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Giovedì, 18 Aprile 2024
Libri piacentini

Libri piacentini

A cura di Renato Passerini

"Comunicare la violenza di genere"

La nostra sezione Cultura, curata dal giornalista Renato Passerini, dedica questo spazio alla segnalazione e recensione di libri piacentini. Ne entrano a far parte le opere che trattano argomenti riguardanti la nostra provincia: geografici, storici, ambientali, economici, urbanistici, folcloristici, ecc.; a queste si aggiungono i libri e le recensioni di autori piacentini, per nascita o per adozione, e i cataloghi delle esposizioni allestite sul territorio provinciale. Saggi e recensioni di amici del nostro blog

Lo scorso anno 111 donne vittime tradite dai carnefici e spesso anche dalle narrazioni e dai media.

Da Francesca Confalonieri una approfondita e attualissima tesi di laurea sul femminicidio.

ms è una. In particolare si tratta di una serie di tecnologie per le aziende e i liberi professionisti, con le quali è possibile semplificare l’organizzazione e il coordinamento del lavoro a distanza.

COMUNICARE LA VIOLENZA DI GENERE. Dall’analisi della narrazione del fenomeno del femminicidio alle strategie per una corretta comunicazione sul tema. Questo l‘argomento di rilevante attualità discusso nella tesi di laurea di Francesca Confalonieri, al Corso di Laurea Triennale in Comunicazione e media contemporanei per le industrie creative, Relatore Ch.mo Prof. Marco Deriu, Università di Parma.

La discussione e la proclamazione si sono svolte a distanza con tecnologia Teams, piattaforma multimediale telematica che permette di gestire il telelavoro e le equipe di smart working.

A Francesca, neo dottoressa dal giorno 16 dicembre scorso, abbiamo chiesto come ha pensato a questo tragico e particolare argomento che ha occupato spesso le prime pagine dei media tradizionali, gli on line e i social...

La mia tesi “Comunicare la violenza di genere” nasce dall’urgenza di denunciare un importante problema culturale ovvero le continue violenze perpetrate nei confronti delle donne e la loro mal rappresentazione mediatica in particolare, giornalisticamente parlando.

Ha influito sulla sua decisione qualche caso specifico?

Il motore di questa ricerca è stata una riflessione nata in seguito purtroppo allo spiacevole Femminicidio avvenuto qui a Piacenza nell’agosto del 2019 di Elisa Pomarelli, uccisa una seconda volta dalle pratiche errate di cronaca della stampa italiana (dove il suo carnefice veniva chiamato “Il gigante buono”). In gergo questa modalità di racconto si denomina narrazione tossica”, questo accade quando una storia viene sempre raccontata da un unico punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità. Questo è quello che accade quotidianamente quando si narrano episodi di violenza - dallo stupro al femminicidio. Forse, superficialmente parlando, è difficile rendersi conto di quanto le parole abbiano un peso specifico nella formazione delle nostre idee, dell’opinione pubblica e di conseguenza, della stessa nostra società. Le parole sono materializzazioni, azioni vere e proprie. E se Carlo Levi sosteneva che le parole sono pietre, in questi casi vengono usate per lapidare. La narrazione mediatica della violenza modella la percezione collettiva, spesso, si infiltra anche con i meccanismi giudiziari, si basti pensare il recente uxoricida assolto perché mosso da un “delirio di gelosia”.

Che convinzione si è fatta del modo con cui giornali e telegiornali hanno cavalcato le notizie di Femminicidio

La stampa italiana vince purtroppo un triste primato, perché quasi la maggior parte degli articoli che ho consultato riguardo casi simili, non sono stati in grado di raccontare gli eventi in modo rispettoso e linguisticamente parlando correttamente. Ho avuto l’impressione che ci sia poca preparazione in tema - o forse - solo l’ambizione di stampare qualche copia in più raccontando episodi di cronaca nera lasciando da parte l’etica e le buone pratiche di giornalismo. E’ vero, i lettori sono attratti dalle notizie d’impatto, ma qual è il prezzo da pagare? Parlare di raptus alimenta una cultura dove i femminicidi sembrano essere casi isolati, tragedie frutto solamente di piccole gelosie andate oltre. La storia dei Femminicidi e degli stupri di questo paese è pieni di frasi come “se le cercata” che velocemente si insidiano nel parlato quotidiano. Il giornalista è responsabile verso l’opinione pubblica, che ha il diritto di essere informata - ma questa che informazione è? Fatta di titoli di dubbio gusto, termini sbagliati, luoghi comuni, stereotipi, tutto questo fortifica la società patriarcale in cui viviamo. Questo linguaggio non aiuta, questo linguaggio giustifica ed empatizza con il violento anziché tutelare la vittima.           

