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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Referendum: ovvero uno scontro fra bene e male, ma capovolto

Noi italiani tendiamo sempre ad esagerare in chiacchiere. Viceversa a sminuire o sottovalutare i fatti, fin tanto che questi vengono subitamente dimenticati. Insomma abbiamo l’estro di saper parlare, ma non quello di saper agire di conseguenza

Noi italiani tendiamo sempre ad esagerare in chiacchiere. Viceversa a sminuire o sottovalutare i fatti, fin tanto che questi vengono subitamente dimenticati. Insomma abbiamo l’estro di saper parlare, ma non quello di  saper agire di conseguenza. Infatti da noi non si fanno rivoluzioni,  al massimo si accennano soltanto a parole e poi prevale il timore di avere forse  con queste, esagerato. Quindi con un po’ di cenere sul capo si ritorna all’usato detestato e detestabile  attraverso  quelle mille parole al vento che ci contraddistinguono. Meno male che sia così, verrebbe da dire. Siamo un popolo di gente tranquilla che preferisce sedia e poltrona in casa o nel palazzo, ai pericoli della strada sempre ricca  di imprevisti . Per questo motivo, noi la rivoluzione preferiamo farla a parole, cambiandole però di significato. Faccio un esempio che ci conduce subito al tema che voglio trattare. Cosa vuol dire essere progressisti o conservatori?  Allarghiamo pure il concetto. Progressista è colui che guarda al futuro, che non ci sta a stare fermo su posizioni tradizionali. Vuole e persegue il cambiamento qualunque esso sia, pensando che sia buono e giusto a prescindere. E poiché tale cambiamento ha scomodato il concetto di giusto, ecco che si carica di un valore etico. Dunque ogni progresso si identifica col bene e questo ce lo insegna  non più la semantica, vale a dire il significato autentico della parola, ma una rivoluzione lessicale che  dal pensiero sinistrorso si è infiltrata negli strati sociali con l’astuzia di non  farsene  nemmeno accorgere.  E a questo proposito, a mo’ di esempio, ricordo a proposito della parola democrazia, la Repubblica tedesca, quella dell’Est, oggi fortunatamente scomparsa. La quale per mantenersi tale e combattere contro  la supremazia del mondo occidentale, doveva difendere la sua rivoluzionata purezza  semantica basata a parole sul volere del popolo, ricorrendo ai muri, ai fili spinati  con tanto di guardie armate, difensori della democrazia, pronte ad uccidere chi non si adattava alla nuova interpretazione del lessico. E molti morti ammazzati lo hanno, fin troppo tragicamente, dimostrato.

E passiamo ora  a come definire la parola conservatore. Un reazionario che si guarda indietro e che non vuole cogliere i fermenti di novità che i tempi portano.  In altri termini, un difensore delle tradizioni più bieche e superate che non  rinuncia al proprio egoismo di voler modificare vecchi equilibri che in arte , letteratura e pensiero si sono consolidati nel tempo, definendo l’identità di un popolo. Ma così facendo secondo la  nuova vulgata interpretativa, il conservatore diventato reazionario, rende la società arretrata, ingiusta e  per questo anche cattiva. In sostanza una posizione questa eticamente portata al male. Tutto questo mio dire, vale come premessa per parlare del referendum che divide l’opinione pubblica sostanzialmente in tre parti. I buoni, quelli del sì, i cattivi, quelli del no e gli scontenti di tutto e di tutti  che si mantengono nel limbo di una landa sempre più vasta,  dove prevale l’ignavia di non volersi esprimere,  perché ormai disinnamorati e sfiduciati nei confronti della politica e dei suoi uomini.  Mi sto infatti persuadendo  che entrare nel merito di questo referendum che riguarda la riforma costituzionale, serva a poco o niente. Fior di costituzionalisti si sono già espressi con risultati controversi e contrastanti. Gli uni favorevoli , gli altri contrari con motivazioni di analoga consistenza giuridica.

