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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Ritratto di Massimo Baucia

Strana cosa questo ritratto. Perché? Per il fatto di volere scrivere di un personaggio che non ama scrivere. Tuttavia questo stesso personaggio appassionato com’è di lettura, mi offre l’ occasione di intestardirmi a buttare giù queste note. Di approfittare della smoderata (si fa per dire) passione per la lettura da parte del nostro e così rischiare di essere a mia volta letto e soppesato in riferimento a tutti gli altri innumerevoli scritti contenuti nella Biblioteca. Piccolo fra grandi allora diventa il mio proposito di scrivere questo ritratto, che ho appunto per questo definito una cosa strana. Tradotto in altri termini, ecco allora spiegato il motivo della riserva con cui ho iniziato questa mia nota. Detto questo, mi preme dire di riportare riga su riga quello che penso sul nostro personaggio, del quale ho già rivelato un particolare importante avendo parlato di biblioteca. Ma non nella forma minuscola ma in quella con la iniziale grande, come si conviene quando si tratta di una Istituzione. Superate allora queste premesse, diventa subito scoperta l’identità lavorativa del nostro uomo, anche per chi avulso dalle cose piacentine non avesse ancora colto chi sia e cosa faccia . Cosicchè nonostante per molti sembri superfluo, vale la pena riportare la sua qualifica : Conservatore del Fondo Antico della Biblioteca Passerini-Landi. Trattasi allora di un vecchio parruccone, sopravvissuto quasi per magia, in base alla citata qualifica, che rimanda ai tempi di quei posticci del capo fatto di chiome fluenti su teste calve? Oppure di un personaggio ibernato e poi riportato alla vita, che rimanda al tempo degli incunaboli di cui la nostra Biblioteca ne conserva gelosamente non pochi esemplari, ma addirittura un migliaio? Cifra questa di assoluta unicità che dovrebbe proiettare la nostra Istituzione libraria nel Gotha delle più autorevoli biblioteche mondiali, se noi piacentini avessero un maggiore culto verso la nostra radice storica e non ci dimenticassimo, come troppo spesso avviene, delle nostre antiche tradizioni. Poiché questa riflessione, ci porterebbe fuori tema, è meglio allora non commettere l’errore di allontanarci dal nostro personaggio. Quindi per riallacciare il filo del discorso, se non è un parruccone, inteso nel senso di possedere una folta parrucca, non di meno ha un foltissimo crine naturale di un colore oscillante fra l’antica e giovanile tinta di un nero corvino ed il nuovo pelo, dove il grigio si fa via via sempre più strada fra le fitte ciocche, a denotare l’età che avanza. Quindi per concludere, escluso il portatore di parrucca, neppure ci sta l’aggettivo vecchio, prima usato con l’intento di ancorarlo ai secoli passati . Infatti non possedendo il dono della longevità alla Melchideseck, per intenderci, Il nostro uomo anche se fiondato nelle scaffalature di libri antichi, le cui edizioni più recenti datano cinquecento anni dopo la svolta dell’anno mille e non più mille, può essere definito, una persona moderna. Di una certa età, sì, ma non vecchio. Per meglio precisare il tempo, mettiamolo allora in uno stato anagrafico della terza decade degli anni anta. Ma tuttavia ancora tonico nel fisico, che appare leggero ed asciutto e moderno nel modo di rapportarsi con la gente, dal fare corretto anche se schivo. Lo confermo infatti dopo averlo conosciuto personalmente ed aver scambiato con lui qualche confidenza. Silenzioso di suo, non ama il parlare troppo insistito, specie se questo non coglie la sfera dei suoi interessi. E quali siano questi interessi, lo dicono in abbondanza la serie dei volumi che nelle varie scansie della Biblioteca, stanno in silenzioso ascolto onde apprezzare qualche notizia che li riguarda, da parte di un possibile visitatore appassionato di cultura storica. Non che ambiscano (parlo dei libri) a qualcosa di veramente importante, solo si accontenterebbero di un vago ricordo. Di una citazione, anche se non appropriata. Di una riflessione approssimativa, riguardante un periodo storico che qualche autore ha scritto in una dimenticata pagina di un antico volume, da troppo tempo precluso alla lettura nel succedersi della polvere del tempo. Se allora in via ipotetica, questi volumi, metaforicamente umanizzati, nella loro immobile stazionarietà, starebbero in attesa di