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Giovedì, 25 Aprile 2024
Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Umberto Veronesi: una morte contro il volere di tutti

Tutti sanno chi era Veronesi. Ma ovviamente non basta. Usciamo allora dalle solite definizioni e attribuiamogli un altro titolo che a mio avviso è quello che più traduce la personalità dell’uomo e dello studioso: egli era un sacerdote

Sì, Umberto Veronesi è morto. Chi era? Un oncologo di fama mondiale. Cosa faceva? Il chirurgo e lo studioso nei confronti delle malattie tumorali. Quale il suo credo? La scienza. Detto così tutti sanno chi era Veronesi. Ma ovviamente non basta. Usciamo allora dalle solite definizioni e attribuiamogli un altro titolo che a mio avviso è quello che più traduce la personalità dell’uomo e dello studioso: egli era un sacerdote. Ma non come noi intendiamo questa figura che dalla radice del termine sacer lo collega al sacro. Quello per intenderci che crede alla questione dell’aldilà e della seconda vita e alla quale cerca di indirizzare i fedeli. Niente di tutto questo. Infatti l’idea di Dio, tolti i primi anni della sua esistenza (proveniva da una famiglia cattolica) non lo ha mai coinvolto. Un’altra idea altrettanto forte lo aveva rapito quando, giovane medico, a contatto con la sofferenza dei malati, aveva provato da una parte un senso di tristezza e frustrazione di fronte a malattie a quei tempi considerate inguaribili e dall’altro un desiderio anzi una vocazione a orientare la sua esistenza a combattere il male. E qui sta la differenza. Non il male come peccato contro Dio, come dannazione dell’anima, ma il male inteso nella sua componente fisica e che poi diventa anche il male della mente. In una parola  la sofferenza. Dunque proprio allora divenne sacerdote. I voti li prese direttamente  a contatto coi malati in quell’Istituto Tumori di Milano che lo ha visto entrare come volontario assistente e poi diventarne direttore.

E già allora qualificare un grande Istituto con il termine tumore, voleva significare abbattere una barriera psicologica, chiamando il tumore per quello che è. Senza usare circonlocuzioni che anche se mosse da un senso di pietismo compassionevole, significavano accettare (e subire) una condizione di inferiorità da parte della scienza. Ammettere cioè uno stato di difficoltà o addirittura  di impotenza nei confronti di quella malattia che  non si osava pronunciare: il cancro Per la verità chiamare l’avversario col proprio nome era già un successo. Significava accettare il rischio a viso aperto di una lotta che si sarebbe intrapresa  utilizzando ogni mezzo di cura possibile che la scienza avrebbe messo a disposizione. Ed in effetti i primi risultati in termini di allungamento della sopravvivenza in quell’Istituto avvennero, con il ricorso ad  ogni risorsa in campo terapeutico a cominciare dalla chirurgia. Cui poi associare la terapia fisica (radioterapia) e  farmacologica (chemioterapia). La chirurgia dunque in primis. Asportare  il più possibile e demolire fino a scheletrizzare a volte la parte colpita, rappresentavano i principi base per poter ottenere i migliori risultati. Erano questi i cosiddetti i presupposti scientifici. Ma non bastavano. Ci voleva a questo punto un innovatore in grado di immettere nella scienza un principio nuovo. Di tipo scientifico sì, ma fertilizzato da un aspetto di solidarietà umana basato sul senso di  rispetto e condivisione della sofferenza verso gli altri. Senza per questo alterare nel corpo  il senso del bello  che in linea più propriamente sacerdotale, come noi la intendiamo, significa rispetto della perfezione creativa. E fra i tumori quello mammario ne rappresentava l’esempio  più eloquente. Curarlo, insomma, per Veronesi, presupponeva salvaguardare anche il senso della bellezza corporea come elemento indispensabile dell’essere donna.

