Ritratto di Daniela Morsia
Ritratto questo a me gradito causa la gentilezza e la modestia che caratterizza la persona, cui mi rivolgo con queste note. Due virtù difficilmente riscontrabili sul mercato del genere umano che viceversa specie di questi tempi, pensa che l’ambizione non sostenuta dalle capacità e la voglia di fare spesso accompagnata da un atteggiamento immodesto, siano le qualità indispensabili per ottenere successo. Non è questo il caso della nostra protagonista, nella quale il modo educato nei rapporti con la gente e l’intelligenza che traspare da questi stessi modi, la rendono naturalmente gradita e ben accetta in ogni ambiente. Allargandoci un po’ nei paragoni, potremmo dire che se avesse l’ambizione di organizzare incontri e salotti culturali, potrebbe rimandare alla memoria della contessa Maffei, vissuta nel diciannovesimo secolo. Stessa piccola statura, stesso fare piacevole, stessa maniera non ostentata di parlare con la gente, stesso fascino intellettuale al posto della bellezza fisica, intesa secondo gli stereotipi maschili dell’eterno femminino, attraverso l’ abbondanza delle curve e delle protuberanze. Ma questo riferimento è una mia pura invenzione non confermata da nessuna vocazione, a mia saputa, da parte della nostra, ad invitare nella propria casa, persone famose in campo intellettuale, onde organizzare dibattiti e attivare amicizie . Rimane comunque l’impressione che un nesso fra le due ci sia. Soprattutto nel modo di affrontare la vita dove la nostra, almeno per quanto riguarda il lavoro, argomento di cui parleremo in seguito, sembra addirittura capace, come la sua famosa antesignana, di sacrificare la propria centralità per l’interesse collettivo. Poiché, come dicevo, mi sono un po’ allargato nel trovare analogie, rientro subito nel personaggio inquadrandolo dal punto di vista fisiognomico. E cominciamo dalla faccia dai lineamenti decisi e dolci nello stesso tempo che si conciliano con la precedente similitudine della nobile contessina, la quale( parlo della faccia) mostra un’espressione che è un misto fra la sicurezza verso le cose e una certa insicurezza nel portarle tutte a compimento. L’atteggiamento poi, perennemente improntato ad un velato sorriso di riservato compiacimento, altera lievemente i lineamenti. Il risultato, la formazione di due pieghe fra il naso e la bocca che esprimono una certa inquietudine a soddisfare i desideri. Il naso-dicevo- aggettante e arrotondato, nella sua parte alta, vale a dire nel punto in cui si continua alla fronte tramite un lieve avvallamento, sfuma d’ambo i lati negli occhi sempre cerchiati da lenti che a prima vista appaiono di un certo spessore per segnalare un problema di vista: la miopia. Gli occhi dunque, socchiusi più che aperti, allungati più che arrotondati, minuti più che grandi, fissi più che mobili, guardano in avanti ed in basso alla ricerca non di fatti reali, ma di processi interiori. Pensieri, intuizioni, ambizioni più o meno mascherate che rivelano una personalità non superficiale, ma votata ad interiorizzare le emozioni. Continuando con la fisiognomica, un cenno va ora posto alle sopracciglia, di aspetto ben disegnato, arcuate e folte, al di sopra delle quali si apre una fronte larga e bombata, occupata ai lati da ciuffi di capelli castani, lisci, allungati ed in ordine sparso con scriminatura centrale che appaiono più sciolti di quanto in realtà dovrebbero essere. A dimostrazione di un certa loro resistenza o renitenza al pettine Dall’insieme dei tratti del viso, si coglie comunque l’espressione di una certa serenità unita anche ad un vago senso ottimistico nei confronti dei fatti della vita. Quella più pensata che vissuta. Detto questo passiamo alla biografia a cominciare dalla nascita che avviene a Lugagnano ( Pc) nel marzo del 1970. Studi di media superiore al