un piccolo risveglio da parte di una citazione, così anche il nostro personaggio, trova un analogico rapporto nel misurarsi e con l’ambiente e con i frequentatori. Il che vuol dire adattarsi all’interlocutore di turno, nonostante la propria naturale ritrosia al colloquio insistito. Intendiamoci, non è che si noti alcuna presupponenza da parte del nostro, e nemmeno il tipico senso del distacco da parte dello studioso, inteso come un segno di presupponente distinzione elitaria. No, no, il suo stile riguarda solo una naturale timidezza nel colloquiare, tipica di chi è abituato a leggere e consultare volumi storici. Onde poi conservarli con l’accuratezza e l’amore come fossero dei figli. Che non protestano mai e mai discutono. Succede allora che nei dialoghi con la gente le sue risposte ( difficile che faccia domande) sono allora cordiali, ma nello stesso tempo ossute, stringate, anche se perfettamente centrate sull’argomento. Più che parlare, ama osservare e le frasi sono misurate e logiche come chi pensa prima di aprire bocca. Quindi non per dare aria alle corde vocali, ma per immettere quell’ afflato sufficiente per farle vibrare nel modo pacato e riservato che gli è proprio. Il tutto con calma, senza variazioni di timbro o di suono. Trattasi insomma di una precisa medietas vocale di chi rifiuta i toni troppo alti al fine di non disturbare quei metaforici figli, prima citati, che si presentano sotto le vesti tipografiche dei vecchi volumi. I quali fragili nella loro vetustà, soffrirebbero sia le parole vacue ed inutili, che quelle troppo inclini al decibel assordante. Ecco allora, come si può definire l’uomo in questione. Una perfetta aderenza con l’ambiente. Una piena corrispondenza fra le sue letture e le parole, le quali una volta dette superano di gran lunga quelle non dette. Fatte queste premesse, non bisogna commettere l’errore di sminuire l’importanza dell’uomo, specie oggi dove tutto si traduce in parole vuote e in una visibilità effimera . Anzi il suo merito è proprio quello di andare contro la moda. Un caciarone in biblioteca non solo sarebbe fuori ruolo, ma non darebbe nemmeno l’immagine seria e coinvolgente di un Curatore di libri antichi. Ecco allora come la nostra Biblioteca abbia trovato in lui, la persona giusta. Quella che si muove in modo felpato e che non disturba per non essere disturbato. Che è sempre presente perché non ha il tempo di distrarsi. Che studia l’antico e cerca di ammodernare il moderno, aprendolo alle nuove generazioni attraverso la digitalizzazione dell’intero patrimonio esistente. Che infine non si mostra, in quanto preferisce dimostrare di essere e di valere. Non con le parole ma, come detto, con i fatti. Ma c’è di più. Per lui, va infatti citata una virtù che sembra oggi non essere più di moda: la modestia. Ecco allora il punto essenziale. Solo chi sa nell’ambito del suo impegno lavorativo, non abbisogna di fanfare e di squilli di tromba. Infatti i messaggi più silenziosi sono quelli che maggiormente coinvolgono le persone che pensano e poi attuano il modo per uscire dalla quotidianità. Frequentando, come nel nostro caso, i testi della Biblioteca, per trovare in essi il nutrimento ideale, dell’ essere e dell’ agire. In questo e per questo, diventa non sostituibile la figura del nostro uomo, dedito - lo ripeto - in modo quasi sacrale al proprio lavoro, tanto da diventare quasi un tutt’uno con i suoi libri. Suoi non nel senso della proprietà, ma in quello dell’appartenenza culturale. Una passione questa fatta di amore, rispetto e sobrietà, al fine di interagire al meglio con il respiro dell’ambiente. Che se non porta aria fresca ai polmoni, offre però un altro tipo di vantaggio fisico e psicologico insieme. Che metaforicamente parlando, diventa una ossigenazione mentale in grado di garantire un altro respiro, onde proiettare i suoi benefici in tutto l’essere per renderlo silenziosamente e coscienziosamente soddisfatto. E spesso anche armoniosamente in pace con se stesso. Fatte queste libere considerazioni, passiamo ora alla nostra amica fisiognomica, per coinvolgerla attraverso l’interpretazione dei segni fisici, al fine di trovare conferma o smentita di quanto finora detto sul nostro personaggio, in base a questa premessa: che il nostro aspetto si modella a poco a poco sul nostro stato di coscienza, tanto che con trascorrere degli anni, diventa il contrassegno e l’immagine dei nostro