rotate-mobile
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

" Ho dedicato, anni fa, lunghi periodi di studio e di lavoro, per fissare sulla carta la Piacenza popolaresca delle vecchie borgate. Mesi e mesi chiuso in biblioteca ed altri nelle osterie, in circoli ed associazioni, per farmi narrare dagli anziani personaggi ed avvenimenti di un mondo già svanito. Nei loro racconti tutta la ritrosia, quasi pudicizia, nel parlare di una società reietta, di estrema povertà, di uomini duri, quasi scolpiti nella roccia che il tempo inclemente aveva sgretolato, ma di cui permaneva ancora il ricordo, nel loro cuore. Oggi, di fronte alla proposta di raccontare di questa Piacenza completamente svanita nell'oblio del tempo, sono stato inizialmente restio, perché mi rendo conto, passeggiando nelle vie, che nulla è rimasto, se non i fantasmi dei ricordi trasmessi o appena afferrati, nella mia fanciullezza, mentre già stavano svanendo. Ma poi ho riflettuto ricordando il giorno in cui ho condotto mio figlio in giro per quelle vecchie borgate, ritrovando il gusto di consegnargli il ricordo (se lo accetterà) di una realtà che non trovavo giusto svanisse completamente; soprattutto quei valori di probità e solidarietà in cui credeva questa gente rude e resa aspra dalla vita. Così, con nuovi e diversi strumenti di comunicazione, on line, proverò a raccontare di nuovo Piacenza com'era una volta, il suo vero humus popolare. Ma so già che mi rimarrà di tutto questo, inevitabilmente, parafrasando il poeta… ""la rimembranza acerba!"" "

La storia

Com’era un Ferragosto a Piacenza di tanti anni fa

L'isolotto Maggi era la “Rimini” di tutti i piacentini, allora nessuno andava in Trebbia. Quella lingua di sabbia bianca, pulitissima, era il mare “nostrum”

Lo so, sono colpevole. La prolungata assenza del blog sulla Piacenza popolaresca non è certo il frutto di assenteismo (che non è certo una mia prerogativa), bensì di un sempre più intenso coinvolgimento nel lavoro “istituzionale” di giornalista, insomma quello quotidiano che si sostiene soprattutto di professionalità e di consuetudine. Per scrivere del nostro passato invece serve sempre anche un po’ di estro, di serena creatività e quando gli impegni sono soverchianti, si è costretti a compiere delle scelte.

Ciò doverosamente premesso, approfitto della mini-pausa estiva per riprendere in parte ciò che ho già scritto a proposito del Ferragosto a Piacenza tanti anni fa, ma prometto che seguiranno altri articoli maggiormente inediti tra cui quelli che dedicherò ad un personaggio molto particolare, senza che nessuno possa permettersi di accusarmi di revanscismo.

Questo protagonista della nostra vita cittadina del nostro passato mi è sovvenuto per il suo decisionismo, antitetico di fronte alla lentezza con cui nella nostra città si adotta ormai qualsiasi decisione, stando ad ascoltare e riascoltare per anni, in nome di un appiattito democraticismo, “tutte le campane, campanelli compresi”.

Ma torniamo al nostro Ferragosto, quelli di tanti anni fa, con le donne vestite con larghi camicioni a mezze maniche e senza calze, i bambini a piedi scalzi e torso nudo ed in calzoncini e gli uomini rigorosamente in canottiera bianca ad affollare osterie e limitrofi giochi delle bocce.

Allora in ferie, così come le intendiamo noi, ovvero mare e montagna, non ci andava quasi nessuno; solo le famiglie più benestanti potevano permettersi la casa in campagna o sulle prime colline. La “Riccione” dei piacentini era l’Isolotto Maggi sia colonia elioterapica di tante generazioni e spiaggia in estate di tutti i piacentini.

