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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Ritratto di Roberto Laurenzano

Dei ritratti questo è il più gratificante non solo per chi scrive ma per il protagonista. Il quale di premi e riconoscimenti ne ha raccolti a iosa durante la sua molteplice attività nei vari campi della amministrazione militare e civile, senza dimenticare quelli che anche ora come pensionato nell’ambito lavorativo ma non in quello dell’attività culturale, coglie e raccoglie con inalterata e copiosa messe di onorificenze. Detto questo, non sembri che io stia esagerando e neppure che voglia dare l’impressione di sopravvalutare meriti ed elogi a danno dei contenuti. Neppure per sogno. L’uomo in questione da questo punto di vista rappresenta uno strano connubio di volontà e di costanza nel raggiungere gli obiettivi previsti. Per lui, è vero, c’è il sospetto che la forma sia importante come mezzo di gratificazione, ma non a scapito del merito, guadagnato attraverso studi regolari e qualificanti e l’intensa attività lavorativa che in campi apparentemente diversi e discontinui lo hanno sempre visto ai vertici delle situazioni gerarchiche. Intendiamoci nessuna volontà di sopraffazione ha caratterizzato la sua esistenza. Anzi strano ma vero sembra quasi che la sua vita sia sempre stata improntata ad un unico valore: il sacrificio dell’impegno sia negli studi che nell’attività lavorativa. Il suo intento, quello di potere esprimere quei talenti a lui offerti da madre natura e che nel caso in questione potremmo attribuire ad una componente genetica. Questo in considerazione dei suoi antenati che in una famiglia di antiche origini si sono sempre distinti per meriti intellettuali e per comportamenti di natura morale. Se quanto detto, può apparire un elogio forse un po’ retorico mi rifaccio allora ad una frase del nostro che una volta diventato Procuratore Legale, non ha voluto affrontare la carriera giuridica. Perchè non si sentiva in grado di poter valutare l’operato dei suoi simili. Una ritrosia umana, la sua, che associata ad una fede religiosa lo ha sempre posto nella condizione di astenersi da ogni giudizio , rimandando ad un altro Giudice,l’unico per lui abilitato a valutare le bassezze umane al fine di esprimere quella sentenza che sarà definitiva per tutti i comuni mortali. Dunque al nostro, insisto, va riconosciuta una qualità che difficilmente si ritrova come caratteristica di comune riscontro nei rapporti umani. Trattasi allora di una bontà di fondo che unita ad un tratto gentile votato alla naturale condivisione della condizione umana, lo proietta in una dimensione non comune in fatto di rapportarsi con la gente. Nessuna ostentazione in fatto di saccenza , emerge infatti dalle sue parole durante le sue esternazioni, anche le più fortuite. Quindi incontri e mai scontri. Anzi, in lui emerge una certa ritrosia che è meglio chiamare modestia, tipica di chi sa ma non vuole ostentare. Una naturale discrezione come contrassegno specifico di una personalità che preferisce trovare punti di incontro con l’interlocutore piuttosto che evidenziare dissapori o dissensi. Sono allora gli elogi, forse anche un po’ eccessivi,che diventano il modo di rapportarsi con gli altri, cui non manca mai un sorriso di compiacenza che si stampa sul suo viso a dimostrazione che il contatto umano ha provocato al suo primo insorgere una condivisione, che potremmo chiamare amicizia se non avessimo il dubbio di usare una parola, troppo impegnativa per essere smerciata con troppa semplicità. Ma inutile disquisire. Il nostro personaggio è fatto così, tutta apertura e nessuna chiusura. Tutta disponibilità al dialogo e niente riserve mentali. E ancora. Tutta vocazione agli elogi e nessun cedimento alla polemica. Per alcuni potrebbe essere la sua, una posa, voluta e prima ancora studiata al fine di attirare simpatie attraverso l’elogio non sentito. Ma non è così. La sua natura è questa e si mantiene integra indipendentemente dal tempo dal modo dal tipo di persona e dall’argomento trattato. Un