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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Se il Dio cristiano è morto, Allah vive e sta molto bene

Cosa voglio dire? Che la fede nell’unica religione economica cui noi occidentali abbiamo affidato il senso della vita e a cui deleghiamo il nostro desiderio di felicità, sta attraversando un periodo di crisi

Ecco il punto. Abbiamo voluto una società laica, secolarizzata e ci troviamo in casa una nuova religione che del sacro fa la sua ragione d’essere, di vita e di morte. Cosa voglio dire? Che la fede nell’unica religione economica cui noi occidentali  abbiamo affidato il senso della vita e a cui deleghiamo il nostro desiderio di felicità, sta attraversando un periodo di crisi.  Che forse sarebbe meglio definire come una particolare condizione psicologica e sociale a metà strada fra senso di frustrazione e delusione, allorché ci siamo accorti che l’economia sta boccheggiando a livello mondiale e che la presunta aspettativa di felicità laica subisce un’analoga sorte. Al miraggio economico allora è subentrata una indifferenza, meglio ancora una paura che riguarda tutto il mondo occidentale. Che emerge soprattutto quando dobbiamo misurarci con chi il senso del sacro non l’ha ancora perso. Anzi con chi si affida al sacro come unica speranza di vivere e di morire. La morte contrapposta alla vita, intesa questa come avventura effimera, diventa allora la giusta motivazione per ritrovare  Dio, come succede nell’Islam, e affidargli ,fidandosi ,ogni preoccupazione terrena con la certezza di essere ricompensati nella seconda vita. Visto che la prima, quella che si vive quaggiù, spesso illude e delude.

Quanto sto per dire trova puntuale conferma in un articolo di Pat Buchenan politico statunitense e consigliere di tre presidenti americani, secondo il quale se Dio è morto, Allah vive e dimostra  di essere in ottima salute. Il motivo? La crisi economica nel vecchio continente che ha fatto scoprire una crisi di civiltà, a sua volta determinata dalla perdita dell’identità religiosa ad opera di èlite culturali, superficialmente progressiste e succubi delle mode. Le quali nel tentativo di rispondere ai desideri dell’uomo economico, hanno di fatto creato un grande vuoto sociale e culturale in cui è stato espulso, il senso del sacro, inteso come una vecchia usanza, una forma di fede intrisa di credulità popolare non più in linea con i tempi moderni della razionalità scientifica. Ovviamente esistono altri fattori di decadenza, quali ad es. l’immoralità dilagante  e la perdita dei principi etici che non si fa fatica a scoprire sia a livello individuale che sociale, ma il laicismo ateo che ha portato la delegittimazione ideologico culturale del cristianesimo e più in generale del rapporto fra religione e società, è stata la causa prima e determinante di tale crisi. Piaccia o no, la religione di un popolo crea la sua cultura e da questa la sua civiltà.

E quando una fede muore, diventa estremamente difficile sostituirla con un’altra, come abbiamo tentato di fare con l’attuale religione secolare. Specie se quest’ultima, a differenza del cristianesimo che viceversa ha dato all’uomo un codice morale per cui vivere e per il quale anche morire, balbetta nuove forme di fedi che si appoggiano su modi di dire e di comportamenti generici, titubanti e contraddittori. Da individuare in espressioni, che, quali sostituti inadeguati della fede cristiana,  parlano e sparlano indifferentemente di equalitarismo, mondialismo, ambientalismo, democraticismo e via andare. Balbettamenti, dicevo, che rivelano insicurezza e paure e da  cui derivano comportamenti equivoci e non coerenti. Lo dimostrano in abbondanza  il problema dei migranti, di fronte al quale con le nostre incertezze e paure, preferiamo  non discernere nei flussi migratori chi ne ha pieno diritto perché fugge da aree di guerra (il 3%) e chi invece  migra per altre esigenze, tipo il miglioramento della  propria condizione economica. Il risultato è che con questo buonismo, sostenuto dai cultori della nuova religione laica dell’accoglienza a tutti i costi, fedeli ad oltranza del culto del migrante, prosperano associazioni criminali di scafisti con le tasche piene, poiché in questa libera circolazione incontrollata e incontrollabile si confondono uomini e merci, assimilabili in quanto entrambi fonti di speculazione.