sentimenti, delle ambizioni e di tutti gli aspetti psicologici del nostro modo di essere. Dei capelli abbiamo detto, ma non ancora tutto, in quanto essi contribuiscono a dare del volto una immagine che ci spinge alla fantasia dei riferimenti zoomorfi. Dunque per entrare nel merito, questa la chiave interpretativa. Se i capelli sono lunghi lisci e ondulati come nel nostro caso, palesano un aspetto mite, tipico di un carattere dolce e tranquillo. Più propriamente riservato. Se però i capelli, cui nel caso nostro, va aggiunta la barba ed i baffi che ricoprono gran parte del viso, i capelli -dicevo- se si presentano di aspetto ingrigito e per giunta curati in modo non maniacale, il volto cambia il suo stato. Per cui continuando con i riferimenti zoomorfici, l’immagine ci rimanda al cane il cui contrassegno non è la prodigalità. Oppure ad un canide non domestico e aggressivo, tipo il lupo che rivela una vocazione alla tenacia ed una ferma determinazione ad assecondare una natura abituata a non cedere ai compromessi. A questo proposito obbedendo alla dottrina scolastica, viene alla mente la Prudenza che si identifica con tre testi di animali. Il leone violento e aggressivo, espressione di intelligenza nel catturare la preda. Il lupo manifestazione della memoria che rapisce i ricordi come fossero conquiste. Ed infine il cane, di cui abbiamo già detto, che esponendosi alle speranze future rivela la virtù della previdenza. Dunque, scolastica a parte, in base a questi primi caratteri, si nota una strana contrapposizione fra due nature per quanto riguarda il nostro uomo. Quella calma e pacifica e l’altra forte e determinata a non farsi influenzare dalle circostante. Una contraddizione che sembrerebbe difficile da ricomporre, ma che in realtà è solo apparenza. Infatti si può essere di temperamento dolce e mite, ma nello stesso tempo determinato a raggiungere i propri scopi. In altri termini non una personalità fluttuante in base agli eventi, ma pur nell’ambito di un comportamento rispettoso del codice civile e morale, una figura che rivela chiarezza di intenti nel raggiungere gli obiettivi previsti. Come dire dolcezza di tratto, ma determinazione di stato. Ma andiamo avanti e passiamo allora alla fronte. Questa debolmente bombata e sufficientemente ampia, presenta numerose pieghe trasversali. Pensieri e preoccupazioni di una vita non sempre facile ne rivelano la natura, con l’evidenza di quelle increspature che si approfondano fino a simulare veri e propri solchi. Alla fronte, seguono poi gli incavi degli occhi, incorniciati da due sopracciglia cespugliose che strano a dirsi, sono la parte del viso che al pari degli occhi esprimono maggiormente le passioni dell’essere. Soprattutto se si inarcano in alto o in basso a seconda delle varie e mutevoli emozioni. Nulla di tutto questo però, vale per il nostro uomo. La loro caratteristica infatti è quella di stare fermi, quasi immobili. Il loro l’intento è quello di celare più che di mostrare. Ritorniamo agli occhi. Prima parlavo del loro incavo e nulla è più appropriato trattandosi non solo di un semplice avvallamento, ma di un vero e proprio infossamento. Grazie anche alla cerchiatura degli occhiali, sempre presenti, che danno l’impressione di allontanare maggiormente le pupille. Le quali, piccole e strette, causa la miopia, guardano fisse verso il basso. L’impressione è allora quella di osservare più le emozioni interne che quelle esterne . Impressioni appunto. Procedendo con i segni fisici, un aspetto particolare merita il naso, anch’esso legato ad una visione contraddittoria. Infatti, lungo ed arcuato, sta a rivelare la tipologia degli uomini illustri, che fin dai tempi antichi erano individuabili attraverso nasi aquilini. Ma attenzione, questa interpretazione, vale solo se questi si accompagnano a fronte alta e spaziosa e a folte sopracciglia. Diversamente il naso, diventa simile al becco di un pappagallo e rivela il carattere vanitoso e chiacchierone. Decisamente, per quanto riguarda il nostro, optiamo decisamente per la prima interpretazione. Ed ora le guance. Non di colorito roseo, ma terree, sono espressione di una sanguificazione ostacolata da pensieri e preoccupazione. A dare conferma, contribuiscono le due profonde pieghe naso labiali, che non si accontentano del loro stato. Ma pretendono un’aggiunta, rappresentata dalle fossette guanciali tipicamente infantili, le quali quando si