I campanili della Valluretta e quelli di Solgenitsin in Russia
La nostra sezione Cultura, curata dal giornalista Renato Passerini, dedica questo spazio alla segnalazione e recensione di libri piacentini. Ne entrano a far parte le opere che trattano argomenti riguardanti la nostra provincia: geografici, storici, ambientali, economici, urbanistici, folcloristici, ecc.; a queste si aggiungono i libri e le recensioni di autori piacentini, per nascita o per adozione, e i cataloghi delle esposizioni allestite sul territorio provinciale. Saggi e recensioni di amici del nostro blog
I campanili della Valluretta e quelli di Solgenitsin in Russia, Riflessioni di Giovanni Mariscotti in cammino sulla “Strada maestra” di Umberto Fava
“Le chiese di Nostro Signore… In certe parti della terra, si incendiano e si distruggono. Qua si vendono”. Devono essere state queste parole, lette fra le righe di “Una strada maestra – Viaggio sentimentale in Valluretta”, fresco libro di Umberto Fava, a muovere la memoria e il sentimento di Nanni Mariscotti e a indurlo a cercare in altri libri analogie, accostamenti, corrispondenze, e a trovarne. Ma lontano dalle campagne vallurettesi, lontano...
Mariscotti fissa il suo sguardo sui campanili della Valluretta così come spuntano dalle pagine di Fava:
“… Si vendono… E a me piange il cuore. Peccato, perché un tempo bastava un cristiano con la sua fede per riempire una chiesa. E peccato anche perché ogni campana che non batte più è come un cuore che si ferma e muore, è qualcosa che mi rubano da dentro l’anima. Devo dirlo io che quella è una musica divina della medesima sostanza della Nona Sinfonia di Beethoven? Certi rintocchi a udirli su una strada di questi colli, anche un cieco capirebbe che è d’autunno e cade la sera e suona l’Ave Maria”.
E questa ricognizione gli suggerisce qualcosa, tanto che dice a Fava: “Mi piace accostare i tuoi campanili di Valluretta con questi di Solgenitsin”. Con altre storie e altri destini. E’ il Solgenitsin di “Racconti minimi”, dove si possono leggere, segnala Mariscotti, parole stupende come queste: “Percorrendo le strade di campagna della Russia, cominci a capire dov’è la chiave del pacificante paesaggio russo. E’ nelle chiese. In queste pietre, in questi campanili i nostri avi hanno messo il meglio di se stessi, tutta la loro concezione della vita”.
Nella sua perlustrazione nella Russia sovietica, sulle tracce del libro e delle chiese di Solgenitsin, Mariscotti annota ancora citando il premio Nobel: “Ma quando penetri nel borgo ti accorgi che ti salutavano da lontano non dei vivi, ma degli uccisi. Le croci sono da tempo abbattute o ritorte; la cupola lacerata si spalanca in una carcassa di costole arrugginite; l’erbaccia cresce sui tetti e nelle crepe dei muri”.
Giovanni Mariscotti, già assessore alla pubblica istruzione del Comune di Piacenza al tempo del sindaco Gianguido Guidotti e presidente di Idea d’Europa, aveva già scritto per Umberto Fava la prefazione al suo libro “La Dodicesima Notte – Mezza dozzina di novellette di Natale da Santa Lucia all’Epifania”, edito nel 2014 dal Centro culturale Manfredini. Una prefazione di grande finezza dal titolo: “La fantasia è una veste estetica di una realtà nascosta”.
Le scene che Solgenitsin descrive e Mariscotti riporta sono impressionanti: “Solo di rado sopravvive il cimitero intorno alla chiesa, con le tombe rovesciate. Le pitture dell’abside sono stinte dalle piogge di decenni e coperte di scritte oscene. Nell’atrio manovra un trattore tra botti di bitume. Oppure un camion affonda col cassone nella navata per caricare sacchi. In quest’altra chiesa vibrano i torni. Questa è semplicemente chiusa a chiave e silenziosa. In un’altra e in un’altra ancora hanno sistemato i club locali”.
Le chiese di Fava non sono così, ma in alcune sue pagine si aprono visioni che stringono il cuore. Come quando nel suo viaggio in Valluretta giunge a Pomaro, ex capitale del territorio che col suo nome ha dato il simbolo che fa bello il gonfalone di Piozzano: Pomaro un tempo sede del municipio ed anche sede con la sua pieve di un ampio vicariato che comprendeva ben 15 parrocchie.
“La cura amorevole, direi religiosa con cui è tenuto il camposanto – scrive l’autore – rende, per contrasto, ancor più impressionante la desolante visione delle vicine chiesa e canonica dominate dal campanile su cui la croce sembra sul punto di precipitare. Triste simbolo di tutto il morente complesso – che si presenta chiuso, sinistrato, sbarrato, sprangato, come se dentro invece di Gesù Cristo ci fosse la peste. Una specie di rudere scampato a un bombardamento. Ma che fu un tempo eretto per onorare San Vitale, e fu il nido ridente di mons. Gregori”.
