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Venerdì, 29 Marzo 2024
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Da Piacenza a Siracusa, da Siracusa a Kiev

Anche quest’anno, in occasione della 57esima stagione della Fondazione Inda di Siracusa, non ho resistito a volare in Sicilia per catapultarmi direttamente nelle gradinate di pietra del teatro greco. Quest’anno le tre rappresentazioni riguardano: Agamennone di Eschilo, Edipo Re di Sofocle, Ifigenia in Tauride di Euripide. L’en plein della tragedia del mondo classico.  Opere studiate a scuola che per questo dovrebbero essere conosciute. Dovrebbero, appunto, perché a volte e per alcuni, le materie di studio filtrate da interpretazioni stereotipate possono creare, verso l’opera e l’autore, indifferenza. Leonardo Sciascia lo sosteneva ad esempio nel riguardi dei Promessi sposi. Un’opera classica, secondo lo scrittore siciliano, perché capace di rappresentare tutto: l’angoscia e la felicità: - soprattutto l’angoscia, “con mirabile felicità” -.   

Un altro scrittore, Umberto Eco ci ha lasciato una definizione che possiamo definire semplice ed immediata: "Il classico è tale perché ha sempre qualcosa da dire". La semplicità della definizione è la cartina di tornasole della sua veridicità: Il principio di semplicità (ma non troppo) sta alla base di tutte le scoperte scientifiche. Non a caso Umberto Eco è stato oltre che semiologo, un filosofo. 

Oggi, a noi gente del terzo millennio, hanno ancora da dire qualcosa di nuovo queste opere? Credo di sì, perché altrimenti non si spiegherebbe dovere affrontare un viaggio abbastanza faticoso, non fosse che per i continui cambi di vettori, tralasciando le condizioni meteo! Sono gli inciampi della storia personale e collettiva a rendere queste opere classiche attuali. C’è uno sforzo che accomuna i registi (Davide Livermore, Robert Carsen, Jacopo Gassman): rendere attuale il dramma antico. Risultato che può essere raggiunto attraverso l’organizzazione della scena nel suo complesso. Organizzazione che comprende la scenografia, i costumi, il sonoro e perfino la postura degli attori, che deve sostituire le maschere previste in origine.   I personaggi delle tragedie si presentano in vestito, con tanto di giacca e cravatta. Moderni pianoforti impongono il loro ritmo, enormi specchi riflettono il pubblico che da spettatore diventa attore. Questi sono ammirevoli stratagemmi per rendere contemporanea un’opera vecchia di secoli. Ma ciò che rende veramente attuale il dramma antico sono le passioni umane. Il giuoco delle passioni. La lotta per il potere, il desiderio di vendetta, il ricorso alla violenza come mezzo risolutore di conflitti, la gelosia, l’odio e l’amore.  

Ci narrano, queste opere, la crudeltà della guerra, di ingannevoli vittorie: vittorie che non portano sogni di gloria ma che sono premessa di sconfitte. Vittorie che spalancano le porte alla morte.  Gli Dei sembrano giocare a dadi con l’uomo e l’umanità. Dio non può giocare a dadi con l’umanità sosteneva Einstein, altri scienziati lo redarguivano: “Piantala di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi”. Ognuno chiamava in causa la divinità a sostegno della propria teoria. La divinità ha spesso previsto tutto e gioca con gli uomini come in un teatro delle marionette, ma è anche vero che la divinità spesso non fa altro che assecondare le nostre inclinazioni. Atteggiamenti questi che sono presenti nelle opere di cui si è detto, in modo più o meno palese. Tutte le tragedie greche, chi più chi meno, hanno legami con la madre di tutte le guerre: la guerra di Troia. Guerra che ci fa capire come ogni conflitto necessita di un pretesto ideologico. Nel nostro caso, il rapimento di Elena, moglie di Menelao e cognata di Agamennone, da parte di Paride figlio di Priamo, re di Troia. Il rapimento di una principessa con successiva guerra è leggenda che accomuna diverse culture. L’Onore, offesa da lavare col sangue, del marito tradito, Regalità offesa; il dovere della comunità (in questo caso ellenica) di partecipare alla guerra. In realtà il motivo scatenante è stato un altro, molto più prosaico: l’interesse economico. La posizione strategica di Troia che permetteva il controllo dei traffici sullo Stretto dei Dardanelli, la probabile imposizioni di dazi ed i connessi scambi commerciali. Qual è la differenza con le guerre dei giorni nostri?  Le guerre che l’Occidente ha dichiarato in varie regioni del mondo, dall’Indocina al Medio Oriente, dal bacino del Mediterraneo all’ex Jugoslavia, sono state ideologicamente motivate con la necessità inderogabile di liberare quelle regioni da dittature per portare la democrazia e la libertà. Concetti, la libertà e la democrazia, tanto astratti, quanto non esportabili, essendo valori politici e sociali che un popolo deve autonomamente volere e potere realizzare, perché nel momento in cui vengono imposte contraddicono il loro significato e ne minano la credibilità stessa. Un’imposizione è un’ingiunzione arbitraria per definizione non può essere quindi né sinonimo di democrazia tantomeno di libertà. Le conseguenze delle guerre sono ben visibili oggi nei servizi fotografici e televisivi e non sono molto diverse dalle conseguenze che hanno avuto tutte le guerre.  A proposito di donne violentate e bambini uccisi, ricordate Le Troiane? La guerra è amorale: un’azione violenta contro il prossimo e contro se stessi: Agamennone deve sacrificare la figlia Ifigenia prima di potere sacrificare la vita dei nemici. Agamennone torna nel proprio palazzo dalla moglie: quale vantaggio avrà da vincitore se ad attenderlo sarà la morte? 

Vado a Siracusa ma è come andassi a Kiev. Assisto a storie apparentemente assurde che mi catapultano nella quotidianità: assurda è la guerra, assurda la quotidianità della guerra! Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo… come già Quasimodo nell’immediato dopoguerra: uomo della pietra e della fionda le armi primordiali della guerra, oggi le armi automatiche, i missili ed i carri armati, con cui si vorrebbe ottenere la pace: un ossimoro!   

Il mio viaggio non è stato solo da Piacenza a Siracusa ma in realtà mi ha portato da Troia a Kiev. Un viaggio che mi ha fatto capire ancora una volta, ce ne fosse di bisogno, che è il concetto della guerra che bisogna bandire: nefasta per vinti e vincitori. La guerra dovrebbe diventare un tabù come sosteneva Moravia, così come è diventato l’incesto: Edipo Re fu causa della peste a Tebe perché uccise il padre e sposò la madre. L’essere stato incestuoso, anche se inconsapevole, fa dire ad Edipo: “La sorte migliore per l’uomo è non nascere. Ma, se ormai è nato, la sorte migliore è morire subito”. Pensate: queste parole potrebbero essere pronunciate da un capo di stato nel momento in cui dovesse dichiarare guerra, dichiararla anche inconsapevolmente. Avremmo in questo modo dato sacralità alla vita grazie ad un nuovo tabù!  

Da Piacenza a Siracusa, da Siracusa a Kiev

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