Ma come fare? Bisognava inventare la soluzione. Nel frattempo dimessosi dall’Istituto, Veronesi fu tra i fondatori  con Cuccia  di un altro Istituto : L’Oncologico Europeo in cui si trasferì divenendo direttore scientifico, E con lui giunsero molti dei suoi collaboratori. Fu in questo Istituto che intuì come la mammella poteva essere divisa in 4 quadranti. Asportarne uno (la cosiddetta quadrantectomia) poteva dare gli stessi risultati della precedente tecnica demolitoria di tutto l’organo.  Ma lasciando in sede con tecnica ricostruttiva l’emblema dell’essere donna. Vale dire la mammella quasi per intero. Bisognava solo arrivare prima con la diagnosi.Tutti allora lo criticarono. Non è possibile dividere- dicevano-  anatomicamente un organo unico non separabile in parti. Polemiche. Alla fine, ebbe ragione lui. Intuizione, ragione e documentazione scientifica ineccepibile, sconfissero gli avversari che da oppositori increduli  divennero giocoforza poi alleati. Altre innovazioni giunsero poi  dalla radioterapia la cui logica era: la minima possibile per ottenere il massimo dei risultati. E per lo stesso motivo dalla chemioterapia. Non è il caso qui di insistere sulle questioni mediche, basta e avanza quello che è stato detto. Ma ora dopo aver magnificato  lo scienziato e il chirurgo,   quello che  ancora manca è la definizione dell’uomo Veronesi. E non mi è difficile farlo in quanto essendo stato scelto con altri cinque colleghi in tutta Italia per partecipare ad un master della durata di un anno all’Istituto Oncologico Europeo , mi sembra di avere le carte in regola  per elencare le qualità  umane  di questo straordinario personaggio.  Umiltà e semplicità le sue caratteristiche associate a discrezione e ad una disponibilità  ad elargire consigli. La sua regola inoltre era quella di non  sottrarsi mai dal rispondere a qualsiasi domanda.  Perfino in camera operatoria, durante un intervento dove calma e precisione erano  le sue caratteristiche, conservava la disponibilità a rispondere in modo sempre pacato alle domande che noi allora giovani osavamo muovergli  sui vari perché della tecnica operatoria impiegata. Mai un tono infastidito, mai un atteggiamento di insofferenza.Per meglio chiarire chi era l’uomo Veronesi, cito un aneddoto. Mi ritrovai una volta con lui  presso l’entrata della sala operatoria.Lui usciva ed io entravo. Momenti di tensione da parte mia. Il  timore di disturbarlo, mi aveva  impedito di scansami subito per cedergli il passo. Ma supplì lui alle mie titubanze. Mi salutò con fare educato e bonario e col sorriso  disarmante, profferì un prego  e mi cedette il passo scansandosi Che dire. Ecco l’uomo, ecco il grande chirurgo, ecco l’inarrivabile uomo di scienza, che   dava spazio ad un allievo, pronto addirittura  a scusarsi per l’imbarazzo che mi aveva provocato con quel prego surreale e con il sorriso più accattivante del mondo.  

Inutile a questo punto numerare tutte le sue pubblicazioni, i suoi libri e i numerosissimi titoli da lui raggiunti comprese anche le varie lauree onoris causa, che gli sono state attribuite dalle migliori università mondiali. Le sue conferenze inoltre erano un esempio di lucidità scientifica e di coinvolgimento emozionale per il tono sempre calmo nel discorrere unito ad una logica stringente. Al momento della morte sopraggiunta nella sua casa come ultima accettazione di un destino comune  a tutti uomini,  anche i più grandi, una morte che nello scorrere della vita o meglio delle  generazioni, considerava addirittura un dovere (nel senso di lasciare il posto ad altri) i giornali  hanno riportano le ultime frasi. La prima:essere  dispiaciuto per non aver avuto la soddisfazione di aver assistito alla completa sconfitta del cancro, anche se ormai prossima. La seconda che ha il  valore di ultima testimonianza rivolgendosi alla Fondazione che prende il suo nome: “ continuate a credere nella scienza e nella ragione” . Ecco perché io l’ho definito un sacerdote, laico ben s’intende, ma comunque sempre fiducioso  in una verità, la scienza, che sta quaggiù e per la quale non bisogna scomodare quell’Altro che lui non ha mai voluto  cercare  . E’ questo l’eterno problema del mistero che ci circonda che  lui aveva trovato nella  fede della ragione. E da una persona che ho amato, questo del mistero, devo dirlo, è la differenza che mi separa da lui. 

Umberto Veronesi: una morte contro il volere di tutti

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