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Un po' di me: sono Elena Asti, psicologa piacentina, lavoro principalmente nel campo dell'età evolutiva con bambini e ragazzi, nella nostra città ma non solo. Questo sarà uno spazio dove poter esplorare insieme quella parte di noi un po' misteriosa ed inconscia: la mente. Quel mare profondo dalle innumerevoli sfumature, che è difficile conoscere appieno ma che ci guida nella nostra vita quotidiana, nelle scelte, nelle emozioni, nel nostro essere. I meccanismi della mente, non solo quando essi portano ad un disagio ma anche gli effetti positivi di un sano equilibrio mente corpo

Luci e ombre della psiche

Il morbo di Alzheimer, il caregiver la seconda vittima della malattia

E’ ormai risaputo che la demenza è una malattia che colpisce il cervello del malato ed il cuore di chi lo assiste. Porremo l’attenzione sulla comprensione della malattia partendo dai sentimenti, dalla storia e dalle difficoltà che ogni caregiver riscontra nell’esperienza quotidiana con la demenza. Osserveremo la malattia dagli occhi di chi ogni giorno incontra questa dura realtà

Tumore ai lobi frontali o Morbo di Alzheimer” così mi disse il medico di famiglia quando gli raccontai i problemi di Luigi. Ero lì di fronte a lui , nell’ambulatorio, convinta di sentirmi dire che erano solo problemi legati all’età, all’andropausa, perché Luigi aveva solo 50 anni. Piccole difficoltà a vestirsi, qualche problema di orientamento e di memoria mi avevano preoccupata, ma no, non poteva essere una cosa così grave!

“Ma cosa dice dottore! Lei lo conosce e sa meglio di me che non è mai stato ammalato, lei sa che Luigi è attento a quello che mangia, non beve alcolici, non fuma, fa tanto sport, è sempre stato vivace, allegro, sempre attivo, mai stanco”.

Ma il dottore sembrava convinto e ci mise in contatto con uno specialista  che confermò la diagnosi. Un urlo silenzioso mi attraversò il cervello, e tante domande.

         (“In viaggio con Luigi, come affrontare una metamorfosi” , Gandolfi C.,Bonati P.A., 2007)

La Sindrome di Alzheimer è un complesso di sintomi che si presentano insieme, spesso irreversibile e progressiva, è caratterizzata dalla compromissione di alcune funzioni superiori quali memoria, linguaggio, orientamento, capacità di usare oggetti, ecc. Interessa inoltre anche altre abilità funzionali secondarie come la capacità di essere autonomi nelle attività di vita quotidiana, ed anche comportamentali, come controllare le proprie reazioni e percepire in modo corretto la realtà circostante.

La demenza può essere anche precoce, manifestandosi anche in età presenile, pur presentandosi come un problema rilevante nella popolazione anziana, contrariamente a quanto si pensa, non rappresenta un destino forzato di chi invecchia.

In Italia sono circa 600mila i malati di Alzheimer, pari al 4% della popolazione over 65 (dati 2017). Stimando che nel 2050 gli ultra 65enni rappresenteranno il 34% della popolazione, le previsioni per i prossimi anni indicano un aumento dei casi che renderà il nostro paese uno dei più colpiti dalla patologia.

Il decorso naturale della malattia ha una durata media di circa 10 anni, anche se sono stati descritti casi di sopravvivenza di 15-20 anni ed inizialmente risulta difficile identificarla perché spesso mal interpretata o sottovalutata.

In Italia, nella maggior parte dei casi, la diagnosi viene comunicata ai familiari della persona malata e questo momento rappresenta un passaggio assai delicato e complesso. Spesso si decide di non comunicare l’esito diagnostico al diretto interessato per non indurre nel malato sentimenti di paura, sconforto o disperazione. Al contempo, anche il caregiver, cioè colui che si occupa quotidianamente della persona che si ammala, è soggetto agli stessi sentimenti di smarrimento e paura.

Evidenziamo innanzitutto che nella maggioranza dei casi (circa l’80%) il malato vive in famiglia ed è assistito da un sistema di supporto informale, ossia da familiari o amici. I familiari che assistono un paziente demente devono sostenere un pesante carico, sono soprattutto i disturbi comportamentali (agitazione, vagabondaggio, insonnia) ad incidere sulle risorse assistenziali dei familiari che vengono messe in crisi, portando così alla dura scelta di richiesta di istituzionalizzazione.