La colonia fluviale intitolata al conte commendator Alessandro Calciati venne fondata nel 1921. Tutto era cominciato, come si evince da alcuni documenti, con una lettera inviata dal Conte al comm. De-Maldè presidente della “Stefano Bruzzi” per richiamarne l’attenzione sopra una fiorente istituzione di Cremona creata a vantaggio di fanciulli gracili, ovvero la maggioranza dei bambini a quei tempi, considerato il diffusissimo pauperismo sociale delle famiglie.

Anemie, gracilità organica, scrofolosi (adenite tubercolare), erano all’ordine del giorno ed il Conte, con sensibilità sociale, si chiedeva se non era urgente arginare il male fin dalla più tenera età. Già allora era noto che il sole (che attiva la vitamina D) era alla base della cura contro il rachitismo. Se poi si univa un po’ di attività fisica e soprattutto, una alimentazione più completa, i miglioramenti erano quasi immediati. La colonia voluta da Calciati raggiungeva un duplice scopo: morale, perché toglieva dalle strade un numero ragguardevole di fanciulli e fisico perché, all’aria aperta li rinvigoriva.

Così prese il via questa benemerita istituzione della colonia padana che a quei tempi fu ubicata nell’ex chalet della canottieri Vittorino da Feltre che si trasferì presso l’attuale sede. Al mattino i bambini si ritrovavano alla “casa dei Martiri” di piazza Cittadella, poi accompagnati dai maestri, raggiungevano l'ex chalet dove si fermavano per la colazione e dopo venivano traghettati sull'isolotto Maggi dove rimaneva per tutta la mattinata. Rientravano per il pranzo (spartano, ma almeno era garantito perché nelle case c’erano molti, troppi, concorrenti…) e di nuovo il pomeriggio sull’Isolotto. Il custode dello chalet era Schenardi con la moglie Alberta.

Per il tragitto era stato composto appositamente un inno cantato dai ragazzi, con versi di Riccardo Douglas Scotti e musica del maestro A. Fratus De Balestrini. Le prime strofe recitavano: siam figli dell’aria, siam figli dell’onda, c’è letto l’arena, guancia la sponda ecc. Sull’isolotto nuotate, ginnastica, giochi, insomma un doposcuola a tutti gli effetti, ed aveva il grande merito di aiutare tanti bambini a crescere in modo migliore.

L’isolotto ubicato tra le province di Piacenza e Lodi, a est del punto di confluenza del fiume Trebbia si era formato agli inizi del 1900 a causa delle trasformazioni del corso del fiume nei decenni precedenti e ha subito rapide evoluzioni che ne hanno modificato più volte la forma e l’ubicazione.

Prese il nome dall'avvocato Giovanni Battista Maggi, proprietario dell’isola e del terreno golenale oggi denominato “lungo Po”, posto fra lo scalo del Genio Pontieri e il ponte per Milano. Dalla costruzione del ponte stradale del 1908 fino alla 2° guerra mondiale e poi fino ai primi anni Sessanta, nel periodo estivo, divenne un frequentatissimo luogo di balneazione. Sulla spiaggia, attrezzata con cabine e chiosco per la vendita di bibite e angurie, oltre ai bagni, si effettuavano anche le sabbiature e l’elioterapia. Chi scrive, ha imparato a nuotare proprio lì.

L'accesso in origine era garantito tramite una scala in legno che scendeva direttamente dal ponte mentre, nei giorni festivi, era attivo un servizio trasporti tramite le chiatte per il trasporto della sabbia riadattate con panche per i passeggeri. Il prezzo per entrambi gli accessi era di 10 centesimi di lira.

