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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Un inno alla libertà agli Amici dell’Arte

Finazzer Flory: un uomo libero che fa del teatro l’occasione per manifestare la sua fede nell’uomo e nella libertà

Il 4 marzo l’Associazione Amici Dell’Arte di via San Siro ha visto la sua grande sala affollata da un pubblico nuovo, interessato ad un genere d’arte che propriamente non si sposa con quella figurativa, iscritta nel dna di detta associazione. E’ capitato infatti che un’ altra associazione da anni esistente a Piacenza, quella dei liberali piacentini intitolata a L. Einaudi, con sede, come è noto, in via cittadella 39, avesse chiesto la disponibilità (richiesta prontamente e cortesemente accolta dalla sempre sorridente presidente degli Amici Dell’Arte, avvocato Franca Franchi insieme ai suoi collaboratori), disponibilità, dicevo, dei locali di via San Siro per presentare uno spettacolo di arte teatrale. Il suo mentore, Finazzer Flory, attore, regista, drammaturgo, pensatore e filosofo e quant’altro si può attribuire ad una personalità così vasta e dai confini molto estesi. Ma soprattutto, un uomo libero che fa del teatro l’occasione per manifestare la sua fede nell’uomo e nella libertà. Inoltre un amico dei liberali piacentini anche perché già l’anno scorso, allora al teatro filodrammatici,  era stato invitato come gradito ospite in uno spettacolo, di sua invenzione, sempre riguardante il tema della libertà. 

Occasione ghiotta allora quella del 4 marzo, per andare contro il conformismo e tutta la moda del pensiero unico, oggi trasformatosi nella dittatura del politicamente corretto. Il tema scelto, utilizzato come titolo: “Un inno alla Libertà”. Come realizzarlo da parte del poliedrico Finazzer la cui attività artistica lo vede in continua peregrinazione fra Milano e New York? Al meglio si prestavano in qualità di ispiratori, per un’opera di libera lettura, tre padri fondatori dell’allora nascente nazione nord americana. Questi i loro nomi: Benjamin Franklin (1706-1790), Henry David Thoreau( !817-1862) e What Whitman(1819-1892). Chi erano costoro? 

Il primo uno scienziato (inventore fra l’altro del parafulmine) e poi scrittore giornalista e diplomatico. Il secondo un filosofo, poeta e anch’egli scrittore. Il terzo infine soprattutto un poeta, ma pure lui un giornalista e scrittore. Tutti e tre  convinti che l’uomo nasce libero e sempre deve restare tale. Per realizzare questo ideale, l’unico modo consiste nel contare sulle proprie forze a loro volta edificate sui valori dell’impegno nel lavoro e nello studio. E poi, scusate se è poco, sull’onestà, la coscienza morale e l’incorruttibilità. 

L’uomo libero crea allora la società libera, fondata sui principi del libero mercato e della proprietà privata. Mettere al centro di ogni comprensione l’uomo, significa  rendere possibile l’attuazione del mito della libertà. Da cui scaturisce la figura del self made man (l’uomo che si realizza con le proprie capacità e coi propri meriti) e quell’altro mito passato alla storia come sogno americano. Il che equivale a credere in una società libera, cui bisogna uniformare principi e comportamenti. A loro volta regolamentati dalla legge, basata sui valori della coscienza morale, della dignità e  del rispetto dei diritti civili dell’uomo. Lo spettacolo, detto in gergo teatrale, reading, in quanto basato, come detto, sulla lettura di pensieri altrui, è stato inframmezzato dall’accompagnamento di un percussionista con la funzione di interrompere il dialogo per far riposare l’attenzione. Al fine di ridare a quest’ultima nuovo slancio, quando dopo la voluta distrazione musicale, messa di fronte ad un nuovo brano letto e magistralmente interpretato. 

Basato su una recitazione che si è valsa di studiati alti e bassi, un misto di momenti di eccitazione ed esaltazione verbale interpuntati a  calcolati piani o addirittura  pause di attesa. Con funzione sia di marcare il ritmo sia di rimarcare l’attenzione per meglio comprendere di una frase o di un frammento di discorso, l’aspetto più significativo. 

