Quando il vigile faceva il vigile ai Giardini Margherita
Di fronte alla scuola Alberoni sessant’anni e passa fa (come oggi) c’era il giardino “Regina Margherita”. Al tempo privo di recinzione, ma ben curato e sempre custodito da un occhiuto vigile urbano
Di fronte alla scuola Alberoni sessant’anni e passa fa (come oggi) c’era il giardino “Regina Margherita”. Al tempo privo di recinzione, ma ben curato e sempre custodito da un occhiuto vigile urbano. Sulle aiuole, minuscoli cartelli ripetevano: “la cura del verde è affidato alla educazione dei cittadini”. Educazione e vigilanza, un binomio che funzionava. Ai giardini ci giocavamo in tanti, eccome, ma non calpestavamo le aiuole, non sporcavamo i vialetti inghiaiati e niente scorribande in bici. Perché era vietato e il vigile era attento.
Salite oggi sulla Montagnola e verificate di persona lo scempio indecoroso. Qualcuno dirà: le cose sono cambiate, ci sono gli immigrati… Sì, vabbé, ma a quei tempi nella prospicente scuola Alberoni le classi erano formate da 35 e più alunni. Tanti venivano dalla Madonna della Bomba ed erano – come si diceva allora – figli di NN. E poi tutti quanti buttavamo dalla guerra. Qualcuno aveva tratti da tedesco, altri da magrebino, altri ancora da borsaro nero. E tra quelli che i genitori regolari li avevano, ben pochi erano i “pierini del dottore”. Più numerosi i figli dei disoccupati, degli ubriaconi e dei disgraziati cui faceva notte avanti sera. Eppure le aiuole erano verdi e i vialetti puliti, rispettati, così come il tempietto di Mazzini sulla montagnola. Quale “tana” di scondilepre eleggevamo sempre la lapide dirimpetto, sulla quale erano ben leggibili, incisi su marmo, i versi carducciani: “ei vide nel ciel crepuscolare/ col cuor di Gracco ed il pensier di Dante/ la terza Italia” (dico erano leggibili, perché da tempo leggibili non sono più).
Oggi, purtroppo, vediamo la quinta Italia e non ci piace. L’amministrazione Guidotti tribolò quattro anni per ridare al giardino l’elegante recinzione originaria, anche nella convinzione che fosse così più facile custodirlo. Macché, la successiva amministrazione Reggi trascurò completamente di presidiarlo. Non solo, cominciò da subito a stabilire orari di apertura protratti di molte ore oltre il tramonto. Come se di notte potesse essere frequentato da mammine col bebé, badanti col nonnino, studentesse sole e benintenzionati sofferenti d’insonnia.
Ai piedi della montagnola c’era un cartello buffo, secondo il quale sarebbe stato vietato in quel luogo lasciar fare la pupù al cane (senza raccoglierla). Se vi riusciva di leggerlo avevate già (inevitabilmente) pestato proprio quella abbondantissima roba che non doveva esserci affatto.
Negli anni ’50 le condizioni erano difficili ma il degrado ereditato dalla guerra diminuiva giorno per giorno. Il degrado non sta mai fermo: se non cala si cumula, proprio come le cacche canine intorno al cartello buffo. Poi i Vigili urbani si chiamarono Polizia municipale. E passi, ma una comandante deplorò che alcuni sicofanti volessero (a suo dire) mantenere il nome di vigili urbani affinché il corpo restasse una “polizia cadetta”. Lei veniva da Brescia e forse non sapeva che a Piacenza un tempo i Vigili urbani erano orgogliosi di essere una polizia cadetta, vale a dire “ramo collaterale di una nobile famiglia”. E le cose andavano sempre meglio. Poi cominciò la confusione dei nomi e dei ruoli. Si toccò il fondo quando la comandante delle guardie venatorie provinciali (in consonanza con l’amministrazione Squeri) per non essere da meno mandò i guardiacaccia sulle strade a far le multe agli automobilisti. Insomma, i vigili a fare i poliziotti e i guardiacaccia a fare i vigili. Alcuni lamentano che in Italia ci siano troppe polizie. C’erano anche allora, ma ognuna faceva il suo mestiere. Il vigile urbano, ad esempio, vigilava. E il degrado urbano regrediva.