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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Un pretesto letterario per parlare della “ragione” del cibo

Ovidio scriveva “Ego nec sine te nec tecum vivere possum”, (Amores III, xi, 39); lo si dice ancora riferendosi a travagliati rapporti interpersonali, rapporti di coppia in particolare. Se questo modo di considerare i rapporti umani lo si dovesse trasferire ad un luogo geografico, si potrebbe così declinare: non ho pace in nessun luogo!  E’ la rappresentazione psicologica dell’amore-odio che ciascuno di noi ha spesso con la propria città, di nascita o di dimora. Per esperienza personale mi sento di essere nella condizione opposta e di rovesciare quest’affermazione, perché posso dire francamente di trovarmi bene ovunque. Al Nord come al Sud, a Piacenza, mia residenza, a Racalmuto, mia dimora estiva. Partecipare alla vita politica e culturale della città dove ci si trova è un dovere civico, per me un imperativo categorico. Per cui ho partecipato (a distanza) con commozione alla premiazione di Bellocchio (palma d’oro alla carriera al Festival del cinema di Cannes) mentre partecipo, da spettatore, ad altre ricorrenze nel luogo dove mi trovo (in presenza). Il paese di Racalmuto si trova immerso quest’estate in un turbinio culturale con pubblicazioni e presentazioni di libri, causa il centenario della nascita dello scrittore Leonardo Sciascia. Il paese di Racalmuto è diventato il paese di Sciascia così come Recanati lo è di Leopardi. Dicevo, tanti libri, tanti incontri. Una parte consistente degli abitanti di questo paese si sono sentiti in dovere di dire la loro, ma essendo le parole evanescenti non resistono alla tentazione di metterle per iscritto. Come se scriverne possa dare accesso all’empireo delle lettere e contestualmente aumentare la gloria letteraria di Sciascia. Come dire: l’utile ed il dilettevole.

Questa kermesse letteraria viene così a somigliare sempre più ad una grande abbuffata, e come in tutte le sovrabbondanze culinari troviamo cibi più o meno appetibili così in questa manifestazione bulimica d’affetto troviamo scritti più o meno buoni. Il parlare di cibo ci conduce, causa forza maggiore, in contrada Noce (residenza estiva dello scrittore), a sbirciare  la porta socchiusa della cucina della famiglia Sciascia. A guidarci, in questa incerta estate (per il clima e per l’epidemia), sulle abitudini culinarie di Sciascia è un agronomo, Lillo Alaimo Di Loro, cultore di colture, ma non solo, con il volume “La ragione del cibo” (2021- editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta). Il libro nasce da una conversazione con il nipote dello scrittore Vito Catalano figlio di Anna Maria  che confida le tante ricette  sui cibi di casa Sciascia. L’importanza dell’opera, al di là delle abitudini dello scrittore e della sua  famiglia, risiede nel fatto di far capire il forte legame che è sempre esistito ed ancora persiste in Sicilia, come  in ogni altra regione, nel nutrirsi con i prodotti spontanei del territorio. Nelle campagne piacentine si è soliti andar per sprelle, la radicchiella selvatica, erba simile al tarassaco, che sa, nonostante il gusto amarognolo, di primavera. Così come nelle campagne racalmutesi si andava a raccogliere mazzareddi (una varietà di senape selvatica) erba che cresce spontanea anche nelle campagne piacentine, personalmente ne ho vista sull’argine del Po. Già scrissi nel mio libro “Note 2013” di quando incontrai, con l’amico Marchese,  il fattore di casa Sciascia, il signor Patito Nicolò, lu zi Nicu. Il quale ci raccontò del piacere che aveva Sciascia di raccogliere “spinaciulu” (specie di spinacio selvatico). L’Alaimo Di Loro si spinge oltre, e dopo avere elencato le preferenze dello scrittore, ci dà precise nozioni su ogni singola pianta: esatta denominazione botanica, proprietà medicinali, storia (luogo d’origine e diffusione). Si narra in quest’epica vegana, dello spinacciolo come della borragine, così come da piacentini si sarebbe detto dell’ortica e dei funghi e dell’uso culinario che se ne sarebbe fatto. Piaceva a Leonardo La “unghiatedda”, specie di focaccia gonfia, a ben vedere  altro non è che il piacentino gnocco fritto a forno (una contraddizione in termine, tra fritto ed a forno, che rispecchia la filosofia sciasciana del si contraddisse contraddicendo), la differenza delle due focacce sta solo nel condimento: a base di olio, pecorino e acciuga la specialità siciliana, a base di salumi ed affettati la piacentina, differenza non da poco ma fondamentale a sottolineare il legame che intercorre tra il consumo di cibo e i prodotti tipici del territorio.

L’elenco sarebbe lungo, ma mentre il nostro Lillo “contadino” (gli piace proclamarsi tale) ci parla del rapporto tra lo scrittore Leonardo Sciascia ed il cibo, sottende altro, Intende sottolineare ciò che troviamo nella postfazione. Parlare di cibo è narrare la storia di un popolo, parlare di dieta mediterranea è contrapporsi ideologicamente ad un modello consumista. L’obesità, nuovo indice della povertà sociale è Il prodotto finale del cibo diventato merce di scambio, fonte di profitto dell’industria alimentare e della grande distribuzione. È bene allora riportare la frase di Cos, medico dell’antichità ellenica: “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina il tuo cibo”. Per arrivare al più noto filosofo Feuerbach che nel 1872 proclamò un principio, come ebbe a dire, di grande importanza etica e politica: “L’uomo è ciò che mangia”. È vero comunque che “Palermo specchio di una Sicilia irredimibile”, terra di profonde contraddizioni, dove si alternano oasi di perfetta bellezza a paesi senz’acqua ed igiene pubblica, con strade fatiscenti, trasporti inadeguati e prezzi fuor di logica (39 euro per 3 chilometri di traversata). Una terra dove si parte e si ritorna: per odio, per amore.

Un pretesto letterario per parlare della “ragione” del cibo

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