Liceo psicologico Colombini della nostra città e poi iscrizione all’Università di Bologna, facoltà di Storia contemporanea, dove appunto consegue la Laurea nel 1994. Dopo alcune esperienze sia come ricercatrice, che come giornalista, finalmente approda al suo naturale alveo lavorativo, che per una appassionata di cultura storica, non poteva essere che la Biblioteca Passerini Landi della nostra città. In questo suo lavoro si occupa del servizio di Reference per le ricerche bibliografiche , inoltre della gestione del fondo locale che verosimilmente attiene, deduciamo noi, all’aspetto economico della Biblioteca. Così descritta sembrerebbe una carriera, la sua, rivolta sì alla ricerca, ma soprattutto all’aspetto contabile e burocratico. Niente di vero, perché la sua vera passione è e sarà sempre la storia locale, con particolare riguardo per l’agricoltura e forse più ancora per la viticoltura. Sorge a questo punto spontanea una domanda. Perché inserire nella storia, specie quella piacentina, da lei così passionalmente seguita , non tanto i protagonisti, non tanto i fatti storici, ma l’agricoltura. Come se in mancanza dell’elemento cibo che proviene dalla terra fertilizzata e lavorata dall’uomo, la storia non esistesse e così anche i suoi più autorevoli protagonisti. Ed in effetti è proprio così. Comunque poiché ognuno su questo punto può dare la risposta che vuole, io non vi privo della mia, anche se per dirvelo, devo fare qualche salto mortale. In quanto al posto delle normali spiegazioni, preferisco scegliere quelle in chiave psicologica ( o pedagogica?), onde scomodare le radici che sono alla base di tante nostre scelte spesso da noi ignorate. Insomma, nessuno a questo punto si meravigli se per trovare interpretazioni psicologiche, ricorro ai miti. Quello greco in particolare, a noi più vicino per tradizione culturale, dove il ricorso al cibo, al vino, all’ambrosia , nettare degli dei, rappresenta il valore di una tradizione che non possiamo dimenticare. Poiché non essendo ancora spazzata via dalla tecnologia, la troviamo tuttora presente, questa tradizione, nel nostro inconscio. Specie in individui cui appartiene la nostra protagonista, che nati nell’ambiente rurale, a contatto con la terra da dissodare, dove la natura svolge i suoi ritmi, questi individui, dicevo, sono naturalmente più legati alle tradizioni antiche che non la popolazione di città. E mi riferisco alle storie, alle leggende ed anche a quelle presenze mitologiche, rappresentate un tempo dagli dei, che con il loro corredo di ninfe, custodivano i raccolti, le acque, le piante, i boschi, le sorgenti, le messi ed i prodotti della vite per le quali oggi , quando si ha un buon raccolto, si deve ringraziare il cielo. In sintesi tutto questo riguarda l’agricoltura. Tanto è vero che prima del cristianesimo, gli dei rappresentati come figure immortali dal pensiero greco, rivivono tuttora nei simboli e nelle credenze dell’uomo dei campi, con la convinzione o quanto meno il sospetto che le questioni terrene siano legate ancora a tanti eventi imprevedibili, fra cui ad esempio le stesse condizioni climatiche. Le quali nonostante i tentativi di poterle decifrare con la moderna meteorologia, sfuggono spesso ai pronostici, acquistando il sapore dell’imponderabilità delle cose. Cui si connettono le tante fantasie, come quelle sui lari e penati protettori della casa, trasmesse di padre in figlio, che rivelano come la natura si inserisca nel patrimonio affettivo di ogni comunità domestica. Come se esistesse una condizione di indecifrabilità o di mistero, apparentemente esterna all’uomo, che nello stesso tempo fosse in grado di influenzare il nostro stato d’animo. Insomma un certo paganesimo o panteismo ancora alberga nelle credenze dell’uomo della terra. Per questo, mi è venuto spontaneo, il riferimento mitologico