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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

“Quel mondo diverso” per cui battersi

Un colloquio tra Fabrizio Barca e Enrico Giovannini

Per quasi dieci anni, a partire dal 2008, abbiamo avuto a Piacenza uno dei festival più importanti, non solo a livello nazionale, ma internazionale, basta scorrere la lista dei partecipanti per rendersene conto da Zygmunt Bauman (noto sociologo) a Shirin Ebadi (premio Nobel per la pace). Il Festival diretto dal compianto professore Stefano Rodotà, era stato ideato da Giuseppe Laterza. Io ho un motivo in più per ricordare l’editore barese per il legame della casa editrice con Leonardo Sciascia. E’ stato infatti lo stesso Giuseppe Laterza ha promuovere, qualche anno fa, la pubblicazione delle lettere di suo padre Vito con Leonardo. Lettere che hanno dato vita alla invenzione di Quel mondo diverso-2Regalpetra ed alla pubblicazione delle Parrocchie, prima autorevole opera dello scrittore di cui ricorre il centenario della nascita.

Lo stesso Giuseppe Laterza è stato l’ispiratore di una pubblicazione, che mi è capitata tra le mani in queste giornate, segnate dalla reclusione pandemica, titolata “Quel mondo diverso” (Editori Laterza-2020) una conversazione di due autorevoli personaggi noti, per i loro interventi in politica ed in economia, Fabrizio Barca già dirigente della Banca d’Italia e del Ministero Economia e Finanze, Enrico Giovannini già Ministro del Lavoro e delle politiche sociali.

Il titolo accattivante del libro mi è sembrato, di primo acchito, uno specchietto per le allodole, leggendolo mi sono persuaso della sua validità propositiva. Vengo e mi spiego. Premesso che il sistema capitalista ha avuto il sopravvento nell’economia mondiale, risulta consequenziale la mercificazione di qualunque aspetto della vita umana. Si parte da un assioma: L’ineluttabilità del sistema capitalista nel mondo contemporaneo e la sua indiscussa capacità di permettere ad ogni individuo di realizzare le proprie aspirazioni se usato come un utile strumento da una democrazia perfettamente compiuta. Inizia con questa presa d’atto l’esame della situazione politica attuale e la considerazione che il rapporto tra capitalismo e democrazia può squilibrarsi, anzi sia già squilibrato. A favore del capitalismo, ça va sans dire. La premessa sta a monte: la scelta del Pil come metro di misura della crescita economica. Per accelerare la crescita del Pil ogni Stato si è posto il tema delle riforme strutturali, riforme strutturali che pur di permettere una forte crescita economica non avrebbero tenuto conto né dell’ambiente, né delle diseguaglianze sociali che alla fine avrebbero favorito, con annessa povertà diffusa e spinte populiste. La crisi dei partiti, frutto della rinuncia ad essere laboratorio di idee ed all’incapacità di comprendere la complessità dei cambiamenti, ha favorito la cessione del potere decisionale ai tecnocrati. In piena crisi pandemica si è disabilitato anche il Parlamento, massimo organo dove si realizza l’espressione più compiuta dei partiti. I partiti di sinistra hanno fatto intravedere una terza via, terza via che si è dimostrata inesistente, perché si è rivelata essere una rielaborazione neoliberista.  Ed è per ciò che gli elettori alla fine si sono vendicati di chi avrebbe dovuto rappresentare i loro interessi ma non ne è stato capace, coscienti di votare candidati che comunque non avrebbero migliorato la loro vita. Così il contadino della fattoria ha votato Trump come l’operaio italiano ha votato per partiti che si dichiaravano né di destra né di sinistra o della destra populista. Un grande impulso a riformare il capitalismo nostrano dovrebbe venire da indicazioni governative tendenti a rimodellare gli investimenti verso le energie rinnovabili o favorire il passaggio ad una economia circolare. L’opera riformatrice dovrebbe indirizzarsi alla riduzione dell’orario di lavoro, a favorire la trasformazione digitale così come in campo sanitario favorire il passaggio da un sistema centrato sugli ospedali a uno di cura domiciliare e di prossimità. Importanza primaria rivestirebbe favorire la richiesta di prodotti di prossimità (pensiamo ai piccoli comuni, come alle frazioni), preferire un turismo nelle aree poco popolate, migliorare le condizioni abitative in un Paese dove a zone di sovraffollamento elevati (città strapiene) si contrappone un vasto patrimonio abitativo non utilizzato (campagne deindustrializzate e regioni collinari). Un capitolo a parte dovrebbe riguardare l’investimento scolastico, istruzione e ricerca. Citiamo l’effetto boomerang della Buona scuola di Renzi che mentre prima chiese una larga ed approfondita discussione al Paese ed al personale scolastico, poi si dimenticò di tenerne conto. Fu l’inizio del suo tramonto, perché non si può chiedere ai soggetti interessati di partecipare ad un processo di riforma per poi escluderli nelle determinazioni. Una proposta pienamente condivisibile che viene evidenziata nella conversazione trai due autori è la valorizzazione del capitalismo italiano costituito dalle grandi imprese pubbliche, Ferrovie, Saipem, Enel che lungi dall’essere privatizzate e spezzettate come si è cercato di fare finora, dovrebbero costituire il motore di una nuova prospettiva di sviluppo sostenibile. Infatti la trasformazione del capitalismo può avvenire tenendo conto oltre all’indispensabile capitale economico, anche del capitale umano, sociale ed ambientale. Se nell’Ottocento un paese era importante se esteso era il suo territorio e nel Novecento la sua grandezza dipendeva dalla capacità di produrre e consumare, nel nostro secolo un paese sarà grande quanto migliore sarà la qualità della vita dei suoi cittadini. Mi sembra di rilevanza storica sottolineare, come avviene nella parte finale del libro, la differenza tra destra e sinistra, distinzione ancora valida perché si basano su linguaggi morali contrapposti. La destra fa prevalere il principio d’autorità, le esigenze del mercato, l’individualismo e le radici etniche (tradizionali e religiose), la sinistra privilegia lo sviluppo della persona e l’interesse della collettività attraverso un mercato regolato dall’intervento dello Stato, principi ben declinati nell’art.3 della nostra Costituzione. Per superare lo stallo sociale e l’impasse dei partiti è necessario far nascere e sviluppare un confronto di idee: “L’obiettivo sarebbe quello di creare un’arena pubblica e virtuale dove il tema non sia la semplificazione del pensiero, l’attacco gratuito, ma il confronto come evoluzione del pensiero, della ragionevolezza”. Produrre conoscenza, mettere in gioco le proprie idee, l’opposto delle attuali piattaforme social dominati dall’obiettivo di massimizzare il numero di like e ottenere più pubblicità. Contro questo tipo di pensiero che crea opinioni intransigenti, chiuse al confronto, occorre un impegno di tutti per una forte battaglia contro la povertà educativa.

“Quel mondo diverso” per cui battersi

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