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Giovedì, 25 Aprile 2024
Vagabondi in Appennino

Vagabondi in Appennino

A cura di Pietro Nigelli

Trittico invernale Appenninico: entroterra ligure di Levante

Il tema dominante di questo secondo trek del Trittico Invernale Appenninico è stato il dissesto idrogeologico; ogni giorno ho attraversato lande desolate, terre morte su cui aleggiava il putridume dell'incuria e dell'abbandono, sensazioni che si appiccicano, s'aggrappano ai vestimenti, alla persona e t'accompagnano sino a sera quali monito dell'incoscienza umana verso questa Madre Terra, sconvolta ed abbruttita dalla furia imperiale dell'uomo che, rapinando tesori incalcolabili e non rinnovabili, distrugge, nel frattempo, la propria stirpe futura

Il tema dominante di questo secondo trek del Trittico Invernale Appenninico è stato il dissesto idrogeologico; ogni giorno ho attraversato lande desolate, terre morte su cui aleggiava il putridume dell’incuria e dell’abbandono, sensazioni che si appiccicano, s’aggrappano ai vestimenti, alla persona e t’accompagnano sino a sera quali monito dell’incoscienza umana verso questa Madre Terra, sconvolta ed abbruttita dalla furia imperiale dell’uomo che, rapinando tesori incalcolabili e non rinnovabili, distrugge, nel frattempo, la propria stirpe futura.

Attraversando la desolazione dei luoghi la mente è tornata al passato quando ho effettuato questo trek in piena estate in un paesaggio da inferno dantesco per i roghi boschivi; certo che visti al buio, sul far della sera o di notte, erano stupendi: in ampi archi o in danzanti lingue calavano dai fianchi dei monti emettendo crepitii, schiocchi, sibili e sfrigolii; un linguaggio alieno appartenente ad una vita aliena, quella del fuoco.

Certo un essere vivente, il fuoco, che nasce, vive, cresce e muore, che possiede una voce, si nutre, lascia scorie e che, come tutte le forme viventi, rientra nella legge della sopravvivenza, dura sì ma naturale. Per ogni bagliore più vivo, ad ogni lingua più alta un altro essere vivente, pianta, arbusto o cespuglio moriva.

Ma... alla luce del giorno si coglieva appieno lo scotto pagato per la cruda bellezza notturna: monti neri e desolati, boschi distrutti con alberi scheletrici e smozzicati e soprattutto un silenzio assoluto, non un fruscio, non un rumore eccetto quello del vento o di qualche rovinoso schianto.

Sono stati giorni incredibili questi in solitaria a tu per tu con il territorio;l’itinerario ha subito alcune modifiche nate per esigenze tecnico-logistiche ma per il 90% ha rispecchiato in pieno l’ipotesi di viaggio ed appagato la sete d’avventura.

La partenza prevista dal p.so della Scoffera è stata spostata a Giassina, circa a mezza strada tra Barbagelata ed il citato passo per rendere più omogenee le tappe - 27/30 kilometri.

Il secondo giorno sia per visitare Camogli, sia per il dissesto del territorio, non ho effettuato il ritorno a Recco per i sentieri alti del Promontorio di Portofino ma ho preferito seguire la costa sino a Santa Margherita ligure.

Anche la terza giornata ha visto una modifica di percorso, questa volta per il maltempo, con discesa a Cicagna e raggiungimento di Chiavari con autoservizi di linea.

Saltata dunque la visita al Santuario di Montallegro ma nel frattempo ho potuto visitare la valle di Correglia ligure seguendo l’antica mulattiera che collega l’entroterra alla riviera.

Anche in questo frangente si è dimostrata perfettamente a punto la conoscenza del territorio necessaria per studiare e predispone gli itinerari alternativi; itinerari che sono approntati non solo nel momento d’ideazione dei treks ma anche giorno dopo giorno durante l’esecuzione dei treks stessi.

Analisi delle quattro giornate

Un clacson, un’auto. Eccomi a Giassina

autunno-3La piccola frazione dell’entroterra ligure è il punto di partenza e d’arrivo del trek. Per le 11.30 sono al p.so Scoffera  e alle 12.45 a Sant’Oberto (molto interessante il secondo tratto fra terrazzamenti ormai abbandonati e vecchie case in sasso). Da Sant’Oberto con un magnifico sentiero a mezza costa risalgo alla forcella tra i monti Bado e Croce dei Fò.

Ormai il mare, compagno d’escursione sin dal primo mattino, é vicinissimo; una sola subdorsale mi divide dalla costa. Una breve sosta, un frugale pasto e...

Via tra gialli pascoli riarsi dal sole e cotti dai venti marini. Da Case Cornua un gran tuffo lungo mulattiere, tra uliveti, attraverso case dai vivaci colori, come usa in Liguria, rosa, giallo verde, azzurro; toni mai volgari, sempre caldi, tenui, slavati dal sole e dal sale.

E il mare... Laggiù, in fondo, a chiudere l’orizzonte della valle di Sori.

Uno ad uno sfilano paesi ed abitati a me da lunga data noti: Uscio, Pannesi, Case Rupanego, Calcinara, Terrile, Case Carapeno, San Bartolomeo e tanti, tanti altri ancora.

Da ultimo...  Sori con la marina, l’Aurelia, la piccola stazione punto d’arrivo di numerose traversate vissute e racchiuse nei ricordi.

Un fischio, un treno. Eccomi a Recco.

