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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

La forza di una banca non sta nel suo patrimonio, ma nella capacità di distinguere i debitori

Aula, per quanto vasta, traboccante di gente, ieri 2 dicembre a Milano, nella sede dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) in via Olona 2, per la presentazione del libro: Siamo molto popolari, di Corrado Sforza Fogliani. Presente anche una vasta colonia piacentina di amici, conoscenti, ammiratori e funzionari della nostra banca popolare, fra cui il Presidente del Consiglio di Amministrazione Giuseppe Nenna. Parterre dei relatori di grande spessore intellettuale, i cui nomi li menzionerò strada facendo. Introduce i lavori alle 17,30 circa (molto puntuale), come moderatore della serata, il giornalista di Libero, Nino Sunseri che  per prima cosa deve giustificare l’assenza di Vittorio Feltri per ragioni di tipo editoriale. Fatto questo, comincia a parlare delle banche popolari e fa subito capire come la discussione si svilupperà fra esponenti di culture economiche differenti. Rompe il giaccio l’ex ministro Giulio Tremonti. Il suo parlare è lento, senza sbalzi ed anche un po’ sussiegoso come da abitudine. Arrota le parole e fa le veci di un professore che parla agli addetti ai lavori, piuttosto che ad un pubblico normale, fra cui mi ci ritrovo. Sostiene che il libro è un buon libro, perché incrocia culture ed interessi vari. Poi avanza la sua idea che in un capitalismo giusto, non c’è ricchezza senza nazione e non c’è nazione senza ricchezza. Ammonisce inoltre che a livello bancario bisogna mettere insieme il conto economico con quello patrimoniale. Quest’ultimo infatti deriva da pater e rappresenta il conto della responsabilità verso gli altri e quindi verso il territorio. Rimanda, per concludere, al significato corretto delle parole, in quanto, per lui, ci deve essere da parte dei servizi finanziari, sia la tutela del risparmiatore che del consumatore. Anche se ritiene come la tutela dei contribuenti debba essere privilegiata. La parola passa quindi all’avvocato Carlo Fratta Pasini. Eloquio chiaro, comprensibile, accattivante. Il libro per lui è un misto di saggezza e di rimpianto, anzi un giallo il cui movente è la congiuntura internazionale. Tuttavia non si tratta di un complotto, ma di una faccenda solo ed esclusivamente italiana. Le banche popolari infatti devono riconoscere, come demerito, di aver intrapreso spesso percorsi di crescita al di là dei propri confini. E per significare maggiormente il concetto, ricorre alla metafora del bambino che cresce mentre il suo vestito rimane piccolo e corto. Il futuro delle popolari per lui è duplice: o adegueranno le governance alle nuove dimensioni oppure diventeranno s.p.a. Al libro di Sforza: Siamo molto popolari, risponde con un distinguo: siamo diversamente popolari. Eccoci quindi al terzo interlocutore: Nicola Porro. Il suo è un intervento brevissimo in quanto deve recarsi ad un programma radio. Fa però in tempo a dire che fin dai quattordici anni conserva un’anima liberale e questa lo unisce al maestro di liberalismo Sforza Fogliani. Ammonisce però che le banche al di là di essere popolari, devono essere soprattutto credibili. Infatti il risparmio è la linfa del nostro sistema economico, ma deve coniugarsi con la reputation e sapersi districare fra il populismo dei giornalisti. Subentra Pier luigi Magnaschi giornalista esperto di economia e finanza. Intervento il suo breve e simpatico, semplice e diretto al grande pubblico. Elogia il libro perché riporta dati oggettivi, chiari e qualificanti e denuncia la nostra italica dimensione provinciale, che a differenza degli americani per quanto riguarda gli immobili, da cui derivano molti nostri crediti deteriorati, non abbiamo saputo applicare il criterio della “apprezzata vendita”. Cita poi Luigi Einaudi per il quale il capitalismo possiede in sé un cancro che deve essere scoperto prima che si trasformi in oligopolio o in monopolio. Altra citazione per Adam Smith, secondo cui le banche popolari rappresentano l’Italia, patria dei consumi. Ed ora una voce dissonante, ma con juicio, quella di Andrea Greco, inviato di Repubblica che ha scritto un libro: Banche Impopolari. Per lui le considerazioni sono critiche. Le banche popolari hanno fatto un percorso di crescita, spesso sconsiderato con accumulo di sofferenze e incapacità di attingere fondi anche a causa di molti presidenti che negavano la crisi sostenendo che tutto era sotto controllo come sotto controllo era, secondo loro, anche il Parlamento. Intanto si susseguono altri relatori. E’ la volta di Nicola Saldutti , giornalista del Corriere della Sera. Semplice e sintetico, pone alcune domande a getto continuo. E’ un bene che i Presidenti delle banche durino molto nella loro funzione? Le dimensioni delle banche oggi contano? Quanto possono quotarsi le azioni delle banche popolari? Per tutte queste domande le risposte sono critiche, perché i fatti sono fatti ed oggi che il mondo si è trasformato con la tecnologia, le popolari sono troppo lente a dare risposte adeguate. Conclude però elogiando il libro, vero atto d’amore verso il sistema delle banche popolari, soprattutto per quanto riguarda la sua parte finale. Di nuovo replica Tremonti, il quale si impegna in una