alla natura del nostro personaggio, appassionata di tutto quanto la terra produce e più in generale di quanto la stessa terra sia disposta a concedere alle fatiche dell’uomo . Ecco allora, per continuare fra il serio ed il faceto, più , in verità, con quest’ultimo , che propongo uno strano abbinamento fra il nostro personaggio e gli dei immortali che abitavano la terra e non il cielo, essendo di casa sul monte Olimpo. Cosicché per i suoi interessi nel campo agro viticolo, più che ad Atena rimanda a Demetra, dea del grano, del raccolto, dell’agricoltura e più in generale della crescita e della nutrizione, simboleggiata con la cornucopia e la spiga. Mentre causa anche la diversità di genere, non troviamo nulla che possa evocare Dioniso dio del vino, delle feste e del caos, i cui eccessi vanno dall’ubriachezza alla droghe e alla più spinta licenziosità. Per continuare e nello stesso tempo per finire coi miti, se poche ragioni valgono per la nostra, a stabilire un paragone con Afrodite, causa le motivazioni già esposte, non suonerebbe male, il riferimento di tipo intellettuale, alla titanessa Mnemosine. Dea della memoria e del ricordi e madre delle nove muse, protettrici delle arti. Alle quali appartiene anche Clio, le cui attenzioni sono rivolte alla terra agricola . Ed ora una domanda. Come si sentirà il nostro personaggio ad essere coinvolta fra le dee della mitologia? Una follia questa? Un azzardato salto nel vuoto? Può essere, ma come elemento se non giustificativo almeno consolatorio, c’è sempre quel briciolo di ironia che fa parte di ogni persona colta. Perché se ho evocato un mondo lontano, quello stesso mondo fa parte del patrimonio di chi, per tradizione o cultura, non getta alle ortiche quanto ha imparato negli studi. Se poi è lecito, ritenere i miei vaneggiamenti totalmente fuori tema, cosa possibile, nella nostra città non mancano reperti storici in grado di legare il moderno all’antico. Quale il fegato etrusco, su cui gli aruspici divinavano il futuro, reperto emerso dalla terra durante il lavoro di aratura da parte di un contadino nella frazione di Ciavernasco di Gossolengo. E come dimenticare poi quella grande coppa in argento, chiamata gutturnium rinvenuta sulla sponda piacentina del Po, presso Croce Santo Spirito, da cui prende il nome il nostro più tipico vino, chiamato appunto Gotturnio? Dopo tutte queste divagazioni che per alcuni saranno anche farneticazioni, rientro allora nei ranghi per descrivere il nostro personaggio, nella sua dimensione concreta. E prima di citare le sue opere scritte, diventa necessario, al fine di conoscerla meglio, esprimere un commento sui suoi interventi come relatrice in diversi incontri culturali, su temi e questo per noi non è più un mistero, inerenti all’agricoltura. Anche se una recente digressione sul tema, si è verificato di recente a proposito di un argomento che avrebbe potuto ingannare i presenti: Giuseppe Verdi. Tuttavia a differenza mia, la nostra protagonista, non esce mai dall’alveo suo proprio. Cosicché il grande musicista non è stato trattato per il suo genio musicale , ma solo come piccolo( facendo il raffronto) proprietario terreno con tutti i problemi che da sempre sono connaturati alla terra. Quelli che riguardavano il suo fondo agricolo di Sant’Agata, le coltivazioni, il loro ricavato ed i rapporti non sempre sereni con la gente del contado. In sostanza la trattazione ha riguardato la passione del grande musicista, per la terra dalla quale proveniva, essendo nato nella casa colonica di Roncole e alla quale terra sapeva sarebbe tornato, secondo il destino di tutti gli esseri umani. Ecco allora lo stile del discorso della nostra. Voce bassa, dapprima quasi incerta, che nel corso del discorso, si rinfranca, mentre il tono si alza lievemente, anche se mai gridato. Così pure si rafforza la