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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Ken Loach e questo nostro tempo

Capita di sentirsi in dovere di scrivere qualcosa su ciò che si è letto o visto, scrivere qualcosa perché ci ha trasmesso delle sensazioni forti e di non riuscire di contro a scrivere nulla. È quello che avviene con l’ultimo film di Ken Loach: Sorry, We Missed You

Capita di sentirsi in dovere di scrivere qualcosa su ciò che si è letto o visto, scrivere qualcosa perché ci ha trasmesso delle sensazioni forti e di non riuscire di contro a scrivere nulla. Come quando si vorrebbero fare dei comizi, dire tante cose, si pensano cascate di parole ed invece non si riesce a spiccicare una parola, perché un magone ci attanaglia la gola, ci impedisce di profferire alcunché. Il silenzio che ne consegue, spesso è accompagnato da qualche lacrima che involontariamente ci solca le guance.

È quello che avviene con l’ultimo film di Ken Loach: Sorry, We Missed You. Un film che apre la stagione cinematografica del 2020 (il film è uscito nel 2019 e presentato a Cannes ma nelle sale è stato proiettato da inizio Gennaio, quest’anno).

Una frase comune cui poter fare ricorso per descrivere le sensazioni che il film ci trasmette potrebbe essere la classica affermazione: è un pugno allo stomaco! Ma sarebbe riduttivo. Esprimerebbe solo una sensazione istintiva, razionalmente non spiegherebbe nulla.

Invece bisogna armarsi di freddo calcolo razionale per riuscire a dire qualcosa di sensato. Perché di verità il film ne racconta tante, ci mette di fronte una realtà quotidiana, di fronte la quale spesso preferiamo chiudere gli occhi, far finta di nulla, voltarci dall’altra parte.

La realtà è la quotidianità di un pacco che abbiamo ordinato online e che ci viene consegnato nelle ventiquattro ore successive, la quotidianità è la disamina particolare di un prodotto per pagare il prezzo più basso. La quotidianità è l’ordine perentorio che ci viene impartito del risparmio tangibile come quello economico o del risparmio astratto del tempo. In altri termini dobbiamo risparmiare sempre e comunque denaro e tempo! Nessuna domanda è lecita sulla qualità del prodotto, sui costi sociali, sull’utilità e sulla durata dello stesso, per non parlare della sostenibilità ambientale, tutte questioni che non ci devono interessare, rilevanti sono solo le due domande iniziali: quanto costa, in quanto tempo mi viene fornita la merce. Perfino quando facciamo la spesa in un comune supermercato ci viene imposto il paradigma del risparmio, economico e temporale. Il Salvatempo è un servizio … per permettere di agevolare e velocizzare le operazioni di acquisto dei prodotti attraverso l'autolettura e la memorizzazione dei codici a barre. La conseguenza dei costi sociali, in termini di posti di lavoro (meno cassieri) e di qualità del servizio (anonimato ed eliminazione di qualsiasi rapporto umano), non interessa nessuno.

Ecco, basterebbero poche attente osservazioni, non prendere certe abitudini, non lasciarsi trascinare dallo tsunami della propaganda consumistica per restare umani, per rimanere persone che acquistano dei prodotti cui hanno bisogno, non semplici ed anonimi consumatori, che acquistano merce con l’idea di risparmiare, sempre e comunque, tempo e denaro.

Forse ci vuole dire questo il filmSorry, We Missed You”? nel senso che ci siamo dimenticati di te, di te come cittadino (lavoratore con doveri e diritti), di te come uomo e dei tuoi rapporti parentali?

La storia del film è ambientata in Inghilterra, nel territorio di Newcastle, riguarda un solo lavoratore e la sua famiglia, ma si carica pian piano di un significato che diventa universale, rappresenta la condizione del lavoratore oggi, in Inghilterra, in Europa, nel Mondo.  Il neoliberalismo è iniziato in Gran Bretagna, grazie alla signora Thatcher, i suoi cavalli di battaglia: la deregolamentazione, la flessibilità nel mercato del lavoro, la privatizzazione dei servizi, la revisione contrattuale delle regole sindacali. (Come non ricordare lo sciopero dei minatori inglesi, cui si accenna anche nel film). Una concezione che si è allargata a macchia d’olio, che ha stravolto il mercato del lavoro, fino a giungere ad un mercato che si basa sulla circolazione delle merci controllata da un sistema informatico che ha eliminato qualsiasi briciola di umanità; l’operaio, il lavoratore dipendente, è diventato un tassello anonimo di un’azienda, non più legato ad una catena di montaggio ma privato di qualsiasi diritto sindacale (dovuto come dipendente), diventa soggetto responsabile di qualsiasi performance che riguardi la produzione, come tale assoggettato a ritmi di lavoro che snaturano qualsiasi  caratteristica umana.

Si potrebbe dire che il film rispetta le caratteristiche della tragedia antica: unità di luogo, di tempo e di azione. Un uomo, la sua famiglia, il suo lavoro. L’inizio della storia è la ricerca del riscatto di un uomo che ha svolto tanti lavori, che vorrebbe comprarsi una casa, sogno che così come aveva realizzato era svanito per congiunture economiche negative, che vorrebbe migliorare le condizioni della propria famiglia. Pian piano, i suoi sogni si infrangono con la realtà, tegola dopo tegola frantumano la sua esistenza: la condizione stressante del lavoro cosiddetto autonomo, la rivolta del figlio, le crisi della figlia, l’impegno e la difficoltà incontrate dalla moglie nel lavoro.

Una rapina al suo furgone con pestaggio, lo portano diritto al pronto soccorso, dove giunge in condizioni pietose. La privazione dei previsti guadagni, per il furto, per le assenze, per le multe, la minaccia della perdita del lavoro, porteranno Richy, il protagonista, ad una caparbia, ostinata ed incontrollata autodistruzione: il ritorno al lavoro, a questo tipo di lavoro!

La storia non lascia scampo al protagonista, non lascia scampo a nessuno di noi, protagonisti ignari di questo nostro tempo, un tempo da vivere in angosciosa attesa… di un’area logistica allargata, di un altro Park Center, di un’aria più carica di veleni!

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