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Venerdì, 19 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Faustini, nostro poeta per eccellenza

I suoi personaggi sono reali, vivono la loro vita di contadini alle prese con le vicende quotidiane ed i comuni avvenimenti della vita

La prima parte dell'approfondimento su Valente Faustini

Valente Faustini fu caro ai suoi concittadini per i suoi poemetti burleschi della Delina e delle feste agostane; nei primi il Poeta - scrisse Sperzani - ci presenta un mondo contadinesco in chiave umoristica ed assai di frequente patetica. I suoi personaggi (la Delina, Linda, la Fiorina, Gildo, Poldo ecc.) sono reali, vivono la loro vita di contadini alle prese con le vicende quotidiane ed i comuni avvenimenti della vita: matrimoni, battesimi, feste da ballo, malattie; rappresentano insomma per lui il pretesto di introdurre in chiave umoristica o satirica un mondo di contorno fatto di ubriaconi, mediconi, levatrici, maestrine di campagna, fattucchiere che operano miracolose guarigioni, sindaci, emigranti, sacerdoti. Una vera e propria galleria di ritratti che ha estrapolato dalla vita contadina e cittadina, insomma di una città tutt’unica, non circondata dalle mura.

Ma oltre al Faustini del reale, c’è, e non da meno, quello lirico dove emerge lo spirito, l’ispirazione e la sofferenza, ovvero una marcata sensibilità umana. Ha trovato spunti dappertutto: nelle epidemie, nei bambini negli asili, nelle suore di un ospizio, nella campagna come nel Po, nei torrenti, tra le piante. Fu cantore della miseria, allora diffusissima, in città ed in campagna ed egli auspicava che tutta questa umanità dolente ne fosse affrancata, anche esortando la classe dirigente del suo tempo ad intervenire: “Sӧ o noss cont e nos marches, gloria antìga dal Paès; e i castej ch’in cӧntan pӧ; l’è pӧ gloria, l’è pӧ unur, jes un brâv lavuradur!”. Parrebbe- chiosa Sperzani-  quasi un discorso sovvertitore, invece è semplice intuizione.

“Più oltre sembra che parli per bocca dei socialisti (che pure aveva dileggiato in versi quando collaborava al satirico “Gotico” settimanale edito alla fine dell’800) quasi fosse un Nino Mazzoni o un Cabrini o un Tassi, esortando i poveri in questo modo: E sӧ viâtar povra gint, che dal mond an gudì gnit, sӧ strasson a la riscossa! Tütt al mond l’è roba nossa”. Ma la sua riscossa era ben differente dalla rivoluzione, era soprattutto pietà per i miseri e della sua aspirazione a vederli più felici, in condizioni economiche da potersi sfamare completamente”.

Insomma ci ricorda maggiormente la “pietas” filantropica illuminista, quella che (ne abbiamo trattato nel nostro blog) aveva dato vita alle “cucine economiche” sparse in alcune borgate povere della città.

Molte le poesie di carattere sociale come “In dl’Uspizi di cronich”, “Nadâl da mâgar”, ovvero il Natale di guerra (1915), “Par l’uspedâl di ragass piccin” “Miseria”, come quelle in cui traspare tanta malinconia. Una mi ha colpito: “al cavall dal brumista” (ne tratteremo) fermi sulla Piazza Cavalli vecchio, magro, stanco, carico di mosche, esposto alle intemperie e alle più dure fatiche che rievoca il suo passato; un quadretto vivo, permeato da una sottile, sotterranea malinconia per il rapido passare della vita ed il mutare delle vicende.

Oppure la vecchia Piacenza, quella a cui ho dedicato alcuni libri e la figura della “Bandȇtta” (a cui riserveremo un articolo), ovvero la donna che era custode dei gabinetti pubblici ed aveva l’incarico di dare il becchime ai piccioni della piazza. Ed ancora, tanto per citare le più note: “la batusa” ed “il nos bell buttuner”.

“Insomma - concludeva Sperzani- non si può sbagliare se si afferma che Faustini, rispetto alla politica del suo tempo, fu uno spirito libero ed indipendente; socialista lo fu forse per istinto e natura; fu liberale per gratitudine al liberalismo risorgimentale. Come fu cristiano - cattolico osservante come si evince in diverse sue poesie. Egli- sottolinea Sperzani - non agitò alcun problema sociale in maniera specifica e diretta ma decine di sue poesie ce lo indicano come un uomo che ha sofferto la povertà, prima di divenire professore di latino; il suo fu un mondo doloroso, accanto a quello gaio e spensierato degli spiriti semplici. Divertentissima per esempio “Un dees matt” in cui descrive il periplo della moneta dalla cassetta delle elemosine e ritorno”.

E non possiamo non chiudere questa carrellata sul Faustini (la prossima puntata la dedicheremo ai “minori”) senza fare riferimento al poeta “marketing man” di alcuni prodotti della nostra straordinaria produzione gastronomica locale. Il salame piacentino per esempio lo celebrò nel 1919, componendo un’ode di saluto per festeggiare i reduci dal fronte. Scrisse: “Via ad Piasenza, caro mio /al salam digh pur addio”. E dopo avere ricordato che altrove “molti si danno vanto, ma di maiale c’è il nome soltanto”, conclude che il simbolo del salame piacentino è “duro e di grosso impasto, et sine fine dicentis, stomaco sano et bonis dentis”.

Oppure l’ode dedicata ai “turtej”, dove dice: “ma na spera mai c'at tucca di turtej a mzùra ad bucca! - 'L turtell ?..l'è (cme l'anvein) 'l mej piatt di Piasintein; ma l'anvein lù l'è un gran siur e 'l turtell l' è 'l so fattur, un pò'sgrezz, ma 'l pò ! astà in sla tàvla anca dal Rè, s'ienn con tùtt i sintimeint e ch'is postan sutt i deint. Ienn bon càd e ienn bon frèd col bùtter po'gnan da crèd; lavà in dl'acqua ancura i van; bon sùrbija in dal nustran, e 'l dè dop l'è ancura bella fàj saltà par la padella”.

Stupenda anche quella riservata ai “I bej pranz d’una vota”, come la poesia dedicata al cibo povero per antonomasia ovvero la polenta mangiata in mille modi. Ma sempre polenta era…. Oggi polenta e merluzzo è un piatto “sciccoso”, ma una volta a Piacenza, per sottolineare quando le cose andavano veramente male, come a proposito del fallimento della Banca Raguzzi nel ’32, si recitava il detto: “con la banca ‘d Raguss, as mangia polenta e marlus” (ovvero con la banca Raguzzi si mangia polenta e merluzzo).

Chiudiamo qui questa breve panoramica su Faustini, nostro poeta per eccellenza (considerato l’elevato numero di componimenti che lo caratterizza), più vivo che mai, almeno per chi ama (come dice Cavallari) “una piccola città cronistica, diaristica, narrativa, umoristica”, insomma quella che possiamo definire ancora popolare, ma che oggi non esiste più.

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