rotate-mobile
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Riflessioni a margine del film “Grazie ragazzi”

Era il 1972, era il periodo dei cantautori, della scoperta della poesia e della canzone, perché i cantautori questo fanno: cantano poesie! Era il 1972 quando ascoltai per la prima volta un cantautore di nome Claudio Lolli. Cantautore in Bologna che avrei incontrato personalmente a Palermo, non so dire se lo stesso anno o qualche anno dopo. Comunque erano gli anni settanta quando ho ascoltato “Aspettando Godot” cantata da Claudio Lolli, canzone che mi diede il giusto stimolo alla lettura di Beckett, autore appunto dell’omonima opera teatrale.

Da giovani ci si rivolge, consapevolmente o istintivamente, alle opere di genere esistenziali, opere che si crede debbano  aprire le porte dei grandi misteri della vita. Un’opera teatrale poi è indicativa della rappresentazione della vita: funzione e finzione scenica della vita. Bene, Lolli aveva proposto con una canzone, un’opera teatrale. Un’opera che rappresentava l’attesa, l’assurda attesa di qualcosa, di qualcuno, che avrebbe dovuto dare un senso alla vita stessa. Vasco Rossi, anni dopo (2004) avrebbe cantato: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha”: augurandosi che un senso arriverà forse domani. Lolli con maggiore profondità aveva cantato l’attesa di una vita intera,Vasco l’attesa di un incontro, forse di un amore. Queste canzoni rappresentano l’attesa che era stata bene espressa in un’opera come Aspettando Godot.

La rappresentazione di quest’opera in un carcere costituisce il tema centrale di un film come “Grazie ragazzi”. Un film diretto da Riccardo Milani che vede Albanese nei panni di un istrionico regista. Finalmente una commedia che non ha niente a che vedere con i cinepanettoni cui ci hanno abituati certo registi nei periodi natalizi, a dimostrazione che si possono fare commedie ad alto contenuto culturale. Questa è una commedia che fa riflettere sulla condizione del carcerato: una persona che vede trascorrere i giorni in un continuo stato di attesa. Un’opera quindi che cade a fagiolo, che mostra l’assurdità dell’attesa, l’assurdità di un'attesa data dalla limitazione della libertà. Limitazione  cui nessuno dovrebbe essere sottoposto perché se è assurda la vita, di difficile significato, ancor di più lo è la vita da carcerato. Tutto questo ci dice la vicenda cinematografica, dove un “regista”, un attore fallito (costretto per sopravvivere a doppiare scene erotiche), riesce a dare un senso ai giorni passati in carcere a dei detenuti nei momenti delle prove.

E poi giungono i giorni dello spettacolo, perché nonostante la burocrazia e la ferrea legge della sorveglianza lo spettacolo si farà. Dicono sia un remake, di un altro film, a sua volta tratto da un documentario, a sua volta ispirato ad un’esperienza reale. Comunque sia è un film che ha un’anima, una commedia che non farà ridere, ma riflettere. Ed è un merito in più: una commedia che rappresenta condizioni di vita tragiche ma non disperati. C’è una soluzione nel finale della rappresentazione, che da sola vale la pena per andare a vedere il film, quando un detenuto, il rumeno del gruppo, attraversa la scena: sarà forse lui l’atteso Godot? Non lo crediamo affatto (Beckett non l’avrebbe concesso) ma è un improvvisato,  un vero “coup de theatre”, come se l’opera dovesse essere riscritta, e guarda, guarda proprio da quei detenuti che vivono il tempo ed il luogo dell’attesa e dell'assurdo proprio come il teatro beckettiano prescrive!

Albanese siamo abituati a vederlo nei panni del comico, della satira politica e di costume.  Cetto La Qualunque è quel personaggio politico che ci ha stupito per le sue caratteristiche (ignoranza, arroganza, inosservanza delle leggi, ecc.. ecc..), si pensava un semplice frutto della fantasia dell'autore, fuori da qualsiasi contesto reale fintanto che personaggi della politica, per scelte e comportamenti quotidiani,  non hanno soppiantato (superandolo)  l'assurdità del personaggio inventato.

Antonio Cerami (Albanese) rimane un personaggio serio, dalla vita precaria economicamente, una vita scivolata dai sogni giovanili (era stato un buon attore) ad essere diventato un personaggio quasi comico (doppiare film porno) e per questo anche tragico, come quando è costretto a mimare il doppiaggio. La realizzazione di un'opera teatrale, proprio di quell'opera “Aspettando Godot”, rappresenta il riscatto professionale di Antonio ed il riscatto umano e sociale dei detenuti che sono riusciti a  mettere in scena l'opera e ad avere un successo che travalica le mura carcerarie e raggiunge i palcoscenici di mezza Italia . I cinque personaggi (attori-detenuti) hanno rappresentato l'attesa che vivevano quotidianamente sulla propria pelle e l'assurdità di un sistema carcerario ben lontano dal vedere realizzato quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

A proposito e per   finire,  mi piacerebbe ricordare alcuni versi della canzone  di Claudio Lolli: "Questa sera sono un vecchio di settant'anni/ non voglio più aspettare Godot.... Ed ho capito che non si può/ coprirsi le spalle aspettando Godot". Peccato averlo capito tardi: "Ho incominciato a vivere forte/ Proprio andando incontro alla morte". Speriamo quindi che le cose cambino prima che sia troppo tardi. Questo film, comico quanto si vuole, è un contributo allo  smantellamento dell'idea del carcere come istituzione repressiva, come regime di controllo e disciplina, che mira esclusivamente alla punizione. Il film, classificato come commedia, è di una serietà assoluta, perchè dà il senso tangibile di come la cultura in generale (il teatro in questo caso particolare) può contribuire a realizzare i dettami costituzionali, contribuire cioè al miglioramento del sistema carcerario, quale sistema che possa rieducare e rinserire il detenuto in una socità dell'accoglienza.

Riflessioni a margine del film “Grazie ragazzi”

IlPiacenza è in caricamento