evidenziano nell’età adulta, contrastano con la loro origine, diventando segnali di tensione e non di simpatica innocenza. Per concludere un cenno al mento e alle orecchie. Entrambi questi elementi, regolari sia nella forma che nelle dimensioni, non offrono nulla di particolare all’interpretazione fisiognomica. Se non l’impressione generale di un viso particolare, dove i tratti piacevolmente condivisi dalla tipologia di genere, si alternano ad altri molto particolari , rivelanti un carattere individuale , difficilmente ritrovabile nel mercato dei visi comuni. Dunque nel bene o nel male, trattasi di un vero e personalissimo carattere con i suoi pregi ed anche qualche difetto. Sembrerebbe questa una conclusione scontata, ma la stessa la troviamo pari, pari, nella nota biografica che riguarda il nostro personaggio. Infatti nella sua descrizione, vi anticipo, troveremo sia il bandolo della matassa espresso da un preciso ordine nella realizzazione degli obiettivi di vita, sia i numerosi fili sparsi all’inizio che piano piano dovranno essere riuniti ed ordinati. Ma entriamo allora nel merito. Il nostro nasce a Voghera il 18 giugno 1956 e lì rimane fino alla maturità scientifica . Ecco allora, fin da subito, un primo punto interrogativo. Non il liceo fin dall’inizio, ma un primo biennio presso l’Istituto di tecnica industriale, scelto forse per volontà dei genitori. Tuttavia il nostro personaggio si accorge presto che questo studio non fa per lui. La sua strada è un’altra. Infatti dopo il biennio abbandona lo studio tecnico e si iscrive al liceo scientifico cittadino, Galileo Galilei. Il nuovo percorso si abbina ad un ottimo profitto e come già detto, presto si diploma con la maturità. Anche se da piccolo, il nostro ambiva a diventare scienziato o medico, la via, a questo punto, sembra tracciata e l’iscrizione alla facoltà di Lettere alla prestigiosa Università di Pavia ne rappresenta il suggello iniziale e finale insieme. La città di Pavia, sede millenaria dell’Università è anche la sede dei grandi collegi quali il Ghislieri ed il Borromeo. Ma c’è anche un altro collegio altrettanto prestigioso di origine austro- ungarica che di nome fa Cairoli. Il nostro si presenta a questo collegio, supera brillantemente l’esame di ammissione ed entra con borsa di studio nella schiera dei suoi studenti. Studio intenso e appassionato, quello pavese, dove il clima universitario fatto di seminari e conferenze, fra professori qualificati provenienti da tutta Italia, stimola in lui la sua vera passione verso la lirica cinquecentesca e le opere dei grandi della letteratura italiana quali Dante, Parini, Tasso, Foscolo, Manzoni. La passione, come dicevo, è tanta ed i suoi maestri di cui val la pena , qui di seguito, ricordare, corrispondono ai nomi di Cesare Segre, Maria Corti, Dante Isella, Franco Gavazzeni, Maria Antonietta Grignani, Luigi Poma, Angelo Stella, Antonia Benvenuti Tissoni e Cesare Bozzetti. I quali contribuiscono con i loro stimolanti insegnamenti ad incentivare l’attrazione fatale verso la letteratura, del nostro giovane studente. In particolare sarà Cesare Bozzetti che con le sue indimenticabili lezioni di filologia italiana a spingere il nostro ad infervorarsi della storia della lingua italiana, della filologia romanza, della filologia medievale ed umanistica ed infine della già menzionata, filologia italiana con la quale e per la quale si laurea nel 1982 . Un traguardo questo raggiunto, dopo aver volutamente, per propria scelta, ritardato alcuni esami per meglio approfondire le materie letterarie ed umanistiche. Particolare curioso a questo punto da citare la tesi di laurea su un argomento piacentino. Ecco il titolo: Contributo allo studio della poesia volgare a Piacenza nel secondo cinquecento. Perché la scelta di un argomento piacentino? Due i motivi. Il trasferimento nella nostra città della famiglia per ragioni lavorative del padre, che avviene verso la fine del liceo e la frequenza del nostro, durante tutti i fine settimana , della Biblioteca Passerini- Landi dove conosce il prof. Vittorio Anelli, col quale stabilizzerà da parte sua, un rapporto profondo fatto di stima e amicizia. Intanto collabora con il bollettino storico piacentino e inizia un percorso di insegnamento presso scuole private e pubbliche della città che si interrompe quando vince il concorso bandito nel 1997 dall’Amministrazione comunale di Piacenza come Conservatore