frate francescano non potrebbe essere più adatto a evidenziare in ogni cosa umana, quel lato positivo presente in ogni uomo pur fra mille contraddizioni. Da interpretare come elemento di lode per Chi ha creato tutte le cose. Meglio ancora per stare in tema, per bontà infinita di Colui da cui derivano tutte le creature. E fra queste oltre a frate sole e sorella luna e alla madre terra, anche quel mistero vivente che è l’uomo, il quale di tutto ha provato nella sua illusione di potenza, ma nulla ha potuto contro la sorella morte. Dunque se ho espresso queste considerazioni per il nostro personaggio, sono convinto di non aver esagerato nell’attribuirgli meriti e qualità. Se poi in lui si riscontra un pizzico di vanità, questo è un ingrediente che fa parte della natura umana. Comunque se c’è, torno a ripetermi, è mascherata al punto di non poterla notare. Fatte queste premesse, come è mio costume cerco il riscontro di quanto ho detto nella fisiognomica che mi consente di riportare l’antica scienza dei segni fisici come espressione dei moti dell’animo. Cominciamo allora con una premessa, piaccia o non piaccia alla psicologia moderna. Questa : che il nostro aspetto si modella nel tempo secondo l’evoluzione del nostro stato di coscienza, finchè col trascorrere degli anni, diventa l’immagine sempre più corrispondente dei sentimenti, degli affetti, delle aspirazioni delle ambizioni e dei desideri di tutto il nostro essere. Detto questo esaminiamo il viso nel suo insieme per evidenziare una certa regolarità in tutti i particolari ad eccezione del naso, aggettante e di dimensioni non certo trascurabili che conferisce un carattere al nostro personaggio a non sottovalutare attraverso gli odori, le sensazioni ed i particolari delle cose. Dall’insieme dicevo emerge una figura che fa pensare all’arconte della tipologia greca. La fronte alta e liscia che non lascia intravvedere pensieri di preoccupazione, fa invece pensare come ogni particolare sia in linea con le aspettative ed i comportamenti da seguire. Insomma nulla di troppo ma nemmeno nulla di troppo poco. L’equilibrio diventato connaturale si appropria di una figura che traduce col sorriso questo modo di intendere le cose. I capelli lisci ed ormai bianchi evidenziano una stempiatura tutto sommato gradevole che rende la persona nel suo processo di passaggio di età, ormai giunto alla terza fase, una nobiltà d’insieme in grado di offrire una stato di normalità dignitosa come chi in età non più verde, se perde qualcosa nella bellezza giovanile dei lineamenti ne acquista una seconda meno fresca ma più vissuta e quindi più autorevole. Trattasi di una consapevolezza nel voler accettare il destino senza rimpianti ma nello stesso tempo senza perdere fiducia nel futuro. Questo da parte di chi la vita l’ha vissuta pienamente e continua a viverla con il medesimo entusiasmo di quando era giovane, consapevole di aver dato tanto e di aver ottenuto in cambio quanto può bastare per chi ha in testa sani principi. Continuiamo però nella nostra disamina e passiamo agli occhi. Questi non grandi, guardano in superficie e sembra non stimino l’introspezione troppo elaborata né la sguardo lontano, troppo poco certo. Insomma tutto deve essere chiaro e palese e non necessitano sforzi visivi per interpretare particolari incerti o effimeri. Al di sopra degli incavi degli occhi due sopracciglia regolari e disposti ad arco senza sollevamenti che sarebbero tipici di una mente nervosa e irascibile, dimostrano la natura del nostro uomo, votato alla calma e al bisogno di sdrammatizzare gli eventi. Del naso abbiamo già parlato, ma una seconda considerazione va fatta, in quanto rappresenta un topos immutabile per l’analogia zoomorfa. Infatti non rostrato né adunco ma piano e sviluppato in orizzontale, esprime sia una buona natura che una buona forchetta. Impressioni le mie non suffragate da fatti o testimonianze. Ma poiché la fisiognomica ha le sue prerogative, mi spingo ad interpretarle senza avanzare commenti. E visto che bisogna insistere va ora detto delle guance. Paffute e