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Sabato, 20 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Ritratto di Giuseppe Romagnoli

Giornalista ed insegnante di italiano e storia all’Istituto Raineri della nostra città, non si sa cosa preferire, fra questi due suoi ruoli, nel tracciarne il profilo. Propendo per il primo, quindi per la professione di giornalista, formalizzata con iscrizione all’albo fin dal 1987. E questo in base alle numerose opere da lui scritte, sia come articoli di giornale che come autore di libri di carattere storico locale ed ultimamente di un romanzo: Il Cappello di nonno Gesuino, che come numero di pagine, ben oltre 700, rappresenta un’opera quasi monumentale per lo spirito che la anima. In cui, come spesso succede fra gli scrittori, almeno uno dei personaggi è la proiezione dello stato d’animo del suo autore, causa la descrizione dei sentimenti di umanità della povera gente della terra emiliana che sarebbe meglio chiamarla romagnola visto il cognome del nostro. Una umanità-dicevo- nella quale si ritrova un personaggio del libro, alter ego del nostro, che trova il riscatto sociale attraverso il duro lavoro, la dignità del vivere e l’assunzione di ogni responsabilità anche di fronte al fato avverso, tanto che non risulta mai debole o vile. Questo soprattutto quando gli eventi che si succedono, sembrano coalizzarsi contro la tranquillità di una vita, trasformandola in una dura prova da cui si può uscire senza esserne schiacciati, tramite queste tre componenti: la forza d’animo, il desiderio di condividere e superare la malasorte con altri compagni di sventura ed infine la speranza che il futuro, grazie a queste tre determinazioni, possa risultare migliore del presente. Ecco allora il primo contrassegno del nostro uomo, la condivisione con la gente dei problemi della vita e l’immedesimazione con le persone semplici, ma schiette, con le case umili o di ringhiera ( ce ne sono ancora) e non con i palazzi, con i più comuni luoghi di ritrovo di questa gente che sono le osterie e non con i moderni bar. Le quali osterie ( senza l’h davanti ) rappresentano per il nostro, il sentimento della nostalgia per quel passato che tramonta. E nello stesso tempo la partecipazione sentimentale per quei luoghi di verità, esplicitati anche dal detto in vino veritas, legati ad un’umanità che pur in tono a volte chiassoso e non sempre in punta di forchetta, rivela la natura dell’homo simplex in vitalitate e duplex in humanitate. Per intendere , con questo detto latino, l’uomo non deviato dalla tecnologia, dalla vocazione al successo fine a se stesso, dalla falsità di seguire modelli legati ai luoghi comuni finalizzati all’ascesa sociale costi quel che costi, infine dalla possibilità di perdere quella cultura spontanea fatta di solidarietà e partecipazione giustificativa, che accumunano i destini di tutti gli uomini semplici , generosi con poco e con tanta vocazione per la solidarietà e l’ amicizia. Se questo costituisce l’antefatto del nostro personaggio, la riprova sono le numerose pubblicazioni che parlano il linguaggio della gente popolare, il cui svago era il bicchiere di vino rosso. Meglio ancora lo scodellino che scuotendolo rivelava se il vino era sincero, attraverso la sua raccolta in colonne, mentre scendeva lungo le bianche pareti della terra cotta smaltata. E poi sappiamo che uno scodellino tirava l’altro e il senno non finiva sulla luna, come nel caso di Orlando, ma restava sulla terra, anche se in modo malfermo. Perché specie sulla strada del ritorno verso casa, le gambe, pur sollevate più del dovuto per trovare l’equilibrio, sembravano, ad ogni passo cedere come fossero corpi estranei, cosicché tutta l’andatura diventava incerta, barcollante e zizzagante. Due le pubblicazioni che meglio hanno espresso questo mondo in via di estinzione. Le enumero. Il Primo: Piacenza popolaresca delle vecchie borgate, edito in due volumi di grande successo di pubblico tanto che sono state eseguite tre ristampe. Il secondo: Vecchie osterie di Piacenza, anch’ esso di grande popolarità, libro tutt’ora presente nei vari mercatini dell’usato, anche se col passare del tempo sta diventando