del Fondo Antico della Biblioteca. Il post laurea è gravato da lutti . Muore infatti il padre ed uno dei due fratelli, ma pur in una vita non sempre facile, il nostro raccoglie significative soddisfazioni di carriera. Una di queste legata ad un lavoro di grande mole ed importanza riguardante la partecipazione alle attività di censimento delle edizioni del sec. XVI nelle biblioteche dell’Emilia Romagna, promosso dalla Sovrintendenza. Lavoro poi esteso alle edizioni cinquecentesche di tutto il territorio regionale, comprese le biblioteche ecclesiastiche e private. Oltre alle soddisfazioni anche un vanto: la schedatura di gran parte delle edizioni cinquecentesche della nostra Biblioteca. E poi il censimento degli incunaboli assieme ai suoi collaboratori, i cui risultati si trovano in una banca dati online comprensiva, come già ricordato, di quasi un migliaio di volumi. Intanto la Biblioteca conosce i suoi disagi. Nel 1985 per ragioni di ristrutturazione chiude e trasferisce gran parte dei volumi in via Neve, mentre quelli del Fondo Antico in Via San Vincenzo. Solo a ristrutturazione completata nel 1998, ritornano in sede sia i volumi moderni, sia quelli antichi nel 2000. Per sintetizzare, altre occupazioni del nostro sono la realizzazione della Medioteca, legata all’informatizzazione per la gestione del catalogo e dei prestiti. Quindi la Realizzazione del catalogo storico e digitalizzato della stessa Biblioteca e per finire la valorizzazione di tutto il patrimonio dei libri che comprendono testi di botanica, anatomia architettura ed infiniti altri. Il tutto attraverso manifestazioni culturali svolti in sede con la collaborazione di altri Istituti fra cui ricordiamo il Collegio Alberoni. Ed ora un particolare interessante e curioso del nostro personaggio: egli non ama scrivere. Lo dice lui stesso e ne giustifica i motivi. Questi. Lo scrivere sottrare tempo alla lettura dei suoi adorati libri e non rappresenta per lui un autentico merito. Anzi spesso scrivere rappresenta un mezzo per segnalare una produttività fittizia e troppo spesso diventa l’occasione di una meritocrazia apparente. Credere alle sue parole? Sì e no. E’ infatti vero che la lettura dei grandi, crea fra gli scrittori attuali, dei pedissequi imitatori di quelli autentici uomini di lettere e di studio. Ma è vero anche in contrario. Nessuno diventa grande in letteratura, se non scrive. L’eccezione , per la verità esiste in filosofia, ed è rappresentata da Socrate che non ha mai dedicato alla scrittura alcun interesse, demandando all’allievo Platone le sue riflessioni, compresi i dialoghi. Tuttavia Socrate a parte, potrebbe anche darsi che quel modo di esprimersi del nostro, sia solo un vezzo. Oppure una espressione di modestia E non è detto che anche chi rimane restio a scrivere, quando esce dal suo isolamento, non possa meritare qualche motivo di apprezzamento. Comunque poiché non esiste al riguardo una verità unica, meglio chiederci in chiusura chi è il nostro personaggio. La risposta è semplice e compressa insieme. Trattasi infatti di un personaggio dal carattere pieno di sfumature , caratterizzato soprattutto dalla volontà di affermarsi attraverso una passione autentica. Lo studio dei grandi ( ecco che ci ripetiamo) e la passione per i libri antichi che lo ancorano ad altre epoche meno futili di quelle attuali. Forse. Ma , per chiudere con il ritratto, alle tante citate sfaccettature di un carattere che è comunque un carattere, è giunto il momento di riconoscere, in lui, un’anima candida che non si rassegna al culturalmente corretto. Un’anima utopica, sensibile e sentimentale che dopo aver trovato la stabilità di carriera all’età di 41 anni , chiude la sua biografia con una nota tristemente rassegnata allo scorrere del tempo. Infatti fra 4 anni -lui dice- subentrerà la pensione e senza il raggiungimento del tetto contributivo. Ma ecco che riaffiora la già citata, nobile anima. Poco importa egli continua, in quanto c’è sempre qualcuno che sta peggio. Ed il riferimento ai suoi giovani collaboratori per i quali la pensione rappresenta un miraggio, è talmente presente, da costituire in lui il segno tangibile di un’umanità consolidata nel tempo, attraverso le numerose prove, sempre vinte, della sua per certi aspetti laboriosa e prestigiosa, anche se non sempre facile, esistenza.    

Ritratto di Massimo Baucia

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