arrotondate disegnano due profonde pieghe naso labiali, espressioni non di preoccupazione o lamenti, ma solo dell’abbondanza delle stesse guance dal colorito roseo come sono i visi ben sanguificati e metaforicamente parlando vivificati da buoni e vivaci propositi. Di tutto abbiamo fino ad ora parlato ma non di quanto mi preme precisare ancora a proposito del sorriso. Perché se è vero che come già detto appare sempre in quasi ogni circostanza, esso non è mai un sorriso stereotipato. E men che meno falso o di circostanza, perché rappresenta la vera caratteristica del nostro uomo. Un sorriso dunque che illumina tutto il viso e dà il senso della natura vera dell’uomo in questione. Affabilità, correttezza e calma serafica il suo contrassegno, luce del volto e luce interiore fatta di ambizioni realizzate, di soddisfazioni raggiunte, di certezze di comportamenti tutti improntati alla condivisione delle comuni ed umane sorti. Per chiudere con la fisiognomica nulla di particolare traspare dalle orecchie, ben appoggiate, appianate alla testa e di dimensioni regolare, mentre un cenno lo merita il mento. Questo abbastanza aggettante e terminante con una punta arrotondata nel suo centro, dimostra carattere e sicurezza in fatto di ambizioni e obiettivi da raggiungere. Insomma dall’insieme dei segni, questa la natura dell’uomo: un carattere in apparenza umile, ma un carattere vero. Disposto alla soluzione fraterna con chiunque ma con la determinazione e la sicurezza di stare nel giusto. E ancora. Una vocazione alla pace e alla fratellanza di chi rifiuta la guerra a prescindere, non per codardia, ma per intima convinzione di valori di solidarietà, consolidati dalla notte dei tempi degli antenati nelle cellule al punto da dover esprimere il senso della solidarietà universale. Il tutto, tramite il concorso di un sorriso disarmante nella sua bonarietà, che vuole dire senza dire, che convince senza il bisogno di volerlo fare, che infine attira la simpatia con il miele della condivisione amichevole, privo di doppiezza e alieno da calcoli utilitaristici.

Dopo questo panegirico è giunta l’ ora di abbandonare la fisiognomica per addentraci nella biografia, che come detto all’inizio è una vasta riserva di premi, onorificenze e riconoscimenti. Cominciamo allora con la nascita che avviene a Castellamare di Stabia, nel 1943. Il padre è un alto dirigente della Banca d’Italia e fa parte di una nobile e antichissima casata di radici irpine con ascendenze forse anche nella Basilicata, dove esiste un paese di nome Laurenzana. Casata , dicevo, che conta fra i suoi membri uomini di cultura e di importanza sociale fra cui Giuseppe Moscati. Il famoso medico ed umanista che per la sua dedizione disinteressata ai malati, è stato poi canonizzato dal Papa Giovanni Paolo II. In realtà però la famiglia più prossima al nostro, è originaria di Atripalda un sobborgo di Avellino, città dove tuttora esiste la casa avita. Ritornando al paese di nascita, dopo cinque anni di permanenza, ecco il primo cambiamento. Il padre, nel 1948, viene trasferito a Piacenza in seguito ad una promozione. Cominciano le scuole per il nostro, la scelta è orientata al collegio San Vincenzo, presso i Lasalliani, dove tutto si svolge dalla prima elementare fino a tutto il ginnasio. Intanto premi e borse di studio per il profitto si ripetono anno per anno. Ma ecco il secondo cambiamento di destinazione. Nel 1957, ormai giunto al vertice della carriera, il padre viene trasferito a Bari e dopo soli due anni diventa Cassiere Centrale Nazionale della Banca d’Italia, co-firmatario delle banconote di stato. Tutto sembra roseo, ma il fato inteso alla greca non si dimostra propizio. Cosicché a soli 14 anni il nostro perde la madre, falciata prematuramente da un ictus cerebrale, cosicchè in seguito al grave lutto, il padre rinuncia ad ulteriori scatti di carriera, abbandona il servizio e si ritira nella già citata dimora di Atripaldi. Intanto per il nostro la scuola continua: maturità al Liceo classico di Avellino ed in seguito laurea in Giurisprudenza, nel 1967 nella