                       

- A suo modo di vedere quali accorgimenti dovrebbero essere più presenti nella deontologia dei giornalisti

Io credo che sia fondamentale che la violenza non venga più strumentalizzata, ma raccontata attraverso i giusti strumenti: formazione e responsabilità. Occorre promuovere un uso consapevole del linguaggio che sia rispettoso nei confronti delle donne e che restituisca correttamente la violenza di genere, soprattutto da parte dei professionisti del settore. Utilizzare frames dell’amore romantico, del raptus o della gelosia non fa altro che alimentare una cultura sessista. La violenza il più delle volte viene romanticizzata e eventi di altissima gravità vengono raccontati come in una fiction, qui si parla della realtà e dovrebbe essere inammissibile scrivere secondo la logica della notiziabilità. Altro evergreen è dipingere le donne vittime di violenza come donne di serie B, passive, predestinate, isolate - che in fondo - quella violenza se la sono cercata loro. Niente di più nocivo. Chi subisce una violenza non è mai responsabile e gli uomini che agiscono non sono feriti, pazzi o depressi, la patologizzazione dell’uomo violento è un tentativo di deresponsabilizzazione. Tutto questo non deve esistere - dentro e fuori i giornali.

- Ha dedicato la sua tesi è dedicata ad Elisa Pomarelli, ma da questo caso di cronaca nera nella sua tesi ci sono solo spunti per evidenziare quanto l’informazione sia stata sostanzialmente indelicata per non dire approssimativa e scorretta...

L’inizio di questa tesi portava una grande domanda con sé, mi chiedevo se fosse possibile cambiare l’opinione di un paese raccontando le cose diversamente  Ma nonostante la legge della conservazione della massa non c’entri nulla con una ricerca simile, è importante riconoscere che tutto si trasforma. Ed è questa la speranza più profonda di questa ricerca, il desiderio che in qualche modo si possa Francesca Confalonieri-2produrre un cambiamento portando la giusta attenzione sul fenomeno della “narrazione tossica” in caso di violenza di genere. È solamente attraverso un uso più consapevole del linguaggio e una modalità̀ di rappresentazione più responsabile che tutto questo può realmente avvenire. Dare un nome alle cose significa farle esistere, di conseguenza parlarne nel modo giusto significa far pensare nel modo corretto la popolazione. La grande maggioranza delle persone plasma la propria opinione pubblica su quel che crede essere la maggioranza, che il più delle volte viene confusa con quel che dice il giornale o trasmette la televisione. Ma se sono proprie queste fonti a parlarci in modo sbagliato come facciamo a distinguere quel che è giusto e quello che non lo è? Abbiamo passato in rassegna le principali proposte per l’uso di un linguaggio non più androcentrico, riflettendo sulle modalità̀ possibili per attuare un cambiamento, su quali siano le modalità̀ più idonee per parlare di femminicidio e sulle possibilità di adottare dei suggerimenti rispettosi delle differenze di genere. Non sarà̀ una breve raccolta di consigli a rivoluzionare il mondo della comunicazione né vi è la pretesa di riuscire rendere la società meno patriarcale tramite poche pagine scritte. Non si tratta assolutamente di un’azione facile da mettere in campo essendo i cambiamenti veri e propri stravolgimenti che coinvolgono diversi settori della società̀ e convinzioni che hanno da sempre costituito la nostra cultura. Ma nonostante possa sembrare che la situazione sia apparentemente ferma questi cambiamenti ci sono. Questo lo si è potuto notare da quanti si sono posti in una posizione critica rispetto alla trattazione giornalistica del caso di Elisa Pomarelli, denotando come ci sia una nuova attenzione e consapevolezza nei confronti di queste tematiche che solamente un paio d’anni fa non ci sarebbe stata. Tutte queste piccole azioni sono fondamentali e utili a stimolare il Francesca Confalonieri-2dibattito, non solo tra le cariche istituzionali ma anche tra i parlanti cittadini che sono il vero motore di ogni cambiamento linguistico e culturale. Alcuni risultati sono già visibili e danno speranza. Come abbiamo visto, i vari interventi delle associazioni femministe, i convegni di formazione sul tema, i tanti dibattiti sulla violenza di genere, la forte attenzione sui social riguardo argomenti come il maschilismo, il sessismo, la parità̀ tra uomo e donna oltre che le innumerevoli prese di posizioni ufficiali ma anche il diffondersi dell’uso di termini più appropriati per riferirsi alle donne e alle vittime di violenza maschile che ha portato lentamente a una rivalutazione del ruolo della donna nella società̀. Solamente così, attraverso una costante sensibilizzazione si potrà̀ raggiungere progressivamente un cambiamento. Perché un giorno, non troppo lontano, non si leggerà più l’espressione “troppo amore” per parlare e raccontare un femminicidio.

La mia tesi è dedicata ad Elisa e alla sua famiglia con la speranza che la giustizia possa fare il suo corso, ma il mio pensiero è rivolto a tutte le donne vittime di femminicidio e di violenza di genere, che ad oggi nel nostro paese solo nell’anno 2019 sono state 111.

                                              

                                  

"Comunicare la violenza di genere"

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