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Piacenza Nostra

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A cura di Cesare Zilocchi

La logica ferrea di Cesare Beccaria, troppo spesso citato a sproposito

Fa discutere l’annunciata riforma del codice penale in tema di legittima difesa perché - dicono alcuni - causerebbe l’aumento delle armi in circolazione: un obbrobrio «nella patria di Cesare Beccaria». Il libro per cui Beccaria è famoso (Dei delitti e delle pene) si compone di 46 capitoletti per sole 105 pagine. Costa poco e varrebbe la pena di citarlo meno (a sproposito) e leggerlo davvero. Se poi uno nella vita non trova il tempo di leggerlo tutto, potrebbe almeno scorrere il cap. XL “False idee di utilità”. Dice: «Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega... Le leggi che proibiscono di portar le armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti... Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non inscemano gli omicidi, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiaman leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale...».

Se poi coloro che citano prima di leggere volessero spendere altri due minuti potrebbero passare al capitolo XLI. Scrive Beccaria: «volete prevenire i delitti? Fate che le leggi siano chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. Fate che gli uomini le temano, e temano esse sole...».   

È ovvia la libertà di essere in disaccordo su tutto o in parte. Ma è parola di Cesare Beccaria, e chi lo chiama a testimonianza deve contarla giusta fino in fondo. Riguardo alla tortura le parole del Beccaria sono incise su marmo immortale. Ricordiamo soltanto il passo del capitolo XVI: «un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata». Ne consegue che sarebbe tortura anche un processo infinito, avente ovvi effetti vanificatori della pubblica protezione. Per il reo e a fortiori per il non reo.

La logica ferrea di Cesare Beccaria, troppo spesso citato a sproposito

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