Alla fine dell’ora, questo il tempo di durata, niente da eccepire sul piano del coinvolgimento emozionale e lo scroscio di applausi, in flusso costante, dopo l’iniziale attimo di attesa, causa il perdurare presso tutti i presenti, della magia della recitazione, sono stati i testimoni più eloquenti del successo. Fin qui nulla da dire. Ma, una volta giunto a casa, hanno cominciano a frullarmi in capo le riflessioni. Una di queste mi ha preso. Come mai non si è parlato di lealtà? Che non faccia parte della libertà e del suo mito? Che la si consideri una cosa scontata? Oppure perché  trattasi di un aspetto del carattere, un tempo tenuto in gran rispetto, ma oggi in declino? Precipitato insomma in un passato, passato, come altre parole ormai perdute, tipo prudenza, onore, buon senso, pudore, galanteria, correttezza. Quanto poi alla continenza, meglio lasciar perdere.  

Una bestemmia sortirebbe minore scandalo. Eppure, insisto, la lealtà vantava nobili natali derivando da legalitas che incorpora in sé sia legge che il suo rispetto.  Banalizzando, la si potrebbe definire come il comportamento di chi mantiene la parola data, anche quando la situazione diventa difficile e non sembra più in sintonia con le premesse iniziali. Dunque, pur sempre una buona cosa, verrebbe da dire, tanto che quando non può mettere d’accordo il mondo interno dell’individuo con quello esterno, privilegia il primo. Col fine, a tanto mi sono ripromesso di arrivare, di poterla definire una qualità morale. Se prendiamo per buono questo ragionamento, la lealtà, in  questo clima di unioni civili istituiti a prescindere dalla fedeltà (ma sarebbe meglio dire lealtà), potremmo tranquillamente farla sposare con l’etica. Per poi, affittando qualche benevolenza da parte di qualche donatore di pensieri saggi, farla crescere con l’intento, una volta adulta, di equipararla al bene morale.   

Se questo ragionamento vale per quanto concerne la lealtà, che ora possiamo definire virtù, anche la psicanalisi, vuole dire la sua. Questa cosiddetta scienza,  dall’intento pragmatico anche se tutt’altro che certo, divide gli individui in due specie, perché considera la lealtà un derivato della introiezione delle figure parentali. Insomma, in parole più comprensibili, essa, (sempre la lealtà) sarebbe un prodotto della educazione ricevuta dai genitori e confinata in un habitat che nessuno ha mai capito dove sia, ma che gli addetti ai lavori, chiamano inconscio. Per cui a seconda del tipo di educazione ricevuta, la società offre due possibilità. 

Da una parte la persona leale, dall’altra quella che della lealtà non gliene importa un fico secco. Vabbè, cari lettori, vi sto annoiando e lo so bene. Ma lasciatemi ancora un po’ di spazio e mi rivolgo a quei pochi che pur con le scatole piene, conservano un plus di capacita di sopportazione. Ma, lo capite bene, devo chiudere il discorso e, visto che mi sono impelagato, sono costretto a giungere in qualche modo al dunque,  mettere insieme cioè, lealtà e libertà. 

Ecco allora trovato il raccordo o se vi è più gradito il bandolo della matassa. Se la libertà, quella vera, è libertà morale (non discutiamo il principio, l’ha detto  sant’Agostino) e questa poi si trasforma in bene grazie alla virtù, ne risulta che deve necessariamente appoggiarsi alla lealtà. Infatti non l’abbiamo già definita virtuosa? Ed ora, poiché prima ho parlato di fedeltà o meglio di infedeltà, come azzeccagarbugli  pongo un’ultima domanda: c’è differenza fra lealtà e fedeltà? Certo che c’è. La persona leale è tale perché libera di non tradire, mentre  quella fedele lo è, perché sa che il tradire è vietato. Dunque la lealtà è senza calcolo, mentre la fedeltà a volte si imbatte sia nel calcolo che nella convenienza. 

Ed ora finisco senza prima togliermi l’uzzolo di alzare un ultimo peana alla lealtà. Come fosse, ed etimologicamente lo è, un canto a favore di una causa (persa?). Un inno quindi che idealmente voglio accostare a quell’altro, che riguarda la libertà, splendidamente offertoci dal reading dell’amico Finazzer. Sicuramente (parlo di quest’ultimo inno) più attrattivo e moderno cui, con queste mie note sulla lealtà, ho voluto solo offrirgli qualche puntello. E a proposito di puntello meglio ora mettere il punto.

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