Una genialità che opportunamente coltivata sarebbe diventata genio
Che fosse un genio si potrebbe anche discuterne. Che fosse invece geniale, nessuno potrebbe metterlo in discussione. La differenza fra i due termini sembra dal punto di vista, persino fonetico, di poco conto, ma in realtà fra i due significati c’è quasi un abisso. Il primo infatti è patrimonio di pochissimi, il secondo di pochi. Detto questo, limito il genio e mi accontento del geniale e lo applico all’uomo in questione. Un amico autentico che manifestava questo suo attributo nello scrivere. Lo stile era sempre scorrevole, arieggiante che toccava in superfice lasciando il segno, quasi un graffio, ma senza incidere nella carne viva con corredi di sanguinamenti legati a ferite aperte e non suturabili. Per la verità il segno la lasciavano lo stesso, ma senza l’evidenza delle cose comuni, che appunto nella loro comune accezione rischiano di diventare perfino volgari. Specie quando feriscono in modo troppo violento lasciando una ferita che poi rimargina, col risultato di una cicatrice antiestetica . Trattasi in questo caso di evento spiacevole che deve essere consegnato alla memoria con tutti gli strascichi psicologici in cui odi, rivendicazioni, incomprensioni ed inimicizie, si stoccano all’interno dell’animo umano, a segnalare un fatto spiacevole che ti rode e ti corrode per tutta la vita. No, in questo caso non c’erano ferite manifeste che dovevano essere curate con il ricorso a provvedimenti d’emergenza. Tutto si inquadrava invece in tante punture di spillo che colpivano ma senza la volontà di affondare il colpo. Solo Il sottile piacere di far capire, ma senza accanimento e soprattutto senza voler far male. E mai ergersi ad accusatore o a giudice. Nella condivisione che tutti sbagliano e tutti possono correggersi. Infatti ogni suo scritto più che denunciare svela, più che accusare compatisce, più che far vedere in modo manifesto, preferisce lasciare spazio alla fantasia. E fra veli e misteri consente al massimo di intravvedere un personale punto di vista Senza mai l’arroganza di una verità assoluta. In una parola inquietando acqueta. Ho parlato di stile aereo, appunto perché non c’era appesantimento né di dottrina, né di apologhi morali o peggio ancora moraleggianti. Nessuna ostentazione di erudizione, ma la presenza di una cultura che quando è autentica si può permettere di essere ancella modesta e calma di ogni cosa scritta, nella convinzione di sentirsi libera di dire, ma senza offendere. Sensibilità in eccesso, la sua, non si limitava ad evidenziare delle cose il loro aspetto più normale e più conosciuto, ma desiderava andare oltre. Scoprire gli arcani che stanno dietro gli eventi e poi addentrarsi nell’incomprensibile che sta dentro l’animo umano. Sempre preso fra i due estremi del capire e del non( volere) capire, sapendo però che spesso la mancata conoscenza è apparente e svela verità ancora più profonde e misteriose rispetto ai semplici risultati che ci rimandano i sensi. Ecco allora le citazioni che fuoriuscivano spontanee dalla mente eccitata e che non si accontentava del già detto . Spesso annegate in una cultura classica dove dei, miti e leggende potevano permettersi di litigare con la storia, senza però lasciare sul campo sconfitti da piangere. Al massimo vinti da compiangere . E poi ancora svolazzi di libera e fantasiosa intuizione in grado di colpire le menti in modo subliminale, senza il sostegno di fanfare o squilli di tromba. E senza ricorrere mai al rullio dei tamburi. Troppo acustici e quindi volgari, sostituiti dalle note melodiose e appena percepibili del clarinetto, che però si diffondono ad una maggiore distanza aerea. Possedere il merito di una prosa chiara e offrire soddisfazione agli organi di senso sarebbe già stato un grosso risultato per un giornalista- scrittore. Ma cogliere e soddisfare gli arcani che ognuno si porta dentro costituiva quel di più che solo le