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Libertà di pensiero

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A cura di Carmelo Sciascia

L’ironia di Woody Allen in Rifkin’s Festival

Il pensiero filosofico che si esprime nei film di Woody Allen potrebbe essere riassunto in pochi termini, in due parole, pessimismo ed ironia. O, più compiutamente, in un pessimismo ironico. Una visione negativa dell’esistenza vissuta con leggerezza, grazie all’ironia

“Fin da ragazzino sono sempre stato pessimista, senza alcuna buona ragione per esserlo. Ho avuto dei bravi genitori, la mia famiglia è stata buona con me, ho avuto una bella infanzia ma, per qualche ragione, sono sempre stato pessimista. E non sono mai riuscito a sapere perché. Fino ad oggi”. Parole di Woody Allen. Parole che potrei non solo condividere ma farle mie. Come potrebbe far proprie qualsiasi cittadino europeo, anzi più precisamente italiano. Infatti il pessimismo è una caratteristica popolare, peculiare di tutta la nostra letteratura. Da sempre. Così come l’ironia. Il pensiero filosofico che si esprime nei film di Woody Allen potrebbe essere riassunto in pochi termini, in due parole, pessimismo ed ironia. O, più compiutamente, in un pessimismo ironico. Una visione negativa dell’esistenza vissuta con leggerezza, grazie all’ironia.

Possiamo dire che Allen non è un regista americano, tant’è che gli States, cinematograficamente parlando, sono la culla dell’ottimismo, ottimismo che si esprime, guarda caso, nei grandi kolossal hollywoodiani. «Con il lieto fine gli americani hanno illuso il pubblico, per fortuna sono arrivati gli europei a rendere il cinema adulto», dice a un certo punto Mort Rifkin, l’alter Ego del Nostro nel film di cui parleremo.

Woody Allen è un regista europeo, un regista prevalentemente italiano. Non è un caso che, se dovesse salvare un solo film, per sua manifesta ammissione, salverebbe proprio un film italiano: Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Un’affermazione curiosa (anche se comprensibile) che è stata ripetuta e sottolineata spesse volte dallo stesso regista. L’ultimo suo film è «Rifkin'slocandina-14-3 Festival», il 48esimo della sua lunga carriera. Ironia della sorte, causa pandemia, il primo film proiettato nelle sale, questo mese di Maggio, in Italia. Non sarà stato casuale.  È stato di conseguenza Il primo film che ho potuto vedere grazie alle giuste e controllate riaperture. Il film che non è stato accolto molto bene nelle sale cinematografiche americane, ha avuto e continua ad avere invece un buon riscontro nelle nostre sale. Diversamente non sarebbe potuto essere considerato che il film riassume magistralmente la storia di gran parte del cinema europeo. Grazie anche alla magnifica fotografia di Vittorio Storaro rivediamo in bianco e nero le citazioni del migliore cinema europeo, fotogrammi che rappresentano pietre miliari della storia del cinema tout court. Da Fellini a Truffaut, da Bergman a Bunuel. La trama di Refkin’s Festival è semplice: una coppia si reca a San Sebastian (splendida città balneare dei Paesi Baschi) per il festival del cinema (realmente a San Sebastian ogni anno si svolge “El Festival Internacional de Cine”). In quest’occasione alcuni incontri, alcuni previsti altri casuali, segneranno il corso e la fine della loro relazione. Lui è Mort Rifkin, insegnante di storia del cinema, lei, sua moglie Sue (l’attrice Gina Gershon), promoter di un regista francese narcisista e vanesio con cui avrà una relazione. Questa liaison segnerà la fine, peraltro già annunciata, del matrimonio di Sue, mentre il marito Mort tenta una relazione impossibile con una giovane cardiologa. Nessun dubbio sulla natura autobiografica del film, Mort Rifkin (l’attore Wallace Shawn) è identico spiccicato a Woody Allen, è un professore impacciato ed un po’ goffo come nella vita reale lo è il nostro regista. Il film è una lunga seduta psicoanalitica, dove Mort si pone gli interrogativi inquietanti che ogni uomo si trova ad affrontare nel corso della propria esistenza, soprattutto ad una certa età. A questo punto forse sarebbe il caso di citare l’età anagrafica del regista, ma soprassediamo, tanto è di pubblico dominio. Come già detto, il film è farcito di appropriate citazioni cinematografiche. Citazioni che se da un lato ne sostengono la narrazione, dall’altra lo nobilitano e lo storicizzano. Gli interrogativi cui bisogna rispondere, sono alla base di qualsiasi riflessione filosofica e riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono? cosa voglio? Un esempio per tutti è il riferimento alla partita a scacchi, tra il cavaliere e la morte, del Settimo sigillo di Ingmar Bergman. Il surreale incontro con la morte perde, nel nostro caso, qualsiasi carica drammatica, propria degli eventi eccezionali, per diventare una riflessione ironica sui temi “ontologici” dell’esistenza. Dall’empireo filosofico si passa alla spicciola quotidianità, il salto breve e veloce, non ha bisogno di panegirici.  - Come ritardare l’incontro definitivo? - chiede Rafkin alla Morte che risponde con consigli pratici: - Fai sport, non fumare e mangia tanta verdura -. Questo è Woody Allen. Anche in questo è molto italiano, anzi partenopeo. Ricordo un personaggio che negli anni ottanta nella trasmissione di Renzo Arbore “Quelli della notte”, impersonava il ruolo del filosofo, Riccardo Pazzaglia. I suoi interrogativi costituivano le schiette e semplici domande che ognuno si è posto almeno una volta nella vita: chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? Problemi esistenziali affrontati nella sua opera più conosciuta, “Il brodo primordiale” con un umorismo latino, leggero e raffinato.

L’ironia di Woody Allen è più di carattere filosofico e psicologico, investe le convenzioni sociali come le credenze religiose. Le domande che preferisce sono, come si è capito, quelle esistenziali, le sole che a suo dire sono interessanti, le uniche sulle quali val la pena di scervellarsi (inutilmente) tanto resteranno senza risposta, di contro ti lasceranno solo un profondo senso di tristezza come solo l’ironia sa fare!

L’ironia di Woody Allen in Rifkin’s Festival

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