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Giovedì, 25 Aprile 2024
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Ariaferma, ovvero dei delitti e delle carceri

Il festival del cinema di Venezia ha portato sempre una ventata di aria nuova nel panorama della cinematografia italiana e non solo. È un festival dove sono stati presentati film che spesso hanno poco a che vedere con la fiction, nel senso più vero del termine di finzione, di fantasia, come ci ha invece abituati il cinema hollywoodiano. Molti di questi film, soprattutto quelli italiani, riproducono sullo schermo cronache della nostra storia nazionale, come tali, vicende realmente accadute o ancora presenti nella nostra quotidianità.  Tra questi film mi ha particolarmente colpito, anche se fuori concorso “Ariaferma” per la bravura dei due attori principali Tony Servillo (l’ispettore di polizia Gaetano) e Silvio Orlando (il detenuto Carmine Lagioia). Il regista Leonardo Di Costanza è una vecchia conoscenza del Festival di Venezia dove con la sua opera prima “L’intervallo” nel 2012 ebbe diversi riconoscimenti, come ne avrebbe avuti quest’opera se fosse stata ammessa al concorso.

Ma non solo. Il film potrebbe iniziare riportando l’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Inizia invece con un coro tipico sardo, un lamento corale tipico delle tragedie greche. Se sia stata una scelta del compositore della colonna sonora Pasquale Scialò, alla sua seconda prova cinematografica, o del regista, non ci è dato sapere. Il film in fondo pur affrontando la tematica carceraria non è stato concepito come un lungometraggio per far conoscere lo stato delle carceri in Italia, ma come una vera e propria denuncia sull’assurdità della stessa pena detentiva così come applicata oggi.

Il carcere di San Sebastiano, spettrale costruzione ottocentesca, che nella realtà si trova al centro di Sassari, lo troviamo nella finzione scenica isolato tra le montagne. Questa collocazione spaziale pone la struttura, oltre che fuori dalla città e quindi del luogo, anche fuori da qualsiasi collocazione temporale.

 Ed è così che lo spettatore finisce per trovarsi non in un carcere ma nella Fortezza Bastiani, sì proprio in quella roccaforte dove il comandante Giovanni Drogo in un primo momento era stato assegnato ma che era finito per rimanervi deliberatamente “recluso”. Stiamo parlando del “Deserto dei tartari” di Dino Buzzati.

L’analogia non è fuor di luogo se pensiamo che i detenuti nella storia di Ariaferma aspettano un trasferimento che potrebbe arrivare da un giorno all’altro ma che in realtà non arriva mai, almeno non arriva fino al termine del film. Non solo. In un carcere enorme, oramai decadente, dalle tante celle vuote dei vari bracci, rimangono in pochi, soltanto dodici detenuti e poche guardie. La stessa sorte era capitata proprio alla citata Fortezza Bastiani che, da caposaldo prestigioso, si era ridotta ad un semplice, isolato e squallido avamposto.

Dal punto di vista scenografico il film potrebbe rappresentare anche le tante realtà industriali italiane, le tante realtà che oramai sono state abbandonate perché improduttive, come il caso di molte miniere, o perché la produzione cui erano preposte è stata trasferita all’estero, dove il costo più basso della manodopera dà luogo a maggiore profitto.

Ma siamo sicuri che il regista non volesse affrontare il problema carcerario in Italia? Questa è una domanda che ci si pone continuamente durante tutta la visione del film, almeno io me la sono posta, con sempre maggiore insistenza. Come un ritornello che si ripropone ad ogni fotogramma.

Il film è anche una risposta, forse involontaria, ai fatti recenti avvenuti a Santa Maria Capua Vetere in territorio casertano. Un carcere dove sono avvenuti diversi episodi, alcuni molto gravi, di violenza da parte del personale penitenziario. Episodi avvenuti dopo le rivolte del 2020. Le indagini si sono concluse nel Settembre di quest’anno. Il carcere come luogo di privazioni e di pena, con carattere solamente repressivo non può che portare a questi risultati. La logica punitiva sta alla base della violenza che da psicologica può sfociare in violenza fisica.

Il film è sicuramente un lungometraggio contro l’assurdità del carcere così come ha più volte sostenuto dal regista, ma non solo. È un invito ad intessere relazioni umane, piccoli gesti che possono contribuire a creare un clima di fiducia tra personale addetto alla sorveglianza e detenuti. Sarà anche per questo che il film proiettato in diversi istituti di pena è stato applaudito ovunque provocando tra gli spettatori un senso di profonda commozione.

Il carcere come istituzione repressiva, come regime di controllo e disciplina, che mira esclusivamente alla punizione è oramai fuori non solo dalla Costituzione ma dalla storia tout court, il miglioramento del sistema carcerario può costituire il substrato ideale per la costruzione di un nuovo umanesimo.

Ariaferma, ovvero dei delitti e delle carceri

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