famosa Università , Federico II, di Napoli. Conseguito il titolo di Procuratore legale, dichiara, come già detto, di non essere fatto per giudicare i suoi simili, quindi rinuncia alla carriera di avvocato. In sostituzione partecipa a numerosi concorsi alla ricerca di un’altra occupazione, concorsi da lui sempre e tutti vinti per meriti indiscussi. Poiché diventa noioso citarli tutti, ci limitiamo ai più importanti che riguardano il concorso come tenente in S.P.E. quale Commissario dell’Aeronautica militare. Quindi quello alla scuola di guerra di Firenze , ed un terzo all’Ufficio amministrativo- Giuridico presso il cinquantesimo Stormo dell’aeronautica militare di Piacenza. Altri infine sempre superati con successo, riguardano il Ministero delle Finanze di Roma e come Uditore giudiziario presso la Magistratura di Milano. Nel 1975 la svolta definitiva di carriera. Il concorso riguarda stavolta la nostra città per l’ assegnazione di un posto di Dirigente giuridico-amministrativo presso l’Ente ospedaliero di Piacenza. Vinto il quale, abbandona col grado di Maggiore l’Aeronautica militare e diventa dirigente della neonata Unità Sanitaria Locale, con mansioni nelle varie Commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici. Dopo tanta frenetica e poliedrica attività, nel 2000 lascia il servizio e raggiunge la pensione dopo oltre 37 anni di attività pubblica dirigenziale. Ed ora qualcosa di personale. Si sposa nel 71 con una sua conterranea di Atripalda, Marori Mastroberardino, insegnante di lettere classiche da lui definita l’anima della sua esistenza. Dal felice matrimonio nasceranno tre figli: Nicolò. Giusi e Giulio. Intanto viene nominato Cavaliere al merito della Repubblica italiana e da pensionato non rinuncia ai tanti impegni culturali. Diventa infatti nel 2007 Presidente della Società Dante Alighieri della nostra città, carica sempre rinnovata fino ad oggi, con la quale tiene incontri culturali, conferenze ed interventi di contenuto letterario. Sembra che tutto sia esaurito, ma ancora un cenno meritano gli hobby indirizzati su due fronti: la scrittura e la fotografia. Per la prima, scrive libri di poetica di contenuto sociale ed autobiografico e tanto per continuare con i riconoscimenti, vince tre premi letterari internazionali. Traduce poi dal francese 6 volumi di Dogmatica cristiana, ma ancora non pago di elogi, ne raccoglie altri come fotografo nell’ambito della ricerca naturalistica. Esaurita la biografia rimane ora l’ultima domanda cui rispondere: chi è insomma, dopo quanto detto, Roberto Laurenzano? Faccio mia una definizione di un amico comune che inquadra al meglio il nostro personaggio. Questa: trattasi di una personalità poliedrica, con molte cose belle da dire. Una persona buona ed operosa, uomo colto e modesto. Con questo panegirico dovrei chiudere se non ci fosse in serbo una provocazione in grado di stemperare un po’ quel rosolio fin qui versato a proposito del nostro uomo. E’ questa un’ultima domanda rivolta al lettore , il quale in questo clima in cui versa la società fatto di prevaricazione e di visibilità aggressiva, potrebbe porsi l’interrogativo se una persona cosiffatta da libro cuore oggi possa risultare moderna e perfino simpatica. Per la simpatia io mi sono già espresso. Per la modernità invece il dubbio potrebbe essere legittimo. Come risposta mi sovviene alla mente la frase di Montaigne a proposito della differenza fra modernità e vecchiaia. La vita infatti , secondo il filosofo, non si valuta in base alla lunghezza dei giorni, ma solo in fatto di cose vissute e poi portate a termine durante gli stessi giorni. Per cui succede che chi vive a lungo a volte vive pochissimo. Non è questo il caso del nostro personaggio. Da ciò si deduce che, nel suo modo di essere e fare, potrebbe essere considerato giovane, per quanto già avanti con l’età, anzi, con scorno dei tanti giovani annoiati, meglio ancora, un antico-moderno.

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Ritratto di Roberto Laurenzano

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