L'isolotto era la “Rimini” di tutti i piacentini, allora nessuno andava in Trebbia. Quella lingua di sabbia bianca, pulitissima, era il mare “nostrum”. La domenica i traghetti facevano una spola ininterrotta dalle rive. C’erano le cabine, c’era "al Belu" con il suo chiosco delle bevande tenute fresche con i blocchi di ghiaccio fabbricati al macello che venivano grattati, quindi insaporiti con un po’ di sciroppo. Abbronzature, sabbiature contro i reumatismi, nuotate, giochi tra i ragazzi (con le inevitabili liti), chiasso, ma tanto divertimento a buon mercato e poi sul far della sera, per molte famiglie, c’era l’appuntamento alla trattoria “Pesce fritto” gestita da Ettore Fraschini.

Allora il pesce non mancava: stricci (lasche), alborelle, pesci gatto, cavedani, anguille erano gustati così, alla “carta”, con un po’ di pane e qualche bicchiere di vino e si concludeva in bellezza e semplicità il giorno di festa.

Altri tempi: ora la “Rimini” dei piacentini è deserta ed il lungo Po è diventato solo un ritrovo estivo domenicale per sempre più frequentati barbecue etnici. In un lontanissimo passato c’era poi il ferragosto dei “macchinoni dei fuochi” che venivano allestiti in Piazza Cavalli in occasione della Festività dell’Assunta, giorno nel quale si svolgeva nella nostra città anche una importante fiera che attirava numerosi visitatori sia dalla Provincia, che dalle città limitrofe.

Numerosi ricercatori, ed in particolare Attilio Repetti hanno svolto erudite ricerche su queste pirotecniche costruzioni raffiguranti monumenti di città del mondo, frutto delle abili mani di artigiani che li edificavano in legno e cartone; successivamente venivano bruciati, dopo giochi pirotecnici o tra spari di mortai e bombarde, tra la folla accorsa in piazza per ammirarli.

In estate, per riempire il tempo sovente libero (per mancanza di lavoro) per la gioventù perdigiorno non mancavano spunti evasivi. Anzitutto epiche nuotate nelle lanche boscose della foce del Trebbia, soprattutto quella denominata “gurinèra”: vi abbondavano macchie di salicastri i cui vincigli frondosi erano denominati in dialetto “gurèi”. C’erano poi le sassaiole ingaggiate contro quelli di Borghetto, Cantarana, S. Bartolomeo, S. Agnese. Talvolta le guerriglie si trasformavano in meno truculenti lanci di scorze d’anguria. Gli scontri frontali avevano per scenario la “Mezalòina”, terrapieno del bastione delle mura con le fetide grotte-casematte situate nei pressi di Santa Maria di Campagna, nella attuale circonvallazione interna (via Tramello).

Ed ancora: la “mulasa”, grande ammucchiata culminante in un piramidale salto in groppa o il gioco del pirùl con il bastone (primitivo baseball…) o il tirasàss, fionda rustica congegnata con l’impiego di fettuccine di pneumatici da bicicletta.

C’erano poi le “osterie sonore”, alla domenica, come gagliardi alveari perché allora c’andavano tutti, dall’artigiano, all’operaio fino al “nulla facente”; chi aveva il senso audace dello sconfinamento si spingeva a far merenda fino a S. Rocco, sulla sponda lombarda.

Per gli adulti e gli anziani che non avevano ormai più grilli per la testa, l’unica evasione era il ritrovo nelle varie osterie che gremivano fin quasi all’inverosimile la mappa borghigiana, spesso trovandosi gomito a gomito, in reciproco rispetto del gioco concorrenziale, avendo ciascun ambiente bacchico una propria clientela, per così dire, d’elezione, se non addirittura selezionata.

In estate i concertini con chitarra, fisarmonica e mandolino, si tenevano ai margini dei campi di bocce, presenti in quasi tutti i cortile dei locali e sotto le “toppie” di viti o di robinia, nella luce delle lampade ad arco o, in molti casi della lucerna a petrolio o a gas. Piacenza a Ferragosto…molti anni fa!

passerella isolotto maggi-2

isolotto Maggi-2

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Com’era un Ferragosto a Piacenza di tanti anni fa

IlPiacenza è in caricamento