Il secondo giorno l’ho dedicato tutto alla “perla” della Liguria: il Promontorio di Portofino. Se ci siete stati potete capire la bellezza dei

luoghi altrimenti inutile spiegare; il posto va vissuto, attraversato a piedi, con fatica; solo così si penetra nell’essenza di questo monte, raro se non unico; un monte dalle mille sfaccettature dove mare e montagna ora si fondono in un unico armonioso, ora si scontrano a lottano generando cale e valloni, dirupi e balze sempre nuove, sempre diverse, sempre interessanti.

Mi sono divertito a visitare Camogli (il museo marino, il castello, le strette vie) e... poi su, verso San Rocco, tra ulivi e muretti a secco. Impossibile non riandare ad Eugenio Montale ed al suo

 “Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi
...
Osservare tra fronde il palpitare lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli
di cicale dai calvi picchi
...

Tra reti gonfie, non di pesce, ma d’oleosi frutti, lo sguardo fisso sul gradino successivo, il sudore che cola in rivoli copiosi, un passo dopo l’altro, salgo fino ad uscire, nel cielo, sopra Punta Chiappa.

E qui...
All’opera dell’uomo si sostituisce, di colpo, l’indomita e selvaggia bellezza del Promontorio fatta di spini - oh! malefici bocchi marini -, di erbe grasse e pungenti, mirti e corbezzoli; una distesa incredibile di cespugli carichi di bacche arancio-vinate, dolci, succose che mi hanno letteralmente conquistato, prima timoroso nell’assaggio poi via via sempre più famelico.

E così..
Tra puddinghe, forti in rovina, radure e boschetti sono arrivato al recondito San Fruttuoso dove il Promontorio mostra un volto nuovo; fitte pinete semibruciate accompagnano l’escursionista sino ad Olmi dove l’umana opera riprende il sopravvento; ancora ulivi ma su ampie terrazze, case sparse nel verde, raccordate tra loro da una passeggiata che sale da Portofino paese, tutta lastricata con beole ed illuminata da fioche luci. 
A sera sono nel piccolo borgo marinaro, stanco ma felice di questa seconda giornata passata a riscoprire angoli di terra ligure.

Un fischio, un treno. E di nuovo Recco.

Case Conua con i monti Bado e Croce dei Fò-2Non poteva mancare l’appuntamento con “Giove Pluvio” e così, il terzo giorno, che doveva essere il più suggestivo dei quattro è trascorso tra un umido bianco-latte in alto, per le nubi, ed un umido grigio marrone in basso, per il fango misto alla cenere di precedenti incendi. Il tutto accompagnato da un’acquerugiola fine fine, di quella che cade senza che tu te n’accorga e ti trovi fradicio, zuppo sino al midollo e non sai se di sudore o di pioggia: dolce sensazione, da brivido!

L’idea di visitare il Santuario di Caravagli, arroccato sul cucuzzolo del monte omonimo, di fissare l’incredibile bellezza del m.te Manico del Lume, di osservare la flora mediterranea, di raggiungere il Santuario di Montallegro è sfumata nelle nebbie che unite alla pioggia mi hanno costretto, come detto, a modificare l’itinerario. Dal p.so Crocetta sono sceso verso Correglia Ligure e Cicagna seguendo l’antica mulattiera.

Attraversando i borghi della valle mi sono reso conto dell’attaccamento caparbio dei vecchi liguri alla loro terra, scavata poco a poco nei fianchi dei monti, portata a spalla dal fondovalle su, in alto, nei terrazzi. Chini sull’erba umida, in ginocchio, una coppia di vecchietti raccoglieva una ad una le olive del proprio piccolo appezzamento. Pensate! 

Una ad una, senza un lamento, senza gesti inutili, senza rumore; non potevo passare ignaro, non potevo soffocare parole sincere che salivano da dentro... questo è il nostro Appennino, questa è la sua, la mia gente in cui m’identifico, in cui sento affondare le mia radici... per me sono eroi, sono... L’Appennino! E’ stata l’ultima immagine, la più umile, la più vera, la più reale.

Un clacson, una corriera. Eccomi a Chiavari.
monte Ramaceto_02-2Sonnecchiante nel caldo ventre di un torpedone, sono salito su su per la val d’Aveto sino al p.so Forcella per il pernotto. Lieta sorpresa al mattino: vento forte, freddo cane ma, soprattutto, sereno, un sereno da favola per quest’ultima giornata trascorsa sullo spartiacque che divide la Padania, terra di torri e d’argini, dalla Liguria, terra di porti  e di terrazze.

Dalla Forcella una lunga risalita al m.te Ramaceto, la più imponente balconata d’arenarie della Liguria dalla cui cima l’occhio spazia su ampi orizzonti spruzzati di bianco. Poi un susseguirsi di saliscendi che si chiamano m.te Rondanara, m.te Roncazi, m.te Pagliaro, m.te Camolaio, p.so Pozzarelli, p.so Scoglina tra vetuste faggete, miseri resti delle imponenti foreste ben note ai mariani della Repubblica di Genova, per giungere, alfine, al tramonto e di nuovo tra le nebbie a Barbagelata.

Un ultimo sforzo...
Due soli monti, una sola strada e d’improvviso il fascio di luce della torcia elettrica rimbalza e si rompe sui vetri di un auto, la mia. 
Il cerchio si chiude, dopo quattro giorni vissuti, ora dopo ora, tra boschi e monti, tra un paese ed un pascolo. Vissuti tra realtà o leggenda... non ricordo, non riesco a distinguere, capisco solo che di essere felice, me stesso, appagato. 

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Trittico invernale Appenninico: entroterra ligure di Levante

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