E questo, senza tralasciare gli incerti anche loro divisi su due fronti ma con qualche riserva. Sono questi i fautori del sì senza entusiasmo per aver colto i limiti della riforma ed i fautori del no tiepido, per i motivi opposti non essendone completamente convinti. E allora viene da chiedersi, quali sono gli elementi  su cui basare un giudizio e una scelta? Due in particolare. La rivoluzione semantica cui accennavo prima e  un secondo motivo, apparentemente banale, che si basa sul detto:  chi la fa l’aspetti. Sulla prima questione ho già parlato, tuttavia qualche altro   elemento è bene portare. Proporre un sì  come espressione di una cambiamento positivo dai connotati etici di buono e giusto e rivolgersi alla cittadinanza con tale visone positiva delle cose, non può lasciare indifferenti coloro che credono, magari ingenuamente, che ogni apertura o progresso sia di per se un bene. Viceversa  ogni no viene stigmatizzato come elemento negativo. E chi rifiuta di ammodernare il paese diventa un fautore del male. Inutile a questo punto scomodare  la filosofia o meglio ancora il buon senso, secondo cui il bene e il male sono stati scambiati di posto. Che cioè il cambiamento autentico, vero e virtuoso presuppone la conoscenza di una identità antica, in altri termini della tradizione carica di storia.

E che solo con questo bagaglio di valori, si può veramente concepire riforme attente e ponderate emendatrici di errori pregressi. Mentre d’altro canto il progressismo ignorante del passato,   nei suoi propositi spesso populistici di pura contingenza speculativa,  è spesso votato al fallimento da parte della storia. Il bene che si trasforma in male e viceversa, corrispondono allora meglio al loro significato originario, tradizionale, di non disprezzate usanze ormai seppellite dalla moderna rivoluzione semantica. Piaccia o no, così è. E passiamo al secondo motivo, quello che è ben espresso dal detto chi la fa l’aspetti. E’ questo il problema Renzi il fautore con la ministra Boschi (che fatica ad usare il termine ministra) del progetto di riforma. Ai tempi della prima votazione in Parlamento, il  bulletto fiorentino esaltato dal largo consenso dei sondaggi che lo davano largamente al di sopra del 40%, nelle preferenze, aveva pensato di vincere facile personalizzando la sua proposta di cambiamento istituzionale. Quando si arriverà al referendum o votate la mia proposta o vado a casa, diceva convinto di rimanere perennemente  fuori dalle incombenze domestiche. Le cose invero non vanno mai come da premessa, specie in politica. Passano i mesi e mentre le parole sempre del bulletto al comando, magnificano tutte le sue proposte, tutti  i provvedimenti di governo, mettendo in sordina quelle che suscitano scandalo, tipo il default della banca Etruria in cui il padre della sig. Boschi aveva le mani in pasta, cominciano a evidenziarsi le prime incrinature. Il paese cresce  a  parole   anche tramite la rivoluzione semantica , ma non nei fatti. 

L’auspicata crescita del pil diventa un’utopia e così la tanto sbandierata riduzione della spesa pubblica. Le fabbriche chiudono come molte attività  commerciali ed in compenso aumenta la disoccupazione e la povertà specie fra i giovani. Intanto per queste incongruenze il panorama politico rischia di sfaldarsi. Succede nel PD, in cui alla massa orante nei confronti del parolaio  vincitore e segretario, si contrappone una minoranza che sentendosi esclusa dai posti di comando,  inizia una opera prima di distinguo e poi di aperta contestazione per non dichiararsi  più disponibile, scavalcando la disciplina di partito, ad avallare ogni decisione presa dal  suddetto segretario. Anche la destra dopo l’attraversamento nelle secche dell’incomprensione  e della rivalità fra partiti e correnti, accorgendosi del terreno favorevole, riscopre la vocazione ad unirsi.

La memoria ritorna a quella frase pronunciata dal ragazzo al potere. E il referendum diventa l’occasione propizia.  Allora come votare? Naturalmente no, indipendentemente dalle ragioni e torti  mossi sul piano strettamente tecnico- giuridico.  Per un semplice fatto.  Perché solo il no apporterà  cambiamenti livello di governo (in quanto anche se Renzi difficilmente sconfesserà le parole prima dette a proposito di dimissioni, verrà senza dubbio messo in difficoltà), mentre il sì, non farà altro che confermare ,più che l’autorevolezza, l’arroganza dell’ex  rottamatore, prontamente passato  dalle parti della conservazione del potere. Il suo. Dunque siamo all’opposto di quanto strombazzato in pubblico. Chi vuole cambiare è per il no, chi invece vuole lasciare le cose come stanno per il sì. Ognuno a questo punto aggiunga le proprie osservazioni in fatto di ideologia, arrivando a scomodare, come io ho fato, perfino l’etica. Un fatto comunque è certo: l’eterogenesi dei fini passa per la controrivoluzione della chiacchiera.

Referendum: ovvero uno scontro fra bene e male, ma capovolto

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