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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Alcune considerazioni a margine di “un mondo senza rifiuti?”

In natura non si producono rifiuti ma solo scarti. Gli animali si nutrono istintivamente a seconda del loro bisogno alimentare: divorando altri esseri viventi o nutrendosi di piante. Così come l’uomo primitivo si nutriva raccogliendo bacche o/e cacciando, perché l’essere umano è onnivoro. I rifiuti prodotti erano unicamente scarti alimentari.  La differenza tra scarto e rifiuto è una differenza concettuale di recente formulazione. La frase secondo la quale tutti gli esseri viventi producono scarti e solo l’homo sapiens produca rifiuti mi sembra imprecisa. Storicamente abbiamo catalogato le varie fasi dello sviluppo dell’umanità a seconda dell’uso del materiale cui l’uomo faceva maggiormente uso per soddisfare i suoi bisogni primari, costruire arnesi con cui procurarsi la selvaggina, costruire attrezzi di lavoro o semplicemente creare monili. La materia prima dei suoi prodotti ne ha caratterizzato l’età. Ecco così di seguito: l’età della pietra, del bronzo, del ferro. La storia è andata avanti così seguendo per secoli uno sviluppo lineare, uno sviluppo fondato su una costante crescita economica. Tutto è filato liscio finché non è comparsa la plastica. Lo studio delle materie plastiche inizia nel lontano 1885 quando un chimico svizzero Georges Audemars produce in laboratorio il rayon, una fibra trasparente che si ottiene dalla cellulosa. Alla realizzazione e diffusione della plastica, un grande contributo l’ha dato un nostro connazionale Giulio Natta, che riceve il Nobel per aver prodotto il polipropilene isotattico (Moplen), quello che durante “Carosello” Gino Bramieri pubblicizzava: “E mò, e mò, e mò… Moplen! – Signora badi ben, che sia fatto di Moplen!”. La nostra età possiamo definirla l’età della plastica. L’era della plastica possiamo farla iniziare a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, perché fino agli anni cinquanta il suo consumo era praticamente uguale a zero. Oggi la plastica è diventata sinonimo di inquinamento, della terra e del mare. Non solo per la sua presenza visibile ma soprattutto per quella non visibile, le microplastiche che troviamo nei ghiacciai e nei tessuti dei pesci, quelli con cui poi ci alimentiamo. È chiaro che la colpa per la presenza invasiva della plastica non va data agli scienziati che l’anno scoperta, ma alla cattiva gestione ed utilizzazione che ne ha fatto il mercato, dall’imprenditore al consumatore. La scienza continua la sua ricerca: la bioplastica che si ottiene con sostanze organiche vegetali è già una realtà, ed anche se non completamente biodegradabile può far parte comunque del compostaggio.

Come l’età della pietra non finì per mancanza di pietre, così la nostra non finirà perché sommersi dalla plastica. Anche se è impossibile produrre alcun rifiuto, sicuramente è possibile produrne meno. Il problema si pone proprio per quel meno, quella piccola parte residuale di rifiuti che comunque sarà necessario smaltire. Perché la raccolta differenziata, lo sviluppo di un’economia circolare, anche se avranno sicuramente un impatto positivo non elimineranno il problema. Antonio Massarutto, docente universitario di economia applicata, ci descrive a proposito di impianti, nel suo libro “Un mondo senza rifiuti?” (Il Mulino – 2019), alcune realtà come il termovalorizzatore di Amager Bakke a Copenaghen in Danimarca, costruito dentro una collina, dove è stata realizzata una pista da sci che riutilizza il calore dell’impianto stesso per l’innevamento. Un altro esempio ci è dato dall’impianto di Vienna ideato dall’architetto Friedensreich Hundertwasser, e per ultimo l’impianto sorto in un sobborgo di Stoccolma, un vero modello di new town. Questo è un suggerimento concreto per porre fine al sistema delle discariche. Non è la mancanza di siti a farci abbandonare le discariche quanto i crescenti costi finanziari e sociali, non a caso la malavita, sempre in cerca di affari e facili guadagni, si è spesso inserita nella gestione dei rifiuti e delle discariche (Gomorra docet).

La soluzione ad un inquinamento crescente può e deve essere data senza presupposte verità ideologiche, ma con dati certi dal punto di vista ambientale e con investimenti economici di sicuro riscontro finanziario. La soluzione al problema dei rifiuti e di conseguenza all’inquinamento è data dal passaggio da un’economia lineare, quella cui si è già accennato, ad un ‘economia circolare, cui si dirà meglio.

L’economia lineare è quel ciclo che partendo dal materiale, dalla materia prima, giunge al rifiuto attraverso le seguenti fasi: Progettazione dell’oggetto, la commercializzazione, il trasporto o la logistica, termine con il quale si intende indicare oggi tutta la movimentazione delle merci, l’uso individuale o collettivo del bene e la conseguente fine vita dell’oggetto.

L’economia circolare segue un percorso più articolato. L’inizio è pur sempre il materiale vergine, segue poi tutte le fasi della economia lineare fino all’uso del bene, dopodiché invece di andare nei rifiuti per fine vita, si appresta a percorrere un ulteriore ciclo virtuoso. Il percorso o meglio i percorsi saranno i seguenti: Riciclo, Rinnovo, Riparazione, Condivisione.  Così le varie “terre dei fuochi” che purtroppo continueranno ad esserci, non più per interesse economico ma per inciviltà, ignoranza e maleducazione, avranno sempre meno materiale con cui alimentarsi.

Scenari apocalittici come quelli indicati da qualcuno in questo periodo non ce ne saranno, i Savonarola hanno sempre predicato sciagure ed avuto i loro seguaci, ma mai hanno avuto ragione delle loro profezie. Queste, ad oggi le risposte ai problemi ambientali, per chi come me non vuole rinunciare ai viaggi aerei o mangiare carne: valorizzare i materiali attraverso il riciclo, il riuso, il recupero di materia e termovalorizzatori per il risparmio energetico.

La necessità di ridurre il consumo di energie fossili (riduzione di inquinamento atmosferico ed emissione di CO2) è uno degli obiettivi dell’economia circolare. Un tipo di economia che dovrà essere supportata da una “responsabilità estesa del produttore” come dalla responsabilità del cittadino “operatore ecologico domestico” ultimo, ma non per questo meno importante. Non bisogna cullarsi nella realizzazione “ipso facto” di un mondo senza rifiuti. I rifiuti ci saranno comunque anche se in maniera esigua rispetto ad oggi, anche in presenza di una percentuale elevata di raccolta differenziata o alla realizzazione di un’economia circolare, perché anche la “green economy” ha la sua parte marrone, anche nella green economy servono i guanti di gomma”.

Alcune considerazioni a margine di “un mondo senza rifiuti?”

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