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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Babylon, ovvero la realtà e la finzione

Certe località portano fin dalla nascita il segno del loro destino. Il nome di una città che è stata la culla e l’origine della civiltà mediterranea è sinonimo di disgregazione e di conseguente  distruzione. Sua colpa è l’essere stata la città antagonista di Gerusalemme. Come l’uomo si eleva spiritualmente creando le religioni, così le religioni a volte si abbattono sulle opere materiali dell’uomo. Babilonia come sinonimo di incomunicabilità, di declino, è l’emblema di una terra storicamente martoriata, quattromila anni di storia ce lo hanno dimostrato e continuano a testimoniarcelo. La Bibbia con il libro di Geremia predice la fine di Babilonia: un luogo disabitato, dove non passa  uomo. Città maledetta per antonomasia, nel Nuovo Testamento è definita la città del male. Oggi tutto ciò ce lo ricorda un film: Babylon. Babylon è un film di Damien Chazelle, con attori di prim’ordine come Brad Pitt e Margot Robbie. Chi non ricorda Damien il regista pluridecorato, dal Golden Globe all’Oscar con La La Land? Ecco partirei proprio da quel film, musicale e sentimentale. Un film che è stato premiato e osannato come adesso è viceversa ritenuto un flop questo Babylon. Vai a capirli gli americani! Questo sarebbe invece un film da premiare, e per diversi motivi. C’è in tre ore di pellicola l’evoluzione del cinema tout court con le sue trasformazioni, i suoi cambiamenti radicali. Dagli anni Venti al cinema contemporaneo, dove l’occhio della macchina da presa fissa alcuni momenti salienti: il passaggio dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dalla lentezza alla velocità, dal sentimentalismo all’azione.

Anche questa volta il termine Babilonia è usato in senso biblico. Una festa faraonica, all’ insegna della trasgressione dà inizio alle danze, in senso non figurato ma reale. Tra fiumi di droga, acrobazie libidinose e danze selvagge, prendono forma alcuni personaggi, personaggi che saranno divi del cinema muto e patetiche figure decadenti del cinema sonoro. Si potrebbe dire parafrasando la stampa: è il cinema bellezza! È il cinema la parodia in qualche modo della vita, della casualità della vita. Si diventa protagonisti per una serie favorevoli di occasioni, l’incontro con il personaggio che conta nel momento giusto. Nel cinema come nella vita. Questa lezione diventa il leit motiv di Babylon, comunque lo si intenda: piacevole o doloroso, esaltante o deprimente. Il tutto ci viene proposto in maniera spesso vivace e martellante come una lunga jam session. Una lunga jam session dove il jazz insegue melodie classiche, con lo scopo, se non dichiarato, di fatto per soppiantarlo. L’improvvisazione è tutto. L’imprevisto degli avvenimenti è un continuo catapultarci in situazioni nuove, a volte prevedibili, il più delle volte lasciate all’imprevedibile corso degli eventi.

Un film che può disgustare se lo si va a vedere con le lenti della moralità corrente, ma che in fondo ci dice, se non tutto,  molto del mondo del cinema, del cinema di ieri come di quello di oggi. Gli attori vanno e vengono sul palcoscenico del set, con qualsiasi cambiamento, le situazioni rimangono le stesse nel tempo.

Il mondo delle emozioni è il mondo dell’animo umano e come tale immutabile. Il successo dava come continua a dare alla testa, il successo è il trionfo, la vittoria che prelude spesso al fallimento. Il successo opera una separazione con la realtà quotidiana e come tale catapulta il divo nel Paese di Balocchi, nell’inferno del tutto è lecito! Nulla di nuovo, già ce lo aveva spiegato bene il Collodi del nostro casalingo Pinocchio. Il mondo del cinema è così diverso dal mondo reale da esserne paradossalmente una fotocopia. Una dicotomia solo apparente, a ben vedere. I fiumi di droga, il sesso sfrenato, il morire senza una valida ragione (alcune comparse durante la lavorazione di un film moriranno davvero infilzati da coreografiche lance), sono solo finzioni sceniche o le ritroviamo nella cronaca quotidiana? Alcune analisi delle acque del nostro Po hanno dimostrato esserci un’alta percentuale di sostanze stupefacenti, l’amore (malato) e la sessualità sfrenata riempiono la cronaca nera dei quotidiani, gli adolescenti che si menano in scontri armati o neopatentati che vanno a schiantarsi nelle strade di notte non sono morti casuali di incomprensibili comportamenti (cinematografici)?

Babylon ci ricorda tutto questo, forse bisognava continuare nelle riprese, andare avanti, attraverso il cinema giungere anche all’assurdità dei conflitti odierni. Il regista si è soffermato sul secolo breve, su alcuni anni in particolare del Novecento. Può essere un limite, ma può anche essere visto come un pregio. Puntare i riflettori su alcuni passaggi è affondare il bisturi sulle storture più appariscenti, su quelle storture che non sono state per nulla scalfite dal tempo. La tecnologia (il sonoro, il technicolor) ci aiuta a vedere la realtà da diverse angolature, a cambiare prospettiva, contribuisce solo a renderci più comoda la vita.  Babylon è un film girato per scene che si rincorrono, frenetico, stilisticamente libero: l’antitesi della formula aristotelica. La storia di questo film che narra le vicende del divo del cinema muto Jack Conrad (Brad Pitt) e dell’attrice Nellie LaRoy (Margot Robbie), non sarà gradita nelle alte sfere di Hollywood e pertanto sono convinto non riceverà nessun riconoscimento. Così come il regista. La loro colpa?   Avere messo in scena la vita dell’aristocrazia cinematografica, l’ipocrisia del cinema, il passaggio al sonoro avrebbe richiesto figure diverse che rispecchiassero le nuove tendenze della moralità sociale. Il cinema per le famiglie come fine delle trasgressioni. Le scene cambiano, così come gli attori, il silenzio della sala si contrappone alle note stridenti dei titoli di coda, sono state tre ore di attenzione, di coinvolgimento emotivo, un’immersione in una lectio magistralis sul Cinema.

Babylon, ovvero la realtà e la finzione

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