discussione fra forma e sostanza sfiorando quasi l’argomento filosofico. E sempre in tema di grandi valori, tocca temi elevati, quali la sacralità della moneta, la sacralità delle operazioni bancarie, la crisi delle attività di vigilanza per affrontare il tema del bail-in. Un provvedimento questo, per lui, assurdo per almeno due motivi. Perché è uguale per tutta l’Europa e non tiene conto delle differenze economiche degli Stati e poi per essere retroattivo. Cita poi in chiusura, la crisi economica condizionata da una sottomissione politica e in questo stato di crisi che interessa acciaio, moda, cemento, pneumatici e banche, pone la domanda retorica di chi può avere fiducia in noi dopo che ci hanno portato via persino le mutande. Continua la serie degli interventi un economista, insegnante universitario: Giovanni Ferri. Riscontra una differenza fra il sistema bancario italiano e quello estero, nel bene e nel male. Nel male, in quanto a differenza ad es. del Quebec in cui ci sono banche di oltre otto milioni di clienti, noi non abbiamo adeguato la governance di fronte alle nuove dimensioni bancarie. Nel bene, in quanto se in Indonesia la caduta del pil ha condizionato il fallimento di due terzi delle banche, da noi che abbiamo attraversato due crisi, quella del 2007 e poi del 2010, questo crollo non si è verificato , anzi le banche popolari si sono impegnate a dare ossigeno all’economia vacillante. Tuttavia il problema oggi è la fiducia del correntista verso le banche, caduto a livelli del 30-35%, mentre negli USA la fiducia si mantiene sopra il 50%. Per finire un ultimo punto che tiene a sottolineare. La forza della banca sta non nel suo patrimonio, ma nella sua capacità di distinguere i debitori. Chiude le relazioni l’avvocato Fausto Capelli che del problema bancario, offre in termini apprezzabili nella loro chiarezza, una valutazione giuridica in quanto il decreto legge Renzi del 2015 che trasforma le popolari più grandi in spa (il limite è otto miliardi) costituisce una aberrazione giuridica, in quanto non tiene conto di due principi: quello della uguaglianza e della proporzionalità. Già il Consiglio di Stato ha evidenziato l’incongruenza di questo decreto, al punto che siamo giunti ad un caos di fatto, con dieci banche interessate di cui, a parte l’Etruria fallita, solo 7 si sono adeguate alla riforma. Ci penserà la Corte Costituzionale a definire la legittimità del decreto. A tale proposito cita la frase di L. Einaudi che meriterebbe non uno ma cinque premi oscar alla memoria. Questa: il problema economico è sempre l’espressione di valori morali e spirituali. Basta cosi? No qualcosa manca ed il pubblico molto attento lo sa. C’è bisogno del protagonista della serata, presente in prima fila, ma assente fino a quel momento dal discorso. Interpretando un desiderio unanime, viene invitato dal moderatore a parlare e a portarsi presso il banco dei relatori. Si pone all’estrema destra per chi guarda e inizia con voce franca e sicura, ma con un tono polemico volutamente sottaciuto, ma individuabile in chi lo conosce, anche se mai debordante. Inizia in modo quasi provocatorio nei confronti del moderatore che ha troppo moderato invece di far litigare i vari relatori. Poi affonda il colpo alla moda manzoniana, perché questa riforma non sa dare fare, non avendo né capo né coda. La mia tesi egli continua è ben espressa dal sottotitolo del libro, ma vedo che nessuno ha avuto il coraggio di affrontare il tema. Infatti la riforma è una vergogna di cui tutti ne subiscono le conseguenze, perché è grazie a quella, se molte banche sono finite nei gruppi finanziari d’affari a livello internazionale. Col risultato che se prima molte banche andavano bene, ora non è più così. Il futuro, continua, è grigio per non dire nero, se, come pare, vengono annullate le banche di territorio che hanno trasformato un paese agricolo in una potenza industriale. Come pure se vengono poste nella condizione di non crescere, rischiando in tal modo, la trasformazione in s.p.a. La verve decisa e appassionata, si manifesta poi con la domanda: dove sono le banche italiane all’estero, come dice Tremonti? La risposta è semplice, non ci sono. Le uniche banche italiane, piaccia o no, sono le popolari, ora che le banche Bcc (credito cooperativo) sono state pressoché eliminate. E poi-insiste concludendo- chi l’ha detto che le quotazioni delle azioni delle banche popolari sono liquide? Le quotazioni sono stabilite dalle assemblee e non sono per niente liquide, infatti si potrebbero sempre  vendere a prezzi di mercato. Chiude il suo intervento ringraziando tutti relatori e pubblico, e forse più per le cose da intendersi che per quelle espresse, richiama in me la frase latina: leo rugens quaerens quem devoret. L’ultima parola la dedica al suo libro, da considerare un atto di orgoglio verso un sistema che oggi ha 16 milioni di correntisti ed una quota di mercato fra il 20 e il 25%. Intanto si son fatte le ore venti circa. Le operazioni finiscono. Una folla si assiepa attorno all’autore del libro. Elogi e strette di mano Un amico alle mie spalle, funzionario della banca di Piacenza, mi bisbiglia all’orecchio: finché c’è lui, dormiamo sonni tranquilli. Con gli amici ritorno a casa e metto giù queste note. Il sonno arriverà dopo.

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