rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

“Esterno notte” di Bellocchio: una attuale vecchia storia

Pessoa autore lusitano è famoso per i suoi eteronimi, cioè persone che inizialmente inventate riescono ad esistere indipendentemente dall’autore stesso. Questo in ambito letterario, ma lo stesso concetto traslato potrebbe applicarsi alla politica. Un po’ come certi politici infatti, che riescono a costruirsi, per tornaconto, personalità diverse facendole vivere (quindi agire e pensare) a seconda del partito o del momento. C’è una frase che viene riportata come manifesto letterario del pensiero di Ferdinando Pessoa: “C’è qualcosa di lontano in me, in questo momento. Sto sulla terrazza della mia vita ma non si tratta esattamente di questa vita. Mi trovo sopra la vita e dal mio punto di osservazione la osservo”. Essere sopra questa vita ed osservarla, osservare la vita anche se non si tratta di questa vita ma di un’altra precedentemente vissuta. È questo un concetto che ricorda la “saudade”, la nostalgia brasiliana: provare nel ricordo la tristezza dell’assenza.  È questo il sentimento che mi ha provocato l’ultimo film “Esterno notte” di Marco Bellocchio, un regista che ho sempre seguito e che ho trovato sempre interessante, un autore capace di interpretare la recente storia di questo nostro paese (il secondo Novecento) e fuori dagli schemi fornirci una versione originale. Il film è stato diviso in due parti, sono in tutto sei episodi, tre per ogni proiezione cinematografica. La prima parte è uscita nelle sale a Maggio, la seconda questo mese, ad inizio Giugno. Mi aveva impressionato nella prima parte la capacità attoriale di Fabrizio Gifuni: più che rappresentare il Presidente della Democrazia Cristiana è stato veramente, in carne ed ossa, Aldo Moro. Così come nella seconda parte mi ha particolarmente colpito Margherita Buy: più che rappresentare la moglie di Moro, è stata Eleonora Moro! Tutto il cast è comunque eccezionale, gli attori riescono a prenderci per mano e farci rivivere la storia del sequestro Moro, farci partecipare alla vita politica di quel periodo: osservare la vita, anche se non si tratta direttamente della nostra vita.

