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Giovedì, 25 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Correva l’anno 1917, per 12 lire venne accoltellata la merciaia Leonarda

Due delitti nella Piacenza popolaresca, in Borghetto e San’Agnese, fecero scalpore

Cantava Fabrizio de Andrè nella sua canzone “Delitto di paese”: “Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male; qualche assassinio senza pretese abbiamo anche noi in paese”. Vi si raccontava la triste storia di un vecchio, povero in canna, con ancora qualche pulsione sessuale, ucciso da una prostituta e dal suo “protettore” per una “marchetta” (in un sol bacio e una carezza l’ultima giovinezza)  non saldata. Il loro pentimento, chiosava il cantautore genovese, valse loro il paradiso dopo l’esecuzione. Con De Andrè la pura poesia trasfigurava nel testo una squallida realtà!

Anche nel nostro “paesone”, ovvero Piacenza quando era tale nel 1917, al tempo della 1° guerra mondiale, avvenne un delitto, con diverso movente e proprio in una delle zone più popolari, ovvero Borghetto rione “di giad”. Giova ricordare che erano molto probabilmente così chiamati per il colore giallognolo che caratterizzava il viso di molti suoi abitanti colpiti, più di quelli di altre borgate d’entromura, dalla pellagra durante le ricorrenti carestie alimentari; la malattia provocava una grave penuria di vitamine in chi si cibava quasi esclusivamente di polenta.

L’altro delitto, di cui tratteremo successivamente, avvenne 26 anni dopo, nel 1943, sempre in tempo di guerra, ma nella 2°mondiale, in S. Agnese e qui come constateremo, le indagini sembra fossero state insabbiate per ingerenze politiche.

Ma procediamo con ordine: il sipario della nostra tragedia si apre all’interno di una angusta stanzetta al terzo piano di un rustico caseggiato, quasi una soffitta-abituro dove viveva sola un’anziana merciaia di spicciolo esercizio domestico, Leonarda Pantaleoni, vedova, con una figlia maritata ad un certo Canevari lavorante presso una bottega di pasticceria povera in “Stra ‘lvà”.

La Leonarda, donna alta e corpulenta, malandata in salute, comprava e vendeva capi ed articoli di vario abbigliamento disusati, ricavandone esigui profitti quotidiani conteggiati in centesimi. Era tempo di guerra; c’era penuria anche di indumenti; più che merciaia, la Leonarda era una rigattiera, meglio una “patèra” nell’accezione riduttiva del termine dialettale.interno caseggiato Borghetto-2

Era la notte del 12 dicembre, vigilia di S. Lucia; la contrada era avvolta in un nebbione gelido e fitto tale, come si soleva dire, “da tagliarsi con il coltello”, quindi propizio agli agguati ed alle imprese di ordinaria ladrunconeria.

Tre giovani malfattori di abietta risma criminale, irruppero a tarda ora nel domicilio della Leonarda facendosi aprire la porta con il pretesto di acquistare qualche documento di utilità pratica essendo appunto la vigilia di S. Lucia, tradizionale notte di regali. Aperta la porta i tre furfanti con il volto coperto, armati di coltellacci di lunga lama, tipo quelli dei macellai, si avventarono sulla poveretta, puntandoglieli al cuore, alla gola ed al ventre. Le intimarono: “Niente grida o invocazioni di aiuto o sei morta”. Terrorizzata l’anziana “patèra” li implorò e scongiurò di non farle del male. Le risposero che avrebbe avuto salva la vita se avesse consegnato il denaro nascosto.

La Leonarda acconsentì, andò ad aprire il cassetto del canterano, frugò in un cantuccio sotto la biancheria personale, tirando fuori un borsellino in cui erano custodite 12 lire in grosse monete di rame, frutto dei miseri risparmi e li consegnò agli aggressori.

Costoro alla vista di quei soldi, pur allora non di infima entità, si sentirono beffeggiati presumendo che la “patèra” ritenuta persona più facoltosa di quanto fosse in realtà, nascondesse un malloppo più cospicuo. Tenendola sempre sotto la minaccia dei coltelli acuminati, le ingiunsero con grinta perentoria di andarlo a scovare in qualche pertugio dove lo avesse occultato.

La Leonarda giurò e spergiurò di avere dato loro tutto il denaro posseduto; aggiunse che di oggetti d’oro aveva solo gli orecchini, i “buclèi” che allora anche le più povere popolane portavano infilati nei lobi dell’orecchio. Ma non venne creduta: gli aguzzini tornarono a terrorizzarla con le lame aguzze, una scena orrenda che si svolse nell’alone di una lucerna a petrolio appesa all’uncino di una trave del basso soffitto, con la Leonarda che li invitava a rovistare dappertutto a dimostrazione che non aveva più nulla in casa.

La conclusione fu che la donna venne trucidata da numerose coltellate (forse una ventina) perché ad un certo punto sconvolta, avrebbe invocato aiuto gridando anche il nome di uno degli aggressori che essa avrebbe identificato strappandogli dal volto la pezza di stoffa che lo celava.

Colti dal panico di essere raggiunti dai vicini, i tre malfattori tentarono alla disperata di soffocare nel sangue le grida strazianti della poveretta dandosela poi a gambe giù per le scale, fuggendo insieme al “palo” che spiava tra il nebbione della contrada i movimenti dei rari viandanti, degli inquilini che avrebbero potuto compromettere con la loro presenza un esito impunito dell’impresa brigantesca.

Come andò a finire? Lo saprete nella prossima puntata; ogni storia vuole un po’ di suspance. Perché quell’assassinio suscitò tanto sbigottimento, sdegno e rabbia nei popolani di Borghetto? In primo luogo perché fattacci di tale ferocia non si ricordavano forse da secoli nella storia dell’antica contrada.

Tornando molto indietro nel tempo, a sottolineare quanto delitti così cruenti fossero rari allora (non certo risse o furti, sovente per la fame), si può ripescare una cronaca del Poggiali che ricordava un agguato teso il 13 marzo 1662 in Cantone Posta dei Cavalli, nei pressi dell’attuale mercato ortofrutticolo, dietro la Chiesa del Carmine.

Non si trattò infatti di una “delitto politico” quanto di un “noir” a sfondo erotico- mercenario di cui fu vittima il conte cremonese Roberto Benzoni, cortigiano ducale. Mentre in carrozza si recava a Palazzo Farnese ad ora tarda “dietro il Carmine, fu freddato a colpi di archibugio da una decina di sicari mascherati”. Solo dopo alcuni mesi si fece luce sul fatto perché tale Morando Morandi confessò di aver preso parte all’agguato per motivi di gelosia coniugale avendo rinvenuto nel cassetto del comò una manciata di brillanti di ignora provenienza.

Messa alle strette la donna confessò di averli avuti in omaggio dal cortigiano. Avendo agito per motivi di gelosia passionale, consumando un seicentesco “delitto d’onore”, il Morandi se la cavò per il rotto della cuffia perché la giustizia penale affidata alla “comprensione” del duca di Parma, lo condannò a congrua ammenda pecuniaria. Diverso esito ebbe invece il delitto (e successivo processo) della merciaia Leonarda. Ne tratteremo nella prossima parte.

popolana Borghetto, madre pittore Giacobbi-2

Correva l’anno 1917, per 12 lire venne accoltellata la merciaia Leonarda

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