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Giovedì, 18 Aprile 2024
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

“Golia” di Borgese, ovvero “La marcia del fascismo”: una storia da non dimenticare

Inizierò soffermandomi sulle ultime pagine del libro di Antonio Giuseppe Borgese “Golia”, un libro di 526 pagine, che non avrei mai letto se il particolare momento storico non mi avesse costretto a rimanere esiliato nell’Isola tanto tempo

Il libro si sa segue un suo filo logico, alla sua narrazione bisogna sottostare, leggendolo secondo la cronologia delle pagine, dalla prima all’ultima. A quest’ordine di solito ci si adegua anche per commentarlo. Contraddicendo questa formula, inizierò soffermandomi sulle ultime pagine del libro di Antonio Giuseppe Borgese “Golia”, un libro di 526 pagine, che non avrei mai letto se il particolare momento storico non mi avesse costretto a rimanere esiliato nell’Isola tanto tempo.  Sono per i libri brevi, i pamphlet, i libri che si divorano d’un fiato e nella mente aggrovigliano i pensieri, costringendoli a lunghe (nonostante la brevità del testo) e profonde (nonostante la leggerezza del testo) riflessioni.

Di conseguenza, in questo caso particolare, iniziamo quindi dall’ appello rivolto “Ai fratelli d’Italia” che conclude il libro, una posticcia postfazione: Sono gli italiani che in virtù della “loro grandezza collettiva, acquistata attraverso i travagli e gli errori secolari… con i voli della fantasia… frutto di sette secoli di sogni hanno creato questo incubo”. L’incubo cui si riferisce il testo è il Fascismo di Benito marcia-su-roma-3Mussolini, non a caso la “Marcia del Fascismo” è il sottotitolo del libro di A. G. Borgese. Infatti, dice l’Autore, anche se, come tutti sanno, Cesare era stato assassinato la tirannia continuò, perché la tirannia non risiedeva in Cesare ma nel cuore dei Romani. In questo senso il libro diventa attuale, perché il Fascismo, come precedenti dittature, è visto come una peculiare “Malattia italiana”. Gli italiani che non riescono a distinguere tra desiderio e realtà, sono un popolo rimasto allo stato infantile, nonostante il dovere proprio di ogni popolo di diventare maggiorenne. (Lo diventerà mai maggiorenne il popolo italiano?)

La bella scrittura e l’analisi storica, attraversano tutta l’opera, sono indubbi i fatti narrati come altrettanto evidente risulta la precisione della parola che li descrive. La capacità narrativa è come un bisturi che incide e mostra le ferite della storia: di tutta la storia d’Italia.

Il libro si sofferma su un preciso momento storico, il periodo fascista in Italia, dalla sua ascesa al 1937, ma tantissimi sono i riferimenti alla storia letteraria e politica italiana ad iniziare da Dante. Il libro è stato scritto e pubblicato nel 1937 in America (titolo originale: Goliath, the march of fascism) dove in volontario esilio si era trasferito Borgese. In Italia è stato pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 1946, diversamente non sarebbe stato possibile. 

Le esperienze medioevali dei Comuni, dove l’iniziativa individuale si fondeva con l’universalità degli intenti, sarebbe dovuto essere l’esempio da seguire per gli italiani. Ed è per questo che il libro inizia con le vicissitudini di Dante Alighieri e della sua Divina Commedia (pagine di pura critica letteraria), per proseguire con la tragica farsa di Cola di Rienzo. Un posto particolare merita Nicolò Machiavelli ed il suo “Principe”, cui spesso l’Autore fa riferimento per spiegare particolari momenti storici.

Gli italiani, nel marasma del disfacimento politico dei secoli bui impararono ad amare la famiglia, una realtà costituita ad immagine e somiglianza della mitologia cristiana, dove, a poco a poco, la centralità divina del Cristo è andata scivolando verso la figura della Vergine Madre. La figura della Madonna e della maternità diventano il perno della famiglia stessa. In seno a questa realtà il marito acquista le sembianze del leone e la moglie della machiavellica volpe. La società italiana ha avuto dunque queste caratteristiche: una religione comune, mutuata spesso da una superstizione popolare, il santuario della famiglia e “in fondo all’animo, represso ma mai soppresso, l’odio della mediocrità e l’amore del maestoso e del grande”. Così, senza che ce ne accorgessimo entrano in scena, parlando di storia e di letteratura, considerazioni antropologiche e sociologiche, che servono ad aiutare il lettore a meglio capire la nascita del Fascismo.

Altre pagine interessanti riguardano tutto il Risorgimento, dall’idealista Mazzini al pragmatico Cavour, oltre a soffermarsi sulla produzione letteraria dei massimi rappresentanti dell’ottocento italiano, da Manzoni a Leopardi. Il Fascismo non è stato come diceva Croce un bubbone   cresciuto nel corpo sano della società liberale, ma ha avuto profonde radici in tutta la storia d’Italia e nell’indole stessa degli italiani: l’ascesa del fascismo si è potuta realizzare per la caparbietà di pochi e la stupidità di molti.

Riveste al riguardo un ruolo non marginale Gabriele D’Annunzio. Il vate del nazionalismo italiano, il poeta che indica la via della guerra, quella guerra che gli italiani chiameranno “la nostra guerra”. In “Golia” si spazia anche dalle trame diplomatiche alle provocazioni belliche che hanno portato alla prima guerra mondiale ed alle guerre di conquista africane che avrebbero dovuto dare all’Italia il suo meritato posto nel mondo: l’Impero coloniale.

Nei libri scolastici di storia abbiamo sempre letto un capitolo dedicato al nazi-fascismo. Mai formula è risultata più fuorviante. Il fascismo italiano è stato il modello, il nazismo la copia. Non solo per questioni cronologiche ma perché il fascismo aveva mostrato al mondo come usando metodi rivoluzionari di sinistra si potesse riuscire a sovvertire l’idea di legalità e progresso, sostituendo al concetto di giustizia il solo esercizio del potere. Mussolini, secondo Borgese non è mai stato né socialista, né nazionalista, ma un politico contro lo Stato che finirà poi per impadronirsene e diventare egli stesso Stato. Il Duce che fu contro re ed imperatori, divenne in seguito Imperatore egli stesso. Conosceva “Il principe” di Machiavelli, il suo secondo vangelo, il primo era “Zarathustra” di Nietzsche, peccato solo che “di Nietzsche egli capiva quel tanto che poteva”.  Il libro scritto nel 37 è un atto d’accusa contro la dittatura fascista, da chi ha vissuto quegli anni (da letterato, da giornalista, da diplomatico, da esule) e fatto le proprie scelte quando ancora del regime non se ne vedeva la fine. Borgese ha un sogno che ci rivela nelle ultime righe: “La politica, che di solito è l’assoggettamento dei migliori ai peggiori, cadrà in dissuetudine. Tutte le patrie sbiadite formeranno un’unica Terra di Fratelli, dove gli uomini lotteranno uniti, come nel canto testamentario di Leopardi, contro il comune nemico, l’indomita natura e la morte”. Ed oggi, con il Covid 19 ancora in giro, ognuno di noi sa come sia urgente la realizzazione di un augurio come questo.

“Golia” di Borgese, ovvero “La marcia del fascismo”: una storia da non dimenticare

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