Il familiare che si prende cura del malato è stato frequentemente definito ‘la seconda vittima della malattia’, questa definizione mette in risalto il suo coinvolgimento nelle cure ed evidenzia il grado di stress a cui è sottoposto. I caregiver sono particolarmente a rischio di accusare sintomi quali nervosismo, stanchezza, inappetenza e insonnia. Frequentemente si rileva anche depressione dell’umore.

Mediamente tre quarti della giornata del caregiver sono assorbiti dall’assistenza e l’impegno aumenta con l’aggravarsi della malattia, si tratta di un impegno gravoso se si considera che il 30,6% dei familiari è impegnato per più di 10 ore al giorno nell’assistenza diretta. Per il 40% dei casi in cui il malato è in uno stato avanzato, il tempo libero del caregiver non supera mediamente le 4 ore a settimana.

Risulta chiaro come la graduale riorganizzazione di tempi, spazi e ruoli esponga l’intero sistema familiare a pressioni e confronti che rischiano di destabilizzarlo, tenendo anche conto che le cure possono avere costi economici considerevoli. I costi, sia come spese dirette che indirette, dovute, ad esempio, alla necessità di lasciare o ridurre la propria attività professionale per assolvere ai compiti di assistenza, possono provocare pesanti conseguenze, così come l’impatto sulla salute, sulle condizioni psicologiche e relazionali del caregiver.

Ogni malato presenta una storia di malattia individuale, con un'evoluzione propria, occorre prestare sempre molta attenzione a quello che sta accadendo, perché si può correre il rischio di sottovalutare o sopravvalutare quello che un malato di Alzheimer può ancora fare per se stesso. Sostituirsi completamente nei compiti che il malato può ancora svolgere autonomamente  può essere più semplice e comodo ma il rischio è quello di accelerare la perdita delle abilità residue, velocizzando il decorso della malattia. D’altra parte anche insistere pretendendo autonomia in attività quotidiane ormai andate perdute è controproducente, può scatenare per esempio agitazione e mancanza di collaborazione. Quello che la malattia’ ruba’ non lo restituisce più. Pertanto, risulta difficile trovare la via di mezzo tra fare troppo e troppo poco, anche perché questo punto di equilibrio è in continua evoluzione con il procedere della malattia.

Con l’avanzare della demenza diventa sempre più difficile tradurre i concetti in parole e viceversa, questo implica non solo difficoltà nell’espressione verbale ma anche nella comprensione, ambedue le situazioni provocano frustrazione ed imbarazzo nel paziente. Il linguaggio inizialmente è compromesso da anomie (non trova le parole giuste) che in seguito diventeranno sempre più frequenti, quindi il paziente inizierà a perdere il filo del discorso, infine si avranno errori nella pronuncia, per cui il linguaggio verbale sarà sempre meno comprensibile.

Importante è ricordare che per la persona affetta da Alzheimer rimane a lungo mantenuto il linguaggio non verbale, ovvero, la mimica, il tono della voce, la gestualità e tutto ciò che spesso, inconsapevolmente, trasmettiamo insieme alle parole. Perciò nella comunicazione con questi soggetti è proprio il linguaggio non verbale che esprimiamo a meritare grande attenzione, questo vale anche quando vogliamo comprendere un loro messaggio.

Molte delle sensazioni provate da chi assiste un paziente demente sono assai simili a quelle provate in occasione di un lutto. Quando la malattia progredisce la persona cambia, diviene sempre più evidente il fatto che il soggetto non è più la stessa persona. Anche dopo un eventuale ricovero i problemi non spariscono, emergeranno sentimenti di colpa per non aver fatto abbastanza e per il sollievo provato lasciandolo in mani altrui. Anche le visite al paziente potranno essere stressanti, specie se questi non è più in grado di riconoscere i propri parenti. Non è facile esprimere sentimenti tanto contrastanti come quelli che insorgono assistendo un paziente demente.

Capire le proprie emozioni è molto importante, spesso si tratta di sentimenti ambivalenti di cui è difficile essere consapevoli. Il confrontarsi con persone che possono comprendere può essere molto utile, così come può essere utile un aiuto professionale in caso di conflitti troppo intensi.

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