sempre più difficile reperirlo. Finirà in mancanza di una nuova ristampa col diventare introvabile. Ho parlato di giornalismo per il nostro e mi rendo conto di essere finito a trattare lo scrittore. Pazienza, ancora qualche notizia su quest’ultimo aspetto e poi ci dedicheremo all’altro. Continuando allora con la professione di scrittore, dopo la pubblicazione di un volume di Storia per Istituti tecnici e professionali, senza però abbandonare l’argomento vino con un libro scritto di recente: Vino al vino, Cultura, tradizione e proverbi, subentra in lui una trasformazione, vale a dire l’interesse per l’agricoltura. Le pubblicazioni al riguardo sono diverse ed oltre al libro sui Salumi piacentini, ricordo il più recente volume per il decennale dell’Agri Piacenza latte del 2011. Tralascio altre pubblicazioni che non aggiungerebbero nulla alla fama del nostro, mentre rischierebbero di annoiare i lettori e come promesso, passo all’attività giornalistica. Collaboratore di Libertà dal 1985 al 2000 , i suoi scritti sono innumerevoli, prima di carattere culturale e poi di argomento agroalimentare. Dimessosi da Libertà, passa quindi a: La voce e in seguito a : La cronaca fino alla chiusura di entrami i quotidiani. Attualmente è redattore del quotidiano on line, Il Piacenza.it e gli argomenti trattati sono di carattere economico, culturale, di sociologia locale e soprattutto, riecco il suo preferito, il tema agroalimentare. Tanto è vero che sempre in linea coi suoi attuali interessi, oggi è responsabile della rivista mensile: Latte e formaggio, edita in collaborazione con Agri Piacenza. Tralascio altri incarichi e mi concentro ora sul suo stile giornalistico. Scarno nell’uso degli aggettivi, mira subito al concreto, alla notizia di comune interesse, insomma alla sostanza. In lui le divagazioni e i barocchismi di forma sono evitati come la peste. Al pari di chi si trova di fronte ad un cane ringhiante e pronto all’attacco. Mai troppo esuberante nella lunghezza dei suoi pezzi, la caratteristica principale è la chiarezza nell’esporre i fatti e da storico si astiene da ogni interpretazione che potrebbe deviare il lettore dal vero, dal fatto oggettivo, onde sostituirlo con personalismi che potrebbero risultare discutibili e poco attinenti con la verità. Insomma in lui la scuola giornalistica si concretizza con la brevità, la concisione, la precisione nel raccontare i fatti. Il risultato, risultava un tempo, gradito ad ogni Direttore di giornale causa il ..risparmio della carta stampata quando il giornale era appunto cartaceo. Ed i commenti ai fatti? Sembra che a lui interessino poco o punto. Preferisce che gli altri, vale a dire i lettori, abbiano l’informazione quanto basta, per trarne commenti, interpretazioni e riflessioni. Questo per quanto riguarda il giornalismo. Tutt’altra cosa come romanziere specie nel recente romanzo, già menzionato, Il Cappello di nonno Gesuino, dove lo stile sembra avere una trasformazione . L’uomo che giornalisticamente sembrava troppo asciutto , rivela qui una disponibilità al tratteggio , dimostrando una sensibilità con la quale investe e riveste i suoi personaggi. E questo vale anche per la descrizione dei due mondi, quello nobile e quello rurale, trattati attraverso i due principali protagonisti, con piena conoscenza dei rispettivi tratti psicologici che condizioneranno il comportamento delle due vite. Le quali vite, si sviluppano nel loro ambiente, percorrendo un tragitto quasi segnato. Un destino quindi preannunciato attraverso lo svelamento dei loro caratteri, trasformati in una ineluttabile e concatenata successione di eventi che preannunciano il destino finale della loro vita. La forza, verdianamente parlando, di un destino cui non ci si può sottrarre perché ormai inscritto punto per punto, nella filigrana dei caratteri, evidenziati attraverso lo sviluppo progressivo dei vari capitoli. Io che ho letto forse per primo il romanzo, mi compiaccio nell’affermare che lo scrittore Romagnoli tocca in esso, vertici quasi pittorici , sorprendendo e smentendo con un calore e colore descrittivo, il ruolo di giornalista, essenziale e preciso sì, ma freddo. Passiamo ora a trattare