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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

“Noi schiavisti di massa”, considerazioni a margine

Quando ci rechiamo al supermercato per fare la spesa siamo sempre convinti di fare una spesa intelligente. Intelligente è chi capisce velocemente una certa situazione, giudica prontamente, ha chiarezza di idee e di conseguenza sa scegliere con giudizio. Ebbene, se ci soffermassimo a riflettere attentamente ci accorgeremmo che solitamente la nostra non è una spesa intelligente, ma una spesa indirizzata dalla pubblicità, dalle offerte, soprattutto dal risparmio. Eliminati i mercatini ed i negozi  di vicinato ci siamo indirizzati ai supermercati dove i prezzi sono più bassi e le offerte fanno l’occhiolino al nostro portafoglio. Nessuno si chiede come mai siano possibili alcuni prezzi come ad esempio carni bianche a 2,5 euro al chilo. Prezzo che dovrebbe farci venire dei dubbi sul salario e i diritti dei lavoratori coinvolti nella filiera. Parte da questa elementare osservazione il libro inchiesta di Valentina Furlanetto “Noi schiavisti di massa” (Editori Laterza – 2021). Il libro è interessante perché svela una realtà che tutti intuiamo ma nessuno riesce a spiegarsi compiutamente. Sono le storie personali riportate da vari attori coinvolti nel processo produttivo a svelarci tutti i retroscena di come siamo diventati complici, consapevoli o inconsapevoli, dello sfruttamento di massa. Una massa varia, composita, composta dalle etnie più disparate, gente ricattabile che necessita comunque di un lavoro, un lavoro anche sottopagato che li relega spesso in uno stato di schiavitù. La grande distribuzione organizzata attraverso lo strumento delle aste al ribasso, delle aste a rilancio e delle aste al buio, impone ai fornitori prezzi bassissimi, spesso inferiori al costo di produzione. Diventa così giocoforza da parte dei produttori comprimere il salario dei braccianti ed aumentarne lo sfruttamento. Il caporalato tra le forme di reclutamento di forza lavoro, di questo ingranaggio, è solo una piccola parte. Così lo sfruttamento nel mondo del lavoro diventa possibile grazie alla collusione di alcuni colletti bianchi, alla mancanza di controlli capillari da parte dei Sindacati e degli Enti preposti, alla assoluta mancanza di un codice etico nell’erogazione di fondi all’agricoltura. Se questo avviene nell’agricoltura non da meno succede in altri settori, dove vige il contratto a paga globale e la firma in bianco delle dimissioni. A ciò si aggiunge il sistema degli appalti e subappalti che favorisce lo sfruttamento nella cantieristica, come in tanti altri settori, dove il personale in appalto svolge lo stesso lavoro dei dipendenti dell’impresa ma ad un costo minore e con meno diritti (forse sarebbe meglio dire con nessun diritto). In realtà il subappalto finisce per  diventare  intermediazione illegale di manodopera, quindi un appalto illecito. Il subappalto è un sistema che va avanti da anni, formalmente legale nella sostanziale illegalità, che fa comodo a tutti: ai consumatori che spendono meno, alle aziende che comprimono il costo del lavoro, alle cooperative che di fatto cooperative non sono, agli immigrati che possono riuscire a sopravvivere, alla destra che può addossare la responsabilità agli immigrati di rubare il lavoro, alla sinistra per lo storico rapporto con le cooperative, agli Italiani che possono acquistare servizi e beni a basso costo, agli Europei  tutti perché il sistema è conosciuto ed esteso anche in altri paesi comunitari, Germania compresa, che in alcuni settori come la macellazione delle carni è stata presa ad esempio. Poco importa se gli operai per sostenere i ritmi di produzione sono costretti a fare uso di droghe, dalla Yuba che non fa sentire i morsi della fame e la stanchezza, alla Ecstasy thai, fino alla droga di Hitler, così detta perché ne facevano uso i soldati del Terzo Reich durante il secondo conflitto mondiale per reggere la forte pressione fisica e psichica cui erano sottoposti (carnefici e vittime).

In tutto questo bailamme non poteva mancare Piacenza e la sua provincia. D’altronde siamo oramai abituati a vedere la nostra città a titoli cubitali nelle prime pagine dei giornali o declamata ad apertura dei telegiornali. A partire da fatti luttuosi, a manifestazioni sindacali di protesta, da cronache giudiziarie a  condanne  di rappresentanti politici di primo piano. Così ce la ritroviamo, ce ne fosse di bisogno, anche in questo libro della Furlanetto, con riferimento alla logistica presente in città ed in provincia. A Castel San Giovanni vi lavorano 2000 dipendenti con contratto a tempo indeterminato accanto ad altrettante unità “a somministrazione” arruolati per le festività chiamati green badge. La condizione di lavoro in Amazon ci viene testimoniata da Isabella, magazziniera, che ci spiega come ogni movimento viene monitorato ed il lavoratore diventa una rotella dell’ingranaggio come nel film di Chaplin Tempi Moderni. Come non ricordare, a proposito di film, Sorry, we missed you di Ken Loach, dove si parla di logistica e di cooperative di servizi, nel caso particolare di una infermiera a domicilio, ma potrebbe essere anche il caso di persone che prestano assistenza alla persona, badanti o baby-sitter.

Perfino Amnesty International ha denunciato nel 2020 le condizioni di lavoro in azienda, in Italia come in diversi stati europei e nella stessa America. A proposito di cronache giudiziarie e conseguenti condanne che hanno interessato il tessuto politico del Comune di Piacenza, si fa cenno al ruolo svolto dalla criminalità organizzata, in particolare alla ‘ndrangheta del boss Grande Aracri. Come l’inchiesta Aemilia ha riguardato la ‘ndrangheta cutrese nel nord Italia così l’inchiesta Grimilde della magistratura antimafia di Bologna ha riguardato la cosca della ‘ndrangheta attiva proprio nel Piacentino. Il Presidente del Consiglio Comunale di Piacenza, appartenente a Fratelli d’Italia ed eletto dalla maggioranza di centrodestra, faceva parte proprio di questa organizzazione.  Viene riportato tutto ciò perché non secondario è stato il ruolo svolto dalle varie mafie e dalla ‘ndrangheta in particolare nell’agire come “network di servizi” nel traffico dei rifiuti, nell’intermediazione di manodopera e nel bracciantato. Un’ultima considerazione: ci si ubriaca di sfruttamento nei campi delle vigne piemontesi, come nei campi del prosecco veneto. Si fa indigestione di sfruttamento con i prodotti delle terre di Mondragone, fagiolini o fragole che siano, come nel Tavoliere delle Puglie, ci si arricchisce nella cantieristica a Porto Marghera come a Monfalcone con la paga globale dei subappalti che non prevede, malattia, infortuni, ferie, paga sindacale, Tfr. Alla fine di questo viaggio nel mondo del lavoro dell’Italia di oggi, faticoso ed amaro, prendiamo atto che l’Italia divisa per tanti aspetti la troviamo questa volta unita nello sfruttamento.

“Noi schiavisti di massa”, considerazioni a margine

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