sicurezza nell’esprimersi. Le parole sono meditate e precise e colgono sempre il senso di quanto la gente vuole sapere. Intanto nel proseguo, la verbalizzazione si fa più fluida e l’attenzione cresce in misura proporzionale alla competenza che traspare dalle parole. Frutto queste di una preparazione solida, visibile sia nall’atteggiamento ora rinfrancato, sia nei concetti espressi ,logici e convincenti. In questo susseguirsi di considerazioni migliorative , l’unico elemento che muta poco o punto è la voce, sempre discreta, quasi sottotono. La sensazione finale è che l’interesse di sentirla aumenta, finché l’attenzione ed il silenzio, fra il pubblico, diventano una cosa sola. Massimo livello, questo, di soddisfazione per chi non ha il carattere né l’ambizione di assumere atteggiamenti di sicurezza baldanzosa nei discorsi. A differenza di altri, che senza un adeguato sostegno intellettuale, se all’inizio possono suscitare interesse, nel proseguo trasformano la primitiva curiosità in stanchezza, la sicurezza in imbarazzo, la concentrazione in disattenzione. Ed ora diamo spazio alla scrittrice che, come già detto, tocca quasi sempre i temi dell’agricoltura e viticultura . Una specie di fissazione questa, legata ad un interesse quasi patologico, per la quale abbiamo preferito scomodare il mito, come causa della sua, chiamiamola così, malattia. Ecco allora gli scritti in ordine cronologico. Nel 1997: La Viticultura piacentina. Cui segue nel 2004, un titolo curioso e strano che rivela una vocazione didattica: Sillabario dell’agricoltura piacentina. Costante e quasi ossessiva nelle scelte, la nostra, pubblica nell’anno 2008 : Storia della viticultura in Val Nure fra 800 e 900. Ma non è ancora finita. Nel 2010 infatti fa la sua comparsa: Storia delle cattedre ambulanti di agricoltura a Piacenza. Finché nel 2014 un titolo giornalisticamente curioso e per ciò stesso stimolante: Ti lascio e vado nei campi che parla di G. Verdi agricoltore e di cui abbiamo già accennato. Sono suoi infine i contributi all’interno dei volumi rispettivamente di: La storia di Piacenza e La storia della diocesi di Piacenza commissionata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano Tralasciano ora altri contributi sulla cooperazione e il volontariato riguardo all’associazionismo cattolico, rimane poi da riferire, uno studio storico sul movimento cooperativo ed un secondo sul volontariato fra 800 e 900.Da tutte queste notizie sulla nostra Daniela Morsia, quale giudizio alla fine ricaviamo su di lei. Che sia una donna di cultura, appassionata di studi sulla terra piacentina , ormai, dopo quanto detto, non è una novità. Ed i riconoscimenti lo confermano, essendo socia della Deputazione di storia patria e collaboratrice del Bollettino storico piacentino. Indagando, emerge pure un suo connotato religioso espresso da quel lavoro già accennato riguardante la Storia della Diocesi della città. In chiusura mi accorgo che abbiamo parlato, a proposito della nostra protagonista, della sua personalità che non ama i toni smodati e l’esteriorità ostentata. Tuttavia per meglio precisare, un conto sono i modi dell’ apparire un altro quelli dell’essere. Per scomodare una mentalità che oggi va di moda, fra i due modi di vivere, quasi sempre nella considerazione generale, l’avere prevale sull’essere. Non così per la nostra protagonista, in cui si verifica esattamente il contrario. Per questo, non manca a Daniela Morsia, a proposito dell’essere e del voler essere, la soddisfazione realizzata del suo ruolo di donna, sposa e madre. Infatti coniugata con Gianluca di professione ingegnere, ha una deliziosa bambina di 7 anni dal nome Anna Chiara. Ed a proposito di Chiara, se è stato chiaro per me tracciare il profilo della nostra protagonista, non so se sia stato altrettanto chiaro il mio modo di esporlo.