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Effetto Vertigo

Effetto Vertigo

A cura di Diego Monfredini

Cronenberg e Faenza a confronto sul controtransfert di Jung

"Solo un medico ferito può curare un paziente"

Alla fine è arrivata nella filmografia di David Cronenberg un’opera che trattasse esplicitamente della genesi della psicoanalisi, tematica cardine del suo cinema.

https://youtu.be/X5CWguSBMnE

Cenni storici. Sabine Spielrein, diciannovenne ebrea di origini russe, venne ricoverata nell'ospedale Burgholzli di Zurigo nel 1904 ed affidata alle cure psichiatriche di Carl Gustav Jung, pupillo di Freud ed ideale successore. Sabine rappresenterà il grande successo terapeutico di Jung, con il quale aprirà una torbida storia di passione. Lo sguardo di Cronenberg, condito in salsa melò, è interessato certamente al momento in cui Jung sviluppa le proprie personali teorie per giustificare la trasgressione al precetto infranto dal suo "abuso", ed alla inevitabile separazione intellettuale tra maestro e discepolo. Sarà solo alcuni decenni successivi, col ritrovamento del diario di Sabine e del carteggio tra questi improbabili protagonisti dell' inatteso triangolo, che le “voci” su una presunta relazione tra la giovane e Jung verranno credute una volta per tutte.

In corenza al percorso stilistico del canadese anche “A Dangerous Method” racconta una sorta di mutazione: una presa di coscienza dell’intensità dei propri freni inibitori da parte di un medico che curando una donna finisce per catapultarsi a sua volta in una condizione “febbrile”. “Solo un medico ferito può curare un paziente”.. Il film tratta la prima definizione di "controtransfert" nella storia della psicoanalisi formulata nel 1909 da Freud in una lettera inviata a Jung. Il bivio nascerà dal fatto che il primo considererà il principio come un ostacolo che inficia la terapia, mentre per Jung grazie ad una corretta interpretazione del sentimento di "controtransfert" sarà possibile recuperare informazioni sulle dinamiche profonde del paziente, altrimenti, difficilmente reperibili.

La pellicola si salva per la mano di Cronenberg (una regìa asciutta ed estremamente classica, che tende a scomparire dietro la diegesi) e per le interpretazioni di un cast maschile di prim’ordine (Viggo Mortensen e Fassbender in stato di grazia).  Sostanzialmente però la messa in scena di Cronenberg (premetto, tra i miei registi preferiti), risulta priva di istintualità estetica, e “perde”  il confronto con la versione italiana che diresse Roberto Faenza di questo confronto tra i padri della psicanalisi. “Prendimi l’anima” (2003) scandaglia in maniera più incisiva il rapporto terapeutico tra Sabine e Jung, restituendo anche al personaggio femminile una maggiore tridimensionalità rispetto al personaggio di Keira Knightley, che risulta scisso in maniera decisamente innaturale tra i momenti di isteria e le forbite disquisizioni sulla psicanalisi.

https://youtu.be/EH0icIe57Sg

L’elemento che differenzia le due storie è il personaggio di Otto Gross (Vincent Cassel), introdotto come una sorta di diavolo istigatore o “daimon” platoniano (a seconda della libera interpretazione lasciata allo spettatore, diciamolo favorita da un ammirabile distacco di Cronenberg verso i suoi due personaggi chiave): in sostanza è la dissolutezza di Otto infatti che rende consapevole il dottor Jung  delle frustrazioni della sua libido

 

 

 

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