini, silenzi e dove il canto gregoriano carico di ripetuti e quasi ossessivi stilemi vocali inneggianti le lodi celesti, si contrapponevano alle musiche rock, pop e folk che oggi invadono antiche volte e navate, costruite con ben altri scopi che non le attuali forme assembleari. In sostanza bisognava perdere qualcosa dell’antico per non perdere tutto. Ma così non è stato. La fede, quella rimasta non abbisogna di solleticazioni moderniste che rischiano di rompere con una tradizione millenaria su cui si basava il senso del sacro. Percepito attraverso le vecchie usanze liturgiche anche se non necessariamente compreso dal popolo semplice, causa una lingua ora dichiarata morta ma appunto per questo più viva che mai in quanto al di fuori del gusto del tempo. Il sacro infatti è pura emozione e non necessariamente comprensione razionale. Anzi più si comprende e meno si capisce in quanto il mistero è al di fuori di ogni logica. In questa condizione di crisi in cui versa la Chiesa, era indicato aprire e non chiudere. Liberalizzare e non vietare. In questo senso il Motu proprio di Francesco crea una spaccatura all’interno della Chiesa come già sta avvenendo in Germania con il cammino sinodale dei vescovi lanciato verso il progresso più liberal rispetto alla posizione dei vescovi statunitensi. Che si pongono il problema se amministrare l’eucaristia fra i politici sedicenti cattolici, ma di fatto favorevoli all’aborto come il Presidente Joe Biden. Dunque una netta divisione fra tradizionalisti e innovatori. Meglio ancora fra i sostenitori del sacro e chi del sacro non sa che farsene per aver ormai ceduto agli usi e costumi di un mondo nuovo che del vecchio modo liturgico non sa che farsene. Infatti la Chiesa preferisce seguire il modello del fai da te in senso moderno. Quello che ha ormai rinunciato alla libertà del dissenso in favore di un pensiero che non ammette deviazioni in merito a fatti interpretabili secondo l’ormai superato giudizio del bene e del male. Una morale questa ormai eliminata perché non corrispondente alle esigenze che ognuno interpreta. Dove il desiderio prende il posto del diritto e dove il pensiero, ormai comune, vagheggia una nuova società che sarebbe meglio chiamare come una nuova umanità, in cui tutto deve essere improntato al senso della perfezione, realizzabile dopo aver eliminato ogni traccia del passato con tutti i suoi errori. La cancel culture serve a questo. E così il pensiero unico che diventa messianico ambisce ad un nuovo ordine. Quello del paradiso in terra che grazie alla tecnologia diventa una meta possibile, dimostrando quindi che non c’è più bisogno dell’altro. Dato da quel messaggio ultra terreno che la Chiesa un tempo sosteneva e che oggi la mette in difficoltà. La similitudine fra il nuovo spirito nella Chiesa e quello esistente nella società sta sempre più diventando una alleanza. Per entrambi la libertà viene meno ed il dissenso suscita riprovazione. Nella Chiesa il nuovo Motu agisce contro il vecchio. Nella società il dominio dei social, senza alcuna giustificazione, si permette di cancellare ogni libertà di esprimere idee diverse da quelle ritenute non violabili. Dunque eterne. Esiste quindi una questione di verità che riguarda sia la società civile che la Chiesa. Una verità che non è più rivelata ma solo svelata dalla scienza. Prepariamoci allora per chi ancora si sente libero, a non cedere alle lusinghe del pensiero unico e all’obbligo di una forma liturgica che non accetta confronti col passato. Lex orandi e lex vivendi, questa di tipo esclusivamente di tipo laico si saldano fra loro. Le catacombe ci aspettano.