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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Questa nostra strana democrazia

Per democrazia, lo sappiamo dalla parola greca, si intende governo del popolo. Ma se la definizione non fa una grinza, molte grinze si sono prodotte nel tempo a proposito dell’interpretazione da dare alla parola democrazia. Infatti gli stessi greci, che come si diceva, se per primi hanno pensato con questa parola di realizzare la migliore forma di governo possibile, nella loro lunga storia hanno più volte tradito la loro stessa intuizione democratica. Lo sappiamo. A parte le infinite lotte fra Sparta ed Atene con l’intermezzo di Tebe e Corinto, le poleis hanno sempre di fatto un uso molto elastico della parola democrazia. Anzi spesso questa è stata negata per non dire spesso e volentieri rinnegata. Se infatti valutiamo i tre grandi filosofi, ognuno di questi aveva della democrazia una idea propria e non necessariamente in accordo con lo stesso principio di volere affidare il potere al popolo. Socrate infatti auspicava una noocrazia che in sostanza prevedeva un governo di saggi che col popolo nulla avevano in comune. Da Socrate al suo allievo Platone, le cose in merito alla democrazia, non si sono chiarite. Infatti per spalle grosse, come è da intendersi la parola Platone, nella Repubblica, egli auspicava una forma di governo democratico che oggi si potrebbe definire comunista. Dove si auspicava che i bambini, fin dalla nascita, dovessero essere presi in consegna dallo stato in modo che i genitori non potendoli riconoscere consentissero alla costituzione sociale di un sistema di uguali fra uguali. Senza differenze riguardo ai natali ed al censo. Ma i filosofi, si sa, hanno sempre qualcosa di non comune nelle loro elucubrazioni, altrimenti non sarebbero filosofi. Infatti, per finire, lo stesso Aristotele aveva una sua teoria in proposito. Auspicava infatti una timocrazia che in parole povere rappresentava una via di mezzo fra l’aristocrazia e la democrazia.  Per concludere con la Grecia e la sua vocazione democratica, ci è utile, per capire più di ogni  teoria, il censimento del 310 a.C.  compilato da Demetrio Falereo. In esso si davano per Atene queste cifre: ventunmila cittadini, diecimila metechi e quattrocentomila schiavi. Bella democrazia ci viene da dire. Tralasciamo il passato ed arriviamo a giorni più vicini a noi. In particolare all’Italia che con il suffragio universale del 2 giugno 1946, ha decretato la fine della Monarchia e la costituzione della Repubblica.  Dalla quale derivò una Costituzione per conferirle una natura democratica. Una Carta Costituzionale, piena di lacci e lacciuoli, di pesi e contrappesi che di fatto hanno resa difficile la governabilità del nostro paese. Lo dimostrano la Camera ed il Senato con gli stessi compiti con doppia lettura per le leggi normali e quadrupla per quelle costituzionali ed i vari referendum popolari messi lì come mine vaganti. Insomma una Costituzione di Sisifo, fatta per l’immobilità, che invece per alcuni è la più bella del mondo. Addirittura un mito, per Benigni. Sarà. Sta di fatto che da allora subentrarono vari governi, che fino agli anni 70 furono nelle mani dei vari Dc, il cui contrassegno, di stampo andreottiano, si traduceva molto bene nell’adagio, quieta non movere et mota sedare. Poi con le convergenze parallele entrarono in gioco, tramite lo splenetico Moro, anche il PCI con il suo segretario Berlinguer che in fatto di umore nulla aveva da invidiare al suo equivalente democristiano. In sintesi e per sintesi, arriviamo con diversi salti fra maggioranze e uomini di governo, al Cinghialone Craxi, così chiamato per il suo carattere deciso e a volte anche sfrontato e con lui, il PSI al governo. Tralasciamo quello che poi venne con Mani Pulite e giungiamo, con un altro salto di qualche anno, a Conte. L’equilibrista che è passato da una maggioranza giallo verde a quella giallo rossa, senza alcun segno di disagio.  