Ma Umberto Fava nel suo libro – che non è una guida turistica o peggio gastronomica, ma un viaggio col gusto della scoperta e della prima volta – ha soprattutto sguardi affettuosi, sereni e rasserenanti. Come quando il suo sguardo si posa su San Gabriele.
“Ci sono due cose che mi emozionano più d’ogni altra cosa per questi dorsi di colline, e sono il camposanto di Pomaro per le sue antiche memorie e la chiesetta romanica di San Gabriele per la sua storia e la sua arte. Pomaro biancheggia a mezzacosta sulla schiena della collina. Nella piega della valle, accanto a dove scorre il Luretta, è adagiato San Gabriele. E si guardano attraverso la campagna. Si guardano dall’alto in basso o dal basso in alto se non i campanili interi, almeno le punte, quella cadente e mortificata di Pomaro, quella giovanilmente svettante, nonostante la veneranda età, di San Gabriele”.
Sì, i cuori di Fava e di Solgenitsin battono come campane tocchi di festa, hanno morbidezze idilliache quando sui loro orizzonti - che sia la valle del Luretta o la steppa russa – vedono spuntare solo il bello e il buono dei loro campanili.
“Rincorrendosi per le colline – scrive Solgenitsin sempre citato da Mariscotti - spuntando sui poggi, dominando i fiumi ampi come sovrane bianche e rosse, levandosi sulla trita e aspra realtà quotidiana coi loro campanili saldi e snelli, così diversi, le chiese da lontano si salutano a vicenda, da borghi sperduti, invisibili l’uno all’altro, si tendono verso un unico cielo. E per campi e prati, dovunque vaghi, lontano da ogni abitato, non sei mai solo: sovrastando la massa compatta della foresta, i mucchi di fieno accatastati e la stessa curva terrestre, la cuffia di un campaniletto ti fa cenno...”.
Infine conclude il grande scrittore russo: “Gli uomini sono sempre stati venali e spesso malvagi. Ma quando si spandevano i rintocchi della sera, diffondendosi sul villaggio, sui campi, sul bosco, ricordavano che bisognava lasciare le meschine cure della terra, dare tempo e mente all’eterno. Questi rintocchi, che soltanto una vecchia canzone oggi ci tramanda, impedivano agli uomini di abbandonarsi sulle quattro zampe”.
E Fava con negli occhi le punte dei campanili di San Nazzaro e di Groppo, “e mi piace guardarli, immobili uno a destra e l’altro a sinistra, sicuri e rassicuranti come la Rocca di Gibilterra, dalla parte dove per poco brilla la dileguante luce della sera prima che impallidiscano i colori del crepuscolo virgiliano”. Negli occhi e nelle orecchie, dindonanti a gran voce, vogliosi di farsi sentire anche dai loro santi in Paradiso.
Fava t’invita anche a sostare a San Gabriele aprendoti la porta dell’antico tempietto di San Giovanni Battista: “...tutto dipinto e colorato che a entrarci sembra di entrare in un Paradiso, qui dove fra i suoi forti muri che proteggono il tesoro di secoli di storia, qui fra gli angeli dorati che volano sulle volte è una cassaforte del tempo, un tempo lungo e breve, ma sempre donato, che si conserva ancora intatto insieme a ricordi di stagioni lontane e di sincere devozioni, echi di preghiere e canti, di messe e vespri, profumi di fiori e di incenso che forse per i fedeli era il profumo stesso di Dio”.
E con un sorriso che è anche un commiato: “Si usa festeggiare con fiori e candeline centenari e centenarie. E i millenari e le millenarie niente? Va bene che alle signore non bisogna mai chiedere l’età, qui però c’è da fare una eccezione alla regola, qui c’è una millenaria, la più anziana della valle, una signora di tutto riguardo, da festeggiare, ma per festeggiare la quale non si possono accendere candeline, perché non esistono torte che possano contenere mille candeline, ci vorrebbe una tortona grande come il campo di calcio di Piozzano. Avete capito chi è. E’ la pieve di San Gabriele, la bella celebre millenaria. Ad ammirarla un anno venne anche un ministro, Lorenzo Ornaghi, con altre autorità. Nella sua lunga esistenza, la chiesetta ne aveva viste, ma non aveva mai visto un ministro, e per di più un ministro per i beni culturali. Quando lo vide, si udì – così almeno si dice – il vecchio San Giovanni Battista mormorare: “Troppa grazia Sant’Antonio”. Ma lo mormorò con quell’importanza che si addiceva all’evento. Faccende di santi”.