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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Anni ’30, la ditta Scardi (prima in Italia) imbottigliava latte alimentare

Piacenza, com’è noto, è stata per secoli “città dei formaggi". Poi, la ditta Scardi fondò qui un modernissimo complesso a ciclo automatizzato per il trattamento igienico del latte a largo consumo alimentare, mettendo in crisi la categoria dei vecchi “latèi”

È un valzer vorticoso! Quando si inizia a trattare un argomento (ovvero quello dedicato ai pionieri dell’industria), le storie di vita si succedono una dopo l’altra, ed è difficile abbandonare “il pezzo” per tornare ad argomenti di più squisita sociologia popolaresca di cui c’è ancora tanta “carne al fuoco”. Nel precedente articolo dedicato agli autotrasportatori Leonardi, avevamo accennato che la loro primigenia attività si ampliò con il trasporto del latte pastorizzato per conto della Latteria Scardi contenuto in bidoni di alluminio con itinerario sistematico di raccolta e distribuzione fra Piacenza e Lodi fino alla Centrale del Latte di Genova.

Mentre Paolo fu il creatore dell’azienda, il fratello Andrea era impiegato proprio presso la Latteria Igienica “Scardi” della quale a questo punto dobbiamo trattare perché fu la prima ditta in Italia ad imbottigliare latte ad uso igienico- alimentare e proprio a Piacenza, nel moderno (allora) stabilimento di via XXI Aprile. Il commendatore Giuseppe, già nell’ultimo ventennio del 1800, avviò una prestigiosa a destra Giuseppe Scardi all'ingresso dello stabilimento-2azienda casearia a San Severo Pugliese che, per la peculiare qualità di alcuni formaggi tipicamente tradizionali, riuscì ad imporsi sui mercati nazionali ed esteri.

Piacenza, com’è noto, è stata per secoli “città dei formaggi”; oltre a Scardi e dei suoi provoloni e caciocavallo di cui tratteremo, va ricordato anche, sempre negli anni ’30, il caseificio di Ferdinando Auricchio che abbiamo già ricordato nella rievocazione dedicata ai Molini degli Orti.

In una delle foto che corredano l’articolo si nota all’interno del caseificio il capo- casaro Imberti (al centro con il cappello) insieme ad alcuni operai con in mostra alcuni esemplari di provoloni, lo stesso formaggio che produceva Scardi unitamente  ad altri a pasta filata e non, lavorati in circa trenta “caselli” sparsi nelle province di Piacenza, Cremona  e Brescia dove si lavoravano giornalmente oltre seicento ettolitri di latte, con una produzione media di 60 q. di formaggio al giorno; in vastissimi magazzini appositamente attrezzati, la ditta provvedeva poi alla necessaria stagionatura.

Forte dunque di un proprio già prestigioso marchio, Giuseppe Scardi impiantò, agli inizi degli anni ’30, primo in Italia, un modernissimo complesso a ciclo automatizzato per il trattamento igienico del latte a largo consumo alimentare, mettendo in crisi la categoria dei vecchi “latèi”, lattivendoli fissi ed ambulanti, oggetto di tante dicerie fin dal periodo della guerra del ’15-’18, quando il latte razionato, veniva (secondo le testimonianze del tempo) annacquato con furbastri accorgimenti. Con il suo stabilimento Scardi inflisse un colpo micidiale alla vendita spicciola del latte.

Accade negli anni ’30, un periodo contrassegnato da profonde crisi di transizione strutturale fra età artigianale e quella industriale. Con la pastorizzazione del latte a bassa temperatura (63° grado Offermans), la ditta Scardi affermò il proprio predominio nel settore, quando il latte in bottiglia si beveva fresco e nutriente perfino sui lidi sabbiosi dell’Isolotto Maggi, esattamente come poi si tracannava Coca Cola.

Le cronache descrivono la struttura com’era in quegli anni: “ampi porticati conducevano alla sala di ricevimento e pesatura del latte che, dai bidoni, veniva subito versato sopra un primo filtro a fitta maglia metallica per trattenere eventuali corpi estranei; quindi passava in un grande serbatoio dove una pompa lo inviava in una zona sopraelevata dove veniva ulteriormente passato in un filtro automatico ad stabilimento Scardi negli anni'30-2ovatta, spogliandolo di ogni minuscolo frammento.

Nel contempo erano eseguiti preventivi controlli igienici e chimici dei campioni in due differenti gabinetti di analisi. Quindi il latte passava in un pre-riscaldatore ove la temperatura veniva elevata a 63°; passava quindi in “chambreurs” (serbatoi contigui della capacità di 5 ettolitri ciascuno), dove un agitatore teneva continuamente in moto il latte.  Il prodotto veniva trattenuto per 30 minuti con una temperatura costante ad acqua calda. Dai pastorizzatori a lenta azione e lunga durata, il latte scendeva nel salone sottostante, dove passava in un refrigerante che ne abbassava la temperatura sotto 5° e da qui entrava direttamente nei recipienti di distribuzione preventivamente sterilizzati e quindi nei recipienti di carico per essere imbottigliato. Il latte così trattato arrivava al consumatore nelle migliori condizioni igieniche, con indubbio vantaggio per la salute pubblica e per l’alimentazione dei bambini. Quindi oltre al latte fresco per il consumo, la ditta Scardi si impose per la qualità dei suoi formaggi, un altro primato che caratterizzava l’agro-alimentare piacentino già negli anni ’30.

Anni ’30, la ditta Scardi (prima in Italia) imbottigliava latte alimentare

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