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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Il “mulёtta” Celestino con bottega in Strӓ ‘Lvӓ

Più che un carrettino, quello dell’antico mulёtta era un trabiccolo abbastanza macchinoso, quasi barocco. Era un marchingegno azionato da pedali che facevano muovere la ruota in pietra sovrastata da un contenitore di acqua per raffreddare i metalli

Ne abbiamo già trattato negli antichi mestieri, perché quello dell’arrotino, ovvero “al mulёtta”, era uno dei più conosciuti in ogni parte della città in quanto l’arrotino tradizionalmente girava per le strade con un tipico carrettino (o con una bicicletta modificata ed appositamente attrezzata) ad una ruota che, azionata con uno speciale congegno a pedale, tramite catena di trasmissione, faceva girare la mola.

Più che un carrettino, quello dell’antico mulёtta era un trabiccolo abbastanza macchinoso, quasi barocco. Era un marchingegno azionato da pedali che facevano muovere la ruota in pietra sovrastata da un contenitore di acqua per raffreddare i metalli. Con questo strumento che richiedeva abilità e perizia, si affilavano ogni genere di strumenti ed attrezzi da taglio, forbici e coltelli.

Passavano in tutta la città, soprattutto nelle zone più popolari, ma anche, più defilati, nelle vie del centro. In Borghetto, per esempio, ma anche in S. Agnese, si collocavano vicino ai pumpèi (fontanella), attorniati da donne e bambini; cantavano e gridavano il loro richiamo in base alla zona di provenienza.

La Piacenza popolaresca può vantare un illustre rappresentante di questo mestiere; ne abbiamo già trattato, ma per altro argomento: i folli Carnevali di una volta. Era l’arrotino Enrico Loranzi, storica e leggendaria figura del più famoso “Vigiòn” piacentino.

Celestino Barbieri, popolarissimo arrotino in Strӓ ‘Lvӓ, nato nel 1878 e scomparso tragicamente per tragico incidente già ultraottuagenario, il suo percorso itinerante lo compì nella giovinezza girando nei paesi della provincia e spostandosi anche nelle località più disparate dell’Oltrepò lombardo, trainando la rustica mola a carretto, un vero e proprio “laboratorio” ambulante divenuto già alla fine degli anni ’50 un curioso reperto del folklore artigianale.

Celestino, dopo tanti anni di vagabondaggio, decise che era ora di mettersi “a bottega” ed ancora assai arzillo, nonostante l’età e le fatiche, esercitò il suo mestiere della molatura in un’angusta stanzetta a pianterreno di un caseggiato di via Taverna. Attraverso l’inferriata della finestra che dava sulla via della popolosa contrada, la gente gli consegnava forbici e coltelli da affilare, ritirando quelli che Celestino aveva diligentemente passati al vaglio della sua mola.

Questa pratica spicciola facilitava i rapporti di Celestino con la clientela soprattutto femminile, evitandogli la briga di far entrare gente nella casa-bottega dove viveva tutto solo, senza “fiö ne cagnӧ”, come si usa dire con una colorita espressione vernacola.

Ed era già un prodigio che l’anziano mulёtta avesse potuto lavorare per sessant’anni di un’umile attività che a quei tempi poveri, socialmente emarginanti, pochi osavano qualificare con l’etichetta di dignità artigianale. Malgrado le inenarrabili peripezie, le asprezze, i disagi insiti in un mestiere “sottoproletario” , votato al vagabondaggio e che assicurava a stento ai suoi operatori in quei periodi di grandi carestie il quotidiano “pezzo di pane”, Celestino riuscì sempre a conservare una commovente arguzia pratica, alacre vivacità di spirito, una candida e festevole bontà che animava i suoi gesti minuti, quasi pudibondi, predisponendolo – come mi raccontavano alcuni anziani nella cooperativa “Lupi” quando mi facevo narrare storie e personaggi di Strӓ ‘Lvӓ, all’immediata simpatia umana di chi lo avvicinava.

Nativo di Borgonovo, era stato a bottega sotto la guida di Federico Calciati, antesignano degli arrotini nella nostra provincia nella seconda metà dell’800; poi Celestino venne a lavorare in città presso la ditta Ghezzi, ma la condizione di dipendente non fece breccia nella sua indole libertaria. Decise così di lavorare in proprio.

Correva l’anno 1898: quello terribile dei moti per il pane, delle cannonate di Bava Beccaris a Milano. Anche Piacenza non fu immune da questi sommovimenti e Celestino prendendo parte attiva a quei tumulti, si trovò coinvolto nella mischia cruenta che costò alla nostra città due caduti e diversi feriti.

Fu tratto in arresto assieme a molti suoi compagni di lotta accusati di ribellione alle forze dell’ordine. Le responsabilità “sovversive” del nostro giovane mulёtta furono accertate nel corso di un processo penale e fu condannato a nove mesi di carcere interamente scontati.

Nella sua casa-bottega di via Taverna confluiva una larga clientela provenente dalla campagna, specie nella stagione dei raccolti. Gli portavano da affilare roncole, “marrazze”, coltelli e coltellacci, mannaie ed altri attrezzi usati dai masalèi per la rituale uccisione del maiale.

Celestino mulёtta stracittadino per antonomasia, fu dunque figura primaria nel pittoresco repertorio dei mestieri poveri di una volta, una testimonianza di vita del nostro costume popolaresco.

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Il “mulёtta” Celestino con bottega in Strӓ ‘Lvӓ

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