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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

I preziosi testimoni del nostro passato: i pionieri della fotografia a Piacenza

Rendiamo omaggio ai precursori della tecnica e dell’arte (termine non utilizzato a sproposito) fotografica a Piacenza

Le nuove tecniche ed i più ingegnosi ritrovati fisico-chimici come le lastre al bromuro, consentirono il dilagare del boom delle apparecchiature. Nacque nel frattempo la foto istantanea che permetteva più scatti; iniziò così e si diffuse il gusto attivo e curioso dell’immagine da riprendere nella realtà dinamica dell’ambiente urbano e naturale, per le strade, per le piazze, gli spazi dei borghi e dei foto di Sidoli dell'inizio del '900-2sobborghi rurali, villerecci e contadini. Si era ancora però alle soglie di una “massificazione” strumentale, perché il costo di una macchina fotografica di modica entità si aggirava attorno alle 100 lire, una cifra che non molti potevano permettersi.

I fotografi professionisti accusarono il colpo del progresso e della diffusione dedicandosi con accanimento alla ritrattistica formato “gabinetto”, genere in cui non erano in grado di dedicarsi con perizia i dilettanti. Inoltre un altro evento tecnologico giocò a loro favore: attorno al 1890 entrò in scena il lampeggio al magnesio, tecnica di illuminazione che facilitava notevolmente le riprese della ritrattistica di studio in condizioni di chiarezza ed incisività non altrimenti raggiungibili.

Così le pose riprese prima con dispositivi antiquati (candele, petrolio, gas), diventarono quasi esclusiva dei professionisti per un pubblico che ambiva a conformarsi ai gusti elettivi della “belle epoque”; essi infatti diventarono imbattibili sul piano della qualità espressiva filtrata al vaglio di raffinati ritocchi e sfumature lenticolari.

Non risulta pertanto che i Morelli, i Caldi. i Gregori, i Carlotti, i Magnani, i Bonzi, i Fagnola (ad eccezione di Milani peraltro impegnato in riprese di genere prevalentemente paesistico e storico-monumentale) si siano dedicati alla cronaca della realtà sociale ed è per questo che sono rari gli scatti “popolareschi” della loro epoca; quando li troviamo, riguardano più che altro attività connesse alle industrie, ai commerci, ai trasporti, alla vita mondana, allo sport ecc; sono soprattutto di fotoamatori muniti di apparecchi da ripresa “istantanea”.

Allora chi fu il primo a Piacenza? Alcuni labili dati cronologici indicano Francesco Sidoli che, come si evince da un catalogo della “Mostra coniugi Gregori-2fotografica italiana dell’800” allestita a Venezia nel 1980, documentava che Sidoli nel 1865 risiedeva a Roma in via del Babuino prima ed in Piazza di Spagna poi. A Roma fu collaboratore privilegiato di J.Henry Parker editore americano ed editore di archeologia classica romana. Non vi è data precisa di quando si trasferì a Piacenza installandosi nello studio- mansarda di Strada Dritta dove fotografava e stampava con i procedimenti primordiali della eliografia, utilizzando cioè la luce solare cui esponeva speciale carta fotosensibile. Di lui resta un “diploma di merito” datato 1874 ed assegnato durante una rassegna provinciale. Noi oggi possiamo solo immaginare quanta pazienza richiedesse il primitivo “macchinone” davanti al quale il soggetto doveva stare perfettamente immobile anche per mezz’ora, in attesa che la carta si impressionasse con la luce.

Nel suo atelier si giungeva salendo una scala a chiocciola con quaranta gradini (la luce solare era abbondante solo ai piani più alti) in Strada Dritta dove fiorivano traffici e commerci legati ai gusti ed alle esigenze del bel mondo cittadino e quindi ad esso doveva far capo una clientela agiata e distinta come confermano i pochi ritratti formato “gabinetto” ancora reperibili e datati prima del 1870. Vi sono effigiate persone che dovevano indubbiamente appartenere ai ceti di elevate condizioni socio-culturali ed economiche. Oltre a signore dai tratti e dall’abbigliamento galante, vi si possono individuare personaggi dalle cui pose e fattezze fisiche esalava un alone di notabilità civica, “quasi da piccoli padri della Primogenita”, accanto a figure di ecclesiastici di dignitoso rango diocesano, sacerdoti dai cui volti promanava aria di decoro curiale, non dunque rozzi e scalcinati parroci di campagna e montagna di donabbondiana memoria.

Fu insomma l’età d’oro dei primi cacciatori d’immagini quella del Sidoli, il quale dai formati enormi del periodo sperimentale, era passato a quelli tascabili, da custodire nel portafoglio come le odierne carte d’identità. Sidoli era stato pure insignito di una onorificenza avendo brevettato, con il sistema Crozat, il doppio fondo fotografico.

(prosegue)

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