L’illuminazione pubblica, dalla “lüma” ad olio vegetale ai lampioni a petrolio
Quando le bollette non erano ancora un problema e a Piacenza, più che cercare di spegnere l’illuminazione pubblica, si aspirava ad istallarla
Bene, anzi male! Tra guerre energetiche e bollette parossistiche, tra rigurgiti di sostenibilità ambientale e ritorno al carbone, tra rigassificatori ed auto elettriche, in attesa di comprendere, a posteriori (come sempre) il “Pantalone” di turno che ci ha guadagnato, alla faccia del povero “pitocco consumatore”, cerchiamo di risalire a quando le bollette non erano ancora un problema e semmai più che cercare di spegnere l’illuminazione pubblica, si aspirava ad istallarla.
L’utensile più antico (come si evince da un interessante contributo desunto dall’archivio Rapetti da cui ho argomentato a suo tempo tanta cronistoria della vecchia Piacenza) usato dai nostri avi per illuminare il cammino nelle strade piacentine, fu “la lüma”, un portalume rudimentale i ferro, di forma quadrata, o in ottone a foggia rotonda, dotato di un becco, sostenuto a snodo da un’asta dello stesso metallo terminante a punta preceduta da un uncino.
Questa punta serviva per infilare il lume (o filare il lume come si diceva in altre versioni dialettali) in uno dei fori del candeliere di legno, detto “bacalӓr” quando era trasportato, mentre all’uncino si infilava un dito, la notte che il lume si doveva portare in giro per le strade prive di illuminazione pubblica. Come si rileva dagli antichi “statuti” piacentini, portare il lume di notte era già d’obbligo, come in tutte le altre città medievali.
Questa notizia del Rapetti ci fa venire in mente la famosa metafora dantesca” “Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova…). Quindi anche nella Firenze dell’età dantesca si portava “il lume retro”. Da noi, attesta Rapetti, era d’obbligo portarlo come un odierno fanalino se non di coda, almeno di fianco e ciò per segnalare il transito dei pedoni alla gendarmeria civica o alla ronda notturna con lo scopo di impedire a malfattori e bricconi imprese delittuose compiute con il favore delle tenebre.
Alla proverbiale “lüma” si sostituì poi il lanternino a forma quadrata, munito di vetri ad ogni lato, con il recipiente d’olio e lo stoppino al centro. In seguito fu usata una lanterna più comoda ed accurata, ciò in ossequio alle nuove norme fissate negli ultimi “statuti”. Tali norme erano chiare fino alla pignoleria; una di esse ammoniva:
“Per le strade di notte ognuno deve portare seco il lume, ma non coperto o nei lanternini secreti nei quali si possa occultare il lume o vedere altri senza che il portatore sia veduto, mentre devono essere trasparenti da ogni parte e portati palesemente si che ogni persona li possa vedere, cioè con una catenella o cordella in mano, lasciando pendere detti lanternini verso terra.
Non si può portare altra sorta di lanternini o pignatelle, pena 25 scudi d’oro e tre tratti di corda (fustigate ndr.) se maschi e con l’ausilio di tre anni, se femmina. Non si ammettono scuse per chi ha il lume spento. Sotto un lume non possono andare più di tre persone compresa quello che lo porta”.
Tali prescrizioni di severo rigore poliziesco non pare abbiano conseguito l’esito sperato secondo l’antica prassi per cui più rigorose sono le norme di legge, più aumenta il numero di coloro che le trasgrediscono. Del resto lo stesso Dante ammoniva:” Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” Editti e decreti furono ripetutamente affissi, informava il Rapetti, dal 1300 sino a tutto il 1700.
Solo verso i primi dell’800 si pensò ad una illuminazione pubblica della città ed a quanto consta, precisamente nel 1807 quando il 1° novembre di quell’anno, sotto il sindacato del “Maire” conte Alberto Scotti, le nostre strade vennero illuminate con 294 lampioni ad olio d’oliva. La manutenzione di questa illuminazione deve essere stata abbastanza laboriosa e non molto efficace per una città che allora contava 28.500 abitanti. Tuttavia una così radicale innovazione fu apprezzata dai piacentini che si trovarono finalmente esonerati dall’andare in giro come tanti “Diogene” in cerca del prossimo…
L’illuminazione pubblica ad olio d’oliva venne però di tempo in tempo migliorata; infatti nel 1812 il Consiglio comunale stabilì che ognuno dei 300 fanali rimanesse acceso in media 1400 ore l’anno, con un consumo di 11 grammi d’olio per ogni fiamma, pari a 117 q. di combustibile, per una spesa prevista di 21.958 franchi. Risulta inoltre che il 1° gennaio del 1830 il servizio fu affidato a 15 sorveglianti direttamente dipendenti dal Commissario comunale e che 5 anni dopo il numero dei lucignoli fu portato a 760.
Finalmente ad evitare il grave inconveniente di attendere allo smoccolatura di tanti lucignoli, venne verso il 1840 in aiuto la “lucilina” come era allora chiamato il petrolio. Così trasformato il servizio diede migliori risultati per quanto presentasse sempre diversi inconvenienti.
(prosegue)