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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

“Giuvanèi” e la “butiga di piasér”: riparava tutto e si accontentava di poco

Erano pochi coloro che non conoscevano Giovanni Cristoforetti, “Giuvanéi”, che aveva una botteguccia di fabbro ferraio (portata avanti per sessant'anni) in vicolo San Matteo

Rimaniamo ancora un po’ in Strà’Lvà (considerato che ci siamo…), sempre supportati dalla memoria dei più anziani che ci avevano consesso le loro memorie su fatti e personaggi di questa popolare contrada. Erano pochi coloro che non conoscevano Giovanni Cristoforetti, “Giuvanéi”, con botteguccia di fabbro ferraio in vicolo San Matteo, si proprio quello del cinema Verdi (a proposito, tratteremo dei cinematografi a Piacenza). Un uomo talmente buono e disponibile con tutti, che il suo esercizio era denominato “butiga di piasér”. Questo perché a quanti ricorrevano a lui per piccoli lavori, riparazioni momentanee, quasi sempre non chiedeva nulla di compenso, contentandosi di un ringraziamento. 

Era un’epoca di diffuso pauperismo sociale e per chi aveva pochi soldi, prima dell’avvento della società dell’usa e getta, ogni oggetto era importante ed i pochi denari dovevano prima di tutto soddisfare il nutrimento di famiglie quasi sempre molto numerose. Chi transitava nel vecchio ed angusto vicolo quasi sempre deserto, non poteva non accorgersi di quell’omino smilzo, con il basco di panno scuro sempre calcato sul capo, occhiali di foggia arcaica inforcati in modo un po’ sbilenco sul volto “fumée”, intento ad aggiustare qualche arnese arrugginito, in particolare serrature, chiavi, aggeggi di vario uso domestico, o a battere il ferro incandescente sull’incudine.

Giuvanèi lavorò in quella bottega per oltre sessant’anni, un vero e proprio record sempre dichiarato con modestia, ma con orgoglio. Nessun riconoscimento (ma allora erano scarsi per i figli del popolo, operai ed artigiani, anche se provetti) per questo uomo buono e solitario; come in una fiaba ottocentesca, nessun onore al merito lavorativo. Era timido e schivo, sempre all’interno dell’antro fuligginoso vicolo san matteo-3della sua bottega, della sua lunga vita consumata in questo vicoletto stracittadino. Nel suo piccolo mondo quotidiano non luccicavano bagliori di medaglie, ma solo le faville che si sprigionavano sotto i colpi battuti sul ferro arroventato dal martello sull’incudine con mano sicura e provetta ad onta dell’età avanzata, quando molti erano già in pensione.

Un’arte questa riconosciuta anche al popolarissimo “Ciotì”, che era un provetto “battimazza” in una fucina (Coghi e Dusi) all’inizio di via S. Bartolomeo, prima che una malattia lo costringesse ad abbandonare questo mestiere. La storia di Giovanèi Cristoforetti è semplice, lineare e disadorna, alla stregua di quella di tanti altri umili ed oscuri personaggi che hanno popolato dalla fine del 1800 al 2° dopoguerra la nostra piccola comunità municipale. Uscito dall’orfanotrofio alle soglie dell’adolescenza, andò subito a bottega, proprio nella stessa il cui titolare, esperto nel mestiere del ferro battuto, onesto, povero e buono come il suo garzoncino diseredato dalla sorte, gli fu affettuoso e paterno maestro. In perfetta armonia lavoravano all’unisono, sempre in piena concordia. Poi quando il vecchio “padrone” (oggi si dice datore di lavoro, ma allora questo era il termine), morì, gli lasciò in retaggio quelle povere cose che possedeva, gli arnesi e gli utensili, insomma i rustici ferri del mestiere.

Nel 1915 sposò la diletta Maria Marignani che gli fu compagna di vita per oltre quarant’anni; Giovanèi, continuò a sudarsi il suo modesto “tozzo di pane” finché le forse glielo consentirono, assediato via via dal travolgente progresso tecnologico che mise alle corde molti altri mestieri umili, poveri e rudimentali di una volta, come quello del fabbro ferraio, la “butiga di piasèr” appunto. Per oltre quarant’anni suonò il clarinetto nella Banda cittadina; fu l’unico svago, un modo di essere qualcuno diverso insomma da come appariva nel suo minuscolo antro fumoso di vicolo S. Matteo; anche suonando nella Banda, Giovanèi ha reso altri favori nella scintillante fucina musicale della municipalità piacentina.

“Giuvanèi” e la “butiga di piasér”: riparava tutto e si accontentava di poco

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