Ne veniamo coinvolti direttamente perché siamo stati allora attori di quegli eventi così come oggi siamo spettatori del film. Abbiamo, quelli della mia generazione, seguito i mesi del sequestro Moro, con apprensione, partecipando coscientemente alle manifestazioni sindacali e politiche pur frastornati dall’informazione mediatica della stampa e della televisione (dichiarazioni psichiatriche sulla salute mentale del Presidente, sedute spiritiche, amene località dove cercare il corpo di Moro mentre era ancora in vita). I mass media hanno questa peculiarità: mostrarci sempre delle verità che essendo di parte sono spesso mezze verità prossime a bugie belle e buone! Mi ricordo di un’Italia divisa, da una parte l’intransigenza, la fermezza (si diceva) che negava qualsiasi contatto con le B.R., corrente rappresentata dai maggiori partiti, in primis dalla DC come dal PCI, mentre socialisti e radicali erano per una posizione più morbida, per una trattativa che portasse Moro ad avere salva la vita. La ragione di Stato, imprecisato tabù, perciò perfetto e preciso allo scopo, imponeva il martirio del Presidente. Il film rende evidente la vera ragione di Stato: il percorso indicato dal consigliere americano Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga (allora Ministro dell’Interno, tra i fondatori di Gladio) era stato studiato in modo tale da portare dritto alla morte Moro, la cui colpa era stata di volere portare al governo quel trentaquattro per cento degli italiani, che fino ad allora ne erano rimasti esclusi. Gli amici durante il sequestro diventeranno “ex” amici, spettatori della tragedia, Ministri che impotenti, come orchestrali, si lasciano dirigere dell’allora Capo del Governo, Giulio Andreotti (associato a Cosa Nostra almeno fino al 1980, secondo sentenza definitiva). Le Relazioni parlamentari ci dicono, se non tutto, abbastanza. Ma non è necessario andare a rileggersele, bastano poche battute, precise parole del film a descriverci l’atmosfera di quegli anni, gli anni di piombo. La detenzione di Moro, i comunicati delle BR (quelli veri e quelli falsi), l’atteggiamento dei Servizi segreti e dei Servizi noti, la reazione popolare al sequestro, sotto i riflettori della cinepresa rivivono, tornano d’attualità, li osserviamo come momenti passati ma su cui riflettere ancora, come stessimo sulla terrazza della storia, sulla terrazza dove vediamo trascorrere la storia: un passato che ci vede oggi spettatori, come allora ci ha visti attori. Evidentemente al nostro regista sta molto a cuore la figura di Moro, tanto da giungere a negare la realtà stessa attraverso una riuscita finzione scenica assistiamo ad un finale dove il Presidente rimane tra noi, non muore: In “Buongiorno notte”, vivo, girovagava per le vie di Roma, in questo film lo troviamo in un letto d’ospedale, malconcio ma vivo, giusto in tempo per sottoscrivere l’atto d’accusa a tutta la classe dirigente del suo partito: “Alla luce dei recenti fatti, ogni mia futura carica, ogni mio incarico nel partito non sarà più possibile… Mi dimetto dalla Dc”. Le sue dimissioni sono combaciate con la sua morte e sono state realmente l’inizio della decadenza dei grandi partiti popolari, circa dieci anni dopo la svolta della Bolognina segnava la fine del PCI, mentre il Consiglio Nazionale qualche anno dopo decretava lo scioglimento della Democrazia Cristiana.

 “Alla luce dei recenti fatti, ogni mia futura carica, ogni mio incarico nel partito non sarà più possibile… Mi dimetto dalla Dc”, sì credo sarebbe questa la frase che Moro avrebbe veramente pronunciato se fosse rimasto vivo: rilasciarlo sarebbe stato un atto veramente rivoluzionario! Un colpo al cuore dello Stato, secondo il linguaggio dell’epoca. Ma la sua sorte era stata già decisa, così come era stata decisa anni prima per Allende e lo sarà anche in seguito per chiunque avesse cercato di modificare certi equilibri politici.

 Il film presentato a Cannes, adesso nelle sale cinematografiche, in autunno tutti gli italiani potranno vederlo trasmesso a puntate in televisione, diviso nei sei episodi che compongono il puzzle. Il film mostra due aspetti rilevanti: la compassione (la partecipazione alle passioni umane dei personaggi coinvolti nella vicenda) e la razionalità politica (l’affaire Moro come l’inizio della disgregazione dei grandi partiti e l’allontanamento dalla politica da parte della gente comune). È l’epopea di una tragedia greca, dove gli Dei si prendono gioco del destino dell’uomo per affermare le loro ragioni.  Gli esecutori materiali dell’efferato delitto sono marginali, pedine usate da una regia più o meno nota. Al di là di qualsiasi considerazione politica, non possiamo che ringraziare Bellocchio per averci offerto la possibilità di riflettere, ancora una volta, su una vicenda dolorosa della vita politica italiana che ha segnato il culmine della strategia della tensione e che per certi aspetti risulta ancora avvolta nel mistero, nonostante i processi, le indagini, il tanto tempo trascorso. Il film non chiude il discorso storico sull’intera vicenda che rimane oggetto di ulteriori (infinite?) riflessioni, perché come in ogni giallo degno di questo nome, ogni nuova osservazioni rimane degna di attenzione, noi possiamo solo concludere a proposito, parafrasando Auguste de Villiers de L’Isle-Adam: ce ne ricorderemo di questo film!

“Esterno notte” di Bellocchio: una attuale vecchia storia

IlPiacenza è in caricamento