Così accade anche per le nostre cooperative che gestiscono le risorse destinate ai sempre più numerosi campi di accoglienza. Il risultato è che l’accoglienza sregolata, oltre a favorire  i trafficanti di schiavi e di organi, crea una situazione obiettiva di ingiustizia e di disagio sociale. In quanto non sembra accettabile, come lo Stato devolva più risorse economiche pro capite ai migranti, rispetto agli italiani in difficoltà economica. La nuova religione dell’accoglienza è  allora questa. Pochi principi, scarse regole di comportamento etico ed ovunque il trionfo della incredulità e del menefreghismo, purché sia garantito quel pacifismo di facciata che non  smuova gli animi a pensare troppo o a trovare soluzioni diverse e più giuste, ma  più impegnative sul piano del rispetto dei valori. Lo dimostra  padre Redwar Basa, sacerdote cristiano di San Giorgio a Mosul, in Iraq, dove i cristiani sono ormai ridotti a una esigua minoranza, lo 0,5% in quanto attaccata e perseguitata dai gruppi islamici del paese. Ebbene questo sacerdote  che rischia la vita ogni giorno pur di mantenere fede alla propria religione, invitato al 37 meeting di Rimini, dopo aver raccontato la propria storia di testimone oculare di crimini contro i cristiani, è stato ritenuto inattendibile da parte del pubblico presente.  Che, come detto, è quello dei cristiani buonisti e sostenitori ad oltranza di un irenismo a prescindere. Di fronte a questo pubblico incredulo e contestatore, Padre Rebwar ha replicato quanto sia scaduta la religione cristiana nel nostro paese e più in generale in Europa dove non sempre si è pronti a partecipare ad una Santa Messa, mentre  viceversa molti ragazzi dell’Islam partono per andare a combattere in Iraq e in Siria, pronti a morire. Ma queste più che parole al vento, sono state interpretate come provocazioni da una platea numerosa che preferisce discutere ma non denunciare. Subire ma non contrastare. Sentire ma non capire.  Sta allora qui  la nostra crisi. Il sacro da noi  sostituito dalla comodità del vivere, rinasce sotto un’altra religione quella islamica che sempre più si sta diffondendo, nel nostro clima di indifferenza. Lo dimostrano i nuovi arrivi non solo di immigrati ma dei loro  neonati sui nostri territori che testimoniano la  volontà di continuare a vivere secondo la religione dei padri ed il volere di Allah, mentre noi, chiusi nei nostri egoismi e poco propensi a fare figli, ci scandalizziamo nei confronti di una campagna pubblicitaria a favore della maternità. Non meravigliamoci allora, se in base ad  una statistica nord europea il  nome onomastico oggi prevalente nel nostro continente è Maometto nelle sue variate declinazioni di Mohammet, Muhammat, Mahmut. Mentre i nostri Giuseppe  sono passati di moda come il nome Maria scalzato  in graduatoria da Myriam, Maryam o Fatima. 

Cosicché mentre l’invasione di uomini arabi continua senza trovare ostacoli, anche la fede islamica supera quella cristiana, come sta succedendo a Bruxelles, dove la percentuale dei fedeli  di religione islamica supera già ora quella cristiana nelle proporzione percentuale  di 19 a 12. Ma  questo senso del sacro che  si sta imponendo raccoglie nuovi seguaci fra gli stessi ex cristiani, non soddisfatti o addirittura distratti da una religione troppo tenera e accomodante. Almeno cinquantamila donne all’anno in Italia sono pronte a seguire Allah anche in quegli aspetti più radicali che comportano guerre e uccisioni di  infedeli e questo la dice lunga sul disagio di noi occidentali che volendo sconfiggere il sacro di casa nostra, ne abbiamo trovato un altro ben più motivato e violento . Allah è grande secondo gli islamici e lo sta dimostrando in termini di adesioni di fede. A noi ormai irretiti nel laicismo di risulta,  non ci resta che un solo criterio per giudicare quel che sta avvenendo: la riscoperta e la valorizzazione della libertà. Il cristianesimo nonostante i suoi tanti errori storici e le sue intransigenze è ormai da tempo approdato ad assicurare quella libertà di fede che sconfigge conflitti e ingiustizie affinché ogni minoranza possa vivere in pace. L’islam invece spesso catturata da una ideologia che lo rende radicale, questa libertà non la garantisce, dividendo dicotomicamente gli uomini fra fedeli e infedeli. La terza categoria, quella degli atei, la religione islamica nemmeno la considera. In quanto, vita, morte e guerre contro gli infedeli sono  tutte  volute dal profeta che per questo motivo le chiama sante. E tutto quello che non fa parte del sacro, non conta. Anzi deve essere eliminato. Esattamente come succederà  fra non molto con la civiltà occidentale.

Se il Dio cristiano è morto, Allah vive e sta molto bene

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