La valutazione del suo operato e quindi della mai dimenticata democrazia che è il nostro argomento, la si può evincere in occasione dell’urgenza rappresentata dalla pandemia. Il virus che nonostante il parere di molti virologi non avrebbe dovuto preoccupare l’Italia, trattandosi di una semplice influenza. Bevve la fatal pozione tranquillizzante e sedativa dei virologi,  lo stesso Conte che dichiarò che di fronte a  qualsiasi cosa sarebbe avvenuta, l’Italia era pronta. Mussolini docet. E naturalmente avvenne il contrario. L’impreparazione rappresenta una costante per il nostro paese da sempre di fronte a fatti imprevisti. Cosa fa allora Conte? Nomina una task force di circa quattrocento esperti nell’ambito scientifico ed economico. Nel frattempo fa quello che può, preso in contropiede dal contagio. Intanto mancano le mascherine, i guanti e per gli operatori sanitari, sia i camici monouso che le visiere. E’ questo il momento degli eroi, di coloro che fanno tutto quello che la coscienza dice loro di fare, nonostante non abbiano alcuna protezione. E parlo di medici, infermieri e dei vari operatori sanitari e di pubblico servizio, che lasciano sul terreno del loro lavoro diversi decessi. Intanto con pochi mezzi, ma con molte le parole, il difensore del popolo ci tiene a dimostrare il suo ruolo, come si suol dire, di salvatore della patria e parla a reti unificate. Alle parole seguono puntuali i decreti suoi, cioè del Presidente del Consiglio. Non programmi agili e sintetici, riguardo alle cose da fare, ma pagine su pagine di disposizioni e commi difficili da leggere e impossibili da interpretare, vista la confusione e la contraddizione che li anima. Intanto il Parlamento è svuotato.  Ci pensa ad isolarlo sia il virus, sia l’abitudine dell’avvocato del popolo che se fosse veneto potrebbe dire faso tuto mi.  Con fatica e molti decessi, finalmente la pandemia entra in regressione tramite le mascherine ritrovate ed il distanziamento sociale (chiamato con la lingua oggi di moda lockdown), ma subentra un'altra pandemia quella economica. Anche in queste circostante cosa fare e mi riferisco al Presidente del Consiglio? Riunire il Parlamento e sentire oltre alla maggioranza le opposizioni, valutare le proposte ed esporsi alle eventuali critiche? Per un avvocato che si rispetti suonano meglio le parole, Le quali infarcite di futuro semplice e futuro anteriore… ci penserò…farò… so che andrà meglio se ci comporteremo secondo le disposizioni …. mi rimandano, causa una poca simpatia che mi lega agli uomini di legge in particolare ai magistrati, all’azzeccagarbugli di manzoniana memoria.  Ma non fateci caso questa è solo una mia idea. Per qualcuno anche preconcetta. Infatti anche per l’uomo in questione, l’idea c’è e come. Affidare la questione del problema economico ad un esperto di finanza, con pedigree mondiale ed già amministratore delegato di Vodafone. Il suo nome Vittorio Colao che da Londra partorisce il suo programma per far uscire   l’Italia dalla crisi. Il suo primo provvedimento? Lotta dichiarata al contante che diventa l’emblema del lavoro nero e dell’evasione fiscale. In altri termini lo sterco del diavolo di antica religiosa memoria. Ma ancora non basta.  Un solo esperto, per quanto, famoso, non è sufficiente. Cosa si inventa allora Conte?  Spiazzare tutti e convocare gli Stati Generali. Confesso che non sapevo cosa fossero questi Stati Generali in Italia. La memoria mi rimandava alla Francia di Luigi XVI,  il quale per affrontare la crisi finanziaria, che stava affogando la Francia,  riuniva in assemblea i membri eletti dei tre stati. Il Primo, formato dal Clero. Il Secondo, dall’aristocrazia ed infine il terzo, dalla popolazione urbana e rurale. Ebbene poiché non si finisce mai di imparare, ho appreso, grazie a Conte, che esistono gli Stati Generali dell’Economia anche in Italia. Fra i convocati troviamo molti soggetti. Dai rappresentanti istituzionali italiani ed europei, alle parti sociali e alla Confindustria. Tutti riuniti a Villa Pamphilj dal 13 giugno a domenica 21 giugno, per definire gli investimenti e soprattutto il modo di impiegarli.  Gli unici assenti, anche se convocati, i rappresentanti della minoranza che non ci stanno ad essere accolti in una villa prestigiosa, con il sospetto di fare passerella senza concludere niente, preferendo a questa il Parlamento. Ecco allora il punto, Il Parlamento. Mai come con il governo Conte, esautorato anzi dimenticato. Per trovare una analogia con la telecronaca di un ciclismo eroico, in cui il mitico Mario Ferretti parlava alla radio di un uomo solo al comando, anche oggi in politica, sembra succedere la stessa cosa. Solo che al posto di Coppi, abbiamo Conte. Intanto, aspettiamoci, dopo il 21, l’immancabile sua conferenza stampa a reti unificate, inneggiante la soluzione in futuro(!) dei vari  problemi. Mentre il Parlamento può attendere, una nuova forma democratica di stampo meno illiberale.

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