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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Breve nota sulle Cento Lettere di Giovanni Bongiorni

Quando si riceve un libro fa piacere, ci si sente investiti di un'attenzione particolare. Riceverlo impacchettato per posta ha il sapore della vecchia corrispondenza epistolare alla quale chi appartiene alla mia generazione è ancora legato. Non a caso il titolo del libro contiene anche il termine Lettere. Per essere più precisi e completi il titolo esatto è: “Cento Lettere di Libertà di Pensiero”. Libro pubblicato da Armando Editore nel 2022. L'autore Giovanni Bongiorni come egli stesso confessa nell'introduzione ha seguito l'esempio di amici e conoscenti che scrivendo lettere al giornale cittadino hanno dato vita a interessanti e vivaci dibattiti. Credo comunque nel pubblicare questa raccolta abbia seguito un esempio, l'esempio di chi ha pubblicato già dodici raccolte: ogni libro una annualità.  La raccolta dell'amico Giovanni Bongiorni è invece pluriennale, va dal 2018 al 2021, e riguarda lettere inviate e pubblicate da Libertà, dall'ultimo semestre della direzione Carini all'attuale direzione Visconti.  La mia esperienza è stata anteriore, è iniziata e finita con la direzione di Gaetano Rizzuto, il direttore che veniva da lontano storicamente e geograficamente, aveva iniziato a fare il giornalista durante il terremoto nella valle del Belice del '68 e si era formato nel giornale L'Ora di Palermo, giornale che era stato fondato dai Florio e diretto del mitico Vittorio Nisticò. Libertà, durante la sua direzione, era un giornale aperto alla politica ed alla cultura nazionale, piaceva leggerlo dall'ultima pagina alla prima, tanto era l'interesse per i dibattiti provocati dalle Lettere e dalle Rubriche dedicate ai commenti ed alle riflessioni dei lettori.

É grazie a Giovanni Bongiorni se anche in questi ultimi anni abbiamo potuto leggere delle belle pagine, pagine scritte da un pensiero libero, come il suo. Sono un centinaio di articoli che “ha raggruppati per argomenti, in modo da restituirli al pubblico in una struttura più organica, con lo scopo non solo di esibire alcune fra le tessere del mosaico che rappresenta la sua visione del mondo, ma anche di alimentare un dibattito allargato su questioni di interesse comune”, così ci presenta il libro Giorgio Macellari che ne ha scritto la prefazione. Giovanni ci vuole mettere al corrente nell'introduzione che il suo punto di partenza sono stati i Quaderni Piacentini di Piergiorgio Bellocchio, punto di riferimento di una gioventù che voleva incidere nel processo economico e soprattutto culturale del Paese, per migliorarlo, per cambiarlo. A questo patto giovanile Giovanni è rimasto fedele! Tant'è che tra i tasselli costitutivi del libro mette la paxis: “Io ormai distinguo fra chi parla e chi fa” (da un'intervista a Gino Paoli). Prassi che non è lo scavare trincee che non serviranno a nessuno, tanto per far fare qualcosa alla truppa, l'inutile fare per tenere impegnati le mani. Ma il fare che scaturisce dall'analisi teorica: dalla psicoanalisi che può migliorare l'individuo e dagli studi di psicologia sociale che tendono a migliorare la vita collettiva. Ecco il punto, lo scrittore Giovanni ci vuol dire in questo modo qual è il suo mestiere e quali le sue aspirazioni. É stato per quarant'anni psicoterapeuta e perciò conosce bene come l'individuo interagisce con la società che lo circonda: “È indispensabile che l'analista rispetti scrupolosamente la Costituzione”. Rispettare non le leggi, genericamente intese, ma le leggi costituzionali, cioè la Carta nata dalla Resistenza, dalla lotta Partigiana e dall'antifascismo.  Scrivendo del libro di Giovanni mi limiterò a prendere in considerazione alcune pagine in cui sono direttamente chiamato in causa.  Ad esempio, avevo scritto sulla scissione di Livorno del 1921 e Giovanni se ne serve per raccontarci un episodio autobiografico. Eccolo a trafficare con i nodi della politica. Gli ho inviato spesso le mie note ancor prima che fossero pubblicate, perché mi piaceva leggere le sue considerazioni mai banali e mai scontate. Ci dice di essere entrato nel 1979 in una sezione del P.C.I. di essere rimasto deluso dalla mancanza di discussione e di esserne perciò uscito, ci dice ancora di non essere più passato nella via di quella sezione dopo avere appreso dell'invasione dell'Afghanistan. Ecco, sapevo di chi era uscito dal P.C.I. in seguito all'invasione dell'Ungheria nel '56 o all'invasione della Cecoslovacchia del '68 ma non sapevo che fossero usciti dei compagni dopo l'Afghanistan. Dalla politica alla filosofia, l'Autore esplora il pensiero dell'interlocutore come nell'articolo “Fobocrazia e Infodemia” dove il confronto è continuo: sui termini, sui nomi, sulle teorie, non a caso vengono trattati con la stessa familiarità filosofi come Leibniz e cantautori come Gaber. Per continuare, un'altra nota racconta di mafia, riferendosi alla conferenza “Sciascia racconta Sciascia” incontro organizzato dall'Associazione Dante alla Passerini Landi il 2.10.2020.  Infine una stoccata sul populismo. Pessimisticamente concludevo un mio intervento affermando che il populismo purtroppo non avrà fine, mentre Giovanni affermava di non esserne convinto: “del doman non v'è certezza”. Ma al di là di tutte le possibili divergenze (poche in verità), abbiamo tanto in comune, in primis l'essere curiosi del mondo, di ciò che ci circonda, cercare di capire i fenomeni sociali e politici attorno a noi, infine cercare di cambiare questo mondo e cambiarlo restando soprattutto in salute, psichica e fisica. Perciò mi associo alla tua conclusione, che era un consiglio amicale: “Andiamo a vaccinarci” (era il 2 marzo del 2021). Continua a scrivere Giovanni: c'est bon!

Breve nota sulle Cento Lettere di Giovanni Bongiorni

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