Bernardo Barbiellini Amidei, il “socialista in camicia nera”
Venne definito il “il fascista del dissenso”, ma anche come il “socialista in camicia nera”, perché così lo chiamarono i suoi camerati per il popolare slancio altruistico che mostrò sempre verso gli indigenti
Ad onor del vero, don Franco Molinari, che gli ha dedicato nel 1982 un’interessante ed esaustiva monografia, frutto di studi accurati su una vastissima documentazione edita ed inedita, lo definì “il fascista del dissenso”, ma lo menzionò anche come il “socialista in camicia nera”, perché così lo chiamarono i suoi camerati per il popolare slancio altruistico che mostrò sempre verso gli indigenti, ovvero il 90% della popolazione piacentina che abitava nelle borgate più povere.
Lo si può collocare, per questa sua propensione verso le classi subalterne, in quella ideologia che fu, almeno nella prima parte della sua avventura politica, anche di Benito Mussolini, ovvero quando il programma dei “sansepolcristi” nel 1919 evidenziava una serie di proposte, che richiamavano, ma solo in parte, il passato socialista del futuro Duce d’Italia, anche per la presenza così eterogenea di reduci della Grande Guerra, arditi e futuristi cui si aggiungevano nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici e repubblicani. Insomma quello che parafrasando la completa ed esaustiva analisi storiografica di Renzo De Felice, si poteva definire “fascismo movimento”, da contrapporre al “fascismo regime”.
Ma c’è un motivo più contingente che mi porta a scrivere di Barbiellini. Questo protagonista della nostra vita cittadina di tanti anni fa (1921-1929), mi è sovvenuto per il suo decisionismo, così antitetico di fronte alla lentezza con cui nella nostra città si adotta ormai qualsiasi decisione, stando ad ascoltare e riascoltare per anni, in nome di un appiattito democraticismo, “tutte le campane, campanelli compresi”. Con il risultato che non si combina mai nulla.
Ultimo in ordine di tempo quell’edificio esteticamente così brutto, un vero e proprio “pugno nell’occhio” di fronte al maestoso Palazzo Farnese, che ospitava la biglietteria dell’autostazione. Abbatterlo? Apriti cielo: come si può toccare un così illustre esempio di “architettura razionalista”, cui aggiungerei “non privo di qualche addentellato “minimalista”, “essenzialista”, quasi un “raziocinio illuminista”, con un po’ di “spiritualità romantica”… Scusate se è poco!
Ed oltre a ciò sempre lì pronta la spada di Damocle della Sovrintendenza, che blocca tutto per anni con le sue indagini. Lasciarci un bel prato verde? No! Costruire un ampio parcheggio lì vicino, con tutti gli spazi che ci sono? Anatema! Creare un suggestivo percorso verso i chiostri di S. Sisto? Giammai! Insomma: il risultato è sempre il solito. Tutto fermo, tutto immobile. Importante è discuterne, all’infinito!
Così mi è sovvenuto del Podestà Barbiellini e della chiesetta di S. Salvatore, quella chiesa parrocchiale ubicata alla confluenza con via Roma, alla fine di via Scalabrini che, a sua volta, un tempo, era conosciuta proprio con questo nome.
Ebbene questa chiesa fondata intorno all’800 d.C, successivamente venne secolarizzata, fu chiusa nel 1868 e trasformata in magazzino militare. Era in uno stato di deplorevole abbandono. Barbiellini aveva in animo di risanare radicalmente questa zona, la famigerata Porta Galera e dare un’immagine nuova della città a chi proveniva dalla via Emilia ed a più riprese aveva chiesto alla Curia il permesso di abbatterla. Classico muro di gomma, tutto piacentino.
Così dopo tante tiritere, dopo tanti “gnignòn e gnignèra” (ovvero tira e molla), con la parrocchia già trasferita da tempo in Sant’Anna, la chiesa, ormai semi-rudere, venne abbattuta in una notte da una squadra cui era stato impartito un perentorio ordine da Barbiellini, anzi forse, ma questo le cronache non lo ricordano, capitanata da lui stesso, considerato il suo perenne protagonismo di un uomo che già nelle primissime ore del mattino (d’estate come d’inverno) si beveva un caffè al Gran Bar e rientrava nella sua abitazione solo a tarda notte per ottemperare ai suoi compiti istituzionali. Il Comune completò poi lo sgombero delle macerie.
Così ora, per qualche puntata, senza alcuna piaggeria, facendo riferimento al libro di don Franco Molinari, ma anche alle cronache del tempo, ricorderemo un personaggio studiato in controluce e radiografato dai documenti, molto diverso da quello stereotipato della mitologia di regime.
Bernardo, che sarà sempre chiamato col diminutivo di “Dino” romano di nascita, trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Piacenza, dove si trasferì nel 1900, all’indomani della morte della nonna Rosa Gattorno che, rimasta prematuramente vedova, dedicò gli ultimi quarant’anni della sua vita, alla creazione delle Figlie di S. Anna con finalità assistenziali.
Lo abbiamo ricordato come “socialista in camicia nera” (così lo chiamavano i suoi camerati) per alcune costanti del suo carattere. Desiderio di giustizia, difesa dei più deboli, disinteresse e amore per la cultura, interessi scientifici spiccati, fondazione e direzione di giornali, costruzione di dighe, studio di orientalistica, curiosità ed apertura verso il mondo arabo e la sua cultura. Rispettato anche nelle “rosse borgate” popolari piacentine. La sua libertà di spirito, non rientrava nello schema fascista, per il quale egli diventò corpo estraneo, scomodo interlocutore. Per questo venne radiato dalla gestione effettiva del potere politico.
Morì il 7 novembre 1940, sui monti dell'Albania, dove si era recato come volontario; rimase gravemente ferito ad una gamba, si rinchiuse il moncone da solo utilizzando un filo telefonico e si spense poco dopo per dissanguamento. Per il coraggio dimostrato in questo frangente gli fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Di lui narreremo del suo protagonismo a Piacenza, dalla costituzione degli Arditi del Fascio, al periodo in cui fu Podestà, fino al suo defenestramento, seguendo soprattutto il filo tracciato dal libro di Franco Molinari e non solo (Giuseppe Berti, Gaetano Pantaleoni che lo conobbe da bambino, Cattivelli e Favari, Achilli e Molinaroli, tanto per citarne alcuni).