l’altro aspetto del nostro, una scelta per la verità, non so fino a quanto da lui condivisa e che riguarda il suo passato di insegnante di italiano e storia. Essendosi diplomato all’Istituto magistrale Colombini della nostra città, come tutti i maestri che possiedono una buona preparazione umanistica, e per questo sanno scrivere bene, la sua cultura affinatasi poi all’Università è piena e completa, anche se un po’ al disotto rispetto a quella di un Liceo classico. Impressioni. Comunque consegue la Laurea in Pedagogia ad indirizzo filosofico all’Università di Parma nel 1973 col massimo dei voti. Il periodo di insegnamento, come detto, all’Istituto Raineri è lungo perché va dal 1981 al 2008. Come era come insegnate? Difficile dirlo per chi non ha testimonianze dirette. Come pure, è arduo dire se fosse stato più interessato all’italiano o alla storia. Sta di fatto che durante i molti colloqui che ho avuto con lui, durante alcune conferenze da me organizzate, la sua preparazione nella letteratura italiana era notevole. Ricordava infatti a memoria le poesie dei nostri migliori poeti in particolare Pascoli, per il quale aveva una predilezione. Per la Storia invece, mai ho avuto l’impressione fosse un argomento a lui particolarmente caro. Errore. Ricordo infatti un episodio che conferma il contrario. Si trovava una volta ad ascoltare le opinioni, riguardo un certo periodo della storia italiana, da parte di un collega. Ed in quel caso non stette nelle misure. Con un risentimento, anche un po’ astioso, bollò in privato con il sottoscritto, il rivale accusandolo di partigianeria e di non attenersi ai fatti. Mi sembrò la sua reazione un po’ esagerata, e senza voler entrare nel merito della polemica, mi sembrava fosse una questione non solo di sostanza, ma di tipo anche caratteriale, per giustificare il suo eccessivo fuoriuscire, come si dice ,dai ranghi. E proprio del carattere ne parleremo fra un po’. Ritornando all’insegnamento, deduco sia stato un buon insegnante sulla base delle attenzioni e dei saluti che riceve tuttora dai suoi allievi e dai colleghi che incontra per strada. Diverse volte infatti mentre passeggiavo per le vie del centro con lui, mi sono accorto di quanto fosse entrato nelle loro simpatie. Alla sua vista, nessun allievo scantonava, anzi presentandosi con nome e cognome per scongiurare la dimenticanza dopo i diversi anni trascorsi e ricordando quei tempi della scuola, era tutto un parlare rispettoso, del tipo : saluti professore, come sta, non si ricorda di me? Questo fra gli studenti, diverso il tono invece da parte colleghi che rivolgendosi a lui, parlavano del tempo andato, con frasi nostalgiche del tipo : oggi la scuola non è più quella di un tempo quando c’eri tu e l’insegnamento è scaduto di molto. E poi per colorare ancora meglio i nuovi tempi, questi gli altri commenti: nessuno fa più le tue lezioni, ma ormai ci si accontenta di un nozionismo appiccicato senza nessuna voglia di sviluppare bene i programmi. Di proporre cioè le figure dei nostri scrittori e poeti con la lettura diretta delle loro opere col risultato di non riuscire a cogliere e a trasmettere l’essenza della loro arte. Sincerità? Nostalgia del passato che non torna? Chissà. Forse un po’ uno e un po’ l’altro. Detto questo, dopo aver trattato l’aspetto del giornalista- scrittore e dell’insegnante, non rimane che trattare quello dell’uomo che non è meno interessante. Di buona presenza, senza appesantimenti di adipe e con una struttura muscolare allenata da frequentazioni presso una nota società canottieri piacentina sia in palestra che in piscina, la sua muscolatura-dicevo- è resa sufficientemente elastica anche dalle corse lungo gli argini del Po. In sostanza non dimostra la sua età. Ma trattasi di un’età che non posso rivelare in quanto nell’intervista fattagli prima di scrivere questo ritratto, non l’ha voluto precisare. Vanità? Forse solo dimenticanza. La risposta è rivolta a chi vuole interpretarla ( parlo dell’età) come può e come vuole sulla base del suo aspetto fisico, che , a parere mio -ripeto- confligge con l’età anagrafica. Concorre in questo, anche il suo modo di vestire. Mai classico, ma sempre sportivo. Mai