menti geniali posseggono. Fra acustici ed acusmatici, perdonate il riferimento pitagorico, ognuno trovava nei suoi scritti, un proprio elemento di soddisfazione. E per spiegare i due termini, la differenza sta fra chi si accontenta della superficie e chi invece va più in profondità. Le frasi allora si scioglievano piane e misurate, logiche e conseguenti come una trama che si arricchisce di nuovi fili per completare l’ordito. Il risultato è che una volta completata la trama, il “pezzo” era confezionato tal punto, che nessun lettore avrebbe voluto e potuto cogliere la parola fine. In quanto circolarmente inizio e fine si rincorrono, nei suoi scritti, senza mai chiarire la loro vera condizione. Dunque se prima mi sono trattenuto sulla parola genio, nessun dubbio sulla genialità di uno scrittore di cui sinceramente ho elencato i meriti. Ebbene chiunque ha apprezzato il suo modo di scrivere e chiunque gli ha voluto bene non può oggi nel momento del ricordo attraverso un libro a lui dedicato, non può dicevo non avanzare un rincrescimento. Perché l’individuo geniale è rimasto tale e non è diventato il genio che chi l’ha stimato avrebbe voluto diventasse. Ma, è destino umano che ognuno ai meriti, debba anche associare qualche piccola lacuna. E l’uomo in questione era troppo assetato di interessi e troppo animato dalla voglia di conoscere e dedicarsi ai vari problemi che la vita comporta. Chi lo dice, ha avuto modo di conoscerlo bene attraverso una frequentazione, quasi quotidiana. La stima era tanta anche perché trattavasi di un’anima candida anche nei suoi eccessi. Gli interessi erano multiformi e spaziavano dal campo della letteratura a quello dell’impegno civile, per proseguire con l’arte, la politica e il sempre affiorante problema dell’anima. Di cui avvertiva la presenza, ma con una certa titubanza onde rimarcare una posizione di attesa. In attesa appunto che qualche rivelazione lo cogliesse per spingerlo a dissolvere dubbie incertezze. Posizioni le sue condivisibili, anche se non sempre coerenti fra una ragione, che lo portava a svelare i fenomeni e un cuore dominato invece da una sensibilità in eccesso che tendeva a piegarsi o a ripiegarsi verso una possibile, quasi introvabile spiegazione. Perché avvolta nel mistero e per questo avvertita in modo affascinante, anche se mai colta nella sua interezza. Il carattere appunto di un uomo in cui la personalità dell’ adulto si mescolava alla ingenuità del bambino con tutti i meriti e gli eccessi di una vita emozionale, mai appiattita su un solo codice comportamentale. Ma sempre orientata verso nuove espressioni, vere o inventate che fossero, per continuare il gioco della vita dove giustificazione e critica si rincorrono nel tempo, senza trovare risposta. Condiscendente e criticamente acido, queste le sue cifre comportamentali che mutavano di continuo fra buonsenso tollerante e incomprensibilità nei confronti delle sorti umane. Cosicché la critica, quando aspra, lasciava volentieri il campo alla dimenticanza, mentre rimanevano più saldi nel tempo gli elogi, anche se mai completamente scontati. Insomma una personalità così complessa e così ricca di sfaccettature umane, abbisognava a mio avviso di una rinuncia. Quella di abbandonare certe divagazioni, per quanto intellettualmente stimolanti, per dedicarsi solo alla sua vera natura di giornalista- scrittore. Ci avrebbe lasciato ancora più segni della sua genialità, ancora più testimonianze della sua arte di consegnare alla penna il segno tangibile, riportato su carta, della magia del suo ricchissimo patrimonio di sensibilità, cultura e umanità. Avrete capito che il personaggio in questione, risponde al nome di Vito Neri. E solo chi l’ha conosciuto ed amato può allora chiudere questa rievocazione, nel momento stesso in cui domani verrà celebrato il suo ricordo, insieme ad un moto di rincrescimento, con una ultima parola, che offenderà solo chi non vuol capire: peccato.