in cravatta, ma sempre a colletto slacciato. Mai in paletot, ma sempre in giubbotti, per la verità di una certa qualità ed eleganza per chi ama la tenuta sportiva. E poi ancora, mai in vestito completo anche durante manifestazioni ufficiali, ma sempre in spezzati giovanili di buona taglia i cui abbinamenti in fatto di colori pastello, conferiscono alla figura un tocco di modernità discreta e misurata. Unica eccezione il tabarro che quando indossa con l’immancabile cappello a feltro a larghe tese, lo riportano indietro nel tempo, al ricordo dei personaggi descritti nel suo romanzo. Quando nella pianura padana, la nebbia era talmente fitta ( ora on più) che ti penetrava fin dentro le ossa. Per cui il modo migliore per ripararsi era quella lunga stoffa di spesso panno grigio-nero che avvolgeva tutta la persona dal collo fino quasi ai piedi. Il quale tessuto, garantiva protezione dal freddo anche alle mani che si infilavano sotto quel mantello avvolgente la persona, finendo ad avvolgimento completo, per doppiarsi onde creare quindi, come da definizione, una doppia ruota. Se il modo di vestire rivelano il carattere, a differenza di quanto si è sempre detto, sbagliando, a proposito dell’abito che non fa il monaco, quello del nostro uomo( parlo del carattere) è normalmente gioviale e portato al dialogo. Ma attenzione, non è sempre costante. Al fondo c’è anche un lato più ostico, quasi spigoloso, soprattutto quando il nostro personaggio, si convince , per i più disparati motivi, che una persona o mente o dimostra di mentire. Oppure quando si imbatte nell’arroganza e nel pregiudizio, che per lui diventa intollerabile prevaricazione, se non di gesti, di idee. Allora la critica in lui erompe facile ed il giudizio diventa tranchant. Insomma di fronte all’offesa o alla presunta offesa, la reazione è puntuale, pur nell’ambito di un’ educazione civile e mai volgare. Oltre a questo c’è un altro spetto del suo carattere che lo rende simpatico e antipatico quasi nello stesso modo. La paura della malattia. Non ci sono vie di mezzo. Quando pensa in modo negativo ad un sintomo che in lui si manifesta, la personalità sembra sfaldarsi anzi sembra che il mondo gli crolli addosso. Presagi funesti e prospettive di imminenti sciagure fisiche, entrano nella sua mente e non c’è verso di indurlo a ragione. Difficile a questo punto definirlo un razionale con esasperazione del sentimento o un sentimentale che ha mandato temporaneamente in vacanza la ragione. Quale dei due tipi in quel momento prevalga, poco importa, perché entrambi si presentano coagulati a togliergli sia il sonno che la tranquillità. Ci vuole tempo per spegnere quel fuoco emozionale, tutto dipinto di nero. Fortunatamente poi il tempo stende la sua coltre di dimenticanza e tutto si spegne, compreso quel sintomo iniziale causa di tante allucinazioni. Se queste sono per lui un dramma, l’alternativa per chi gli sta al fianco, è la sopportazione o la fuga. Ma è la prima a prevalere nettamente, causa la stima di cui gode. .Mi rendo conto che sto un po’ esagerando, anche se bisogna ancora aggiungere qualche particolare. Che spento il fuoco nemico della paura della malattia, subentra poi quello amico quando ritornando la normalità e riprendendo le sue occupazioni salutistiche , le corse lungo il Po, il pensiero con la convinzione del ritrovato benessere, va nella direzione opposta, quella dell’illusione di ritenersi quasi immortale. Al momento di abbandonare il nostro personaggio, mi viene alla fine spontaneo citare un aforisma di O. Wilde a proposito della malattia e della vecchiaia. Questo: il dramma della vecchiaia non è tanto l’età che avanza, quanto l’illusione di sentirsi giovane. Quella stessa illusione che dopo il terrore della malattia, prende il nostro uomo proiettandolo nella dimensione della giovinezza perenne, già conosciuta dal dramma di Goethe a proposito di un certo dott. Faust. Momento di fugace follia allora il suo? Può essere, ma in suo soccorso viene a proposito, il grande Erasmo da Rotterdam col suo elogio della follia, intesa come la vera compagna degli uomini di intelletto e di genio.

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