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Venerdì, 19 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

La Bandȇta, Barbiellini e gli “stuchèi” di piazza Cavalli

La “Bandȇta” era la donna custode dei gabinetti pubblici che aveva pure l’incarico di dare il becchime ai piccioni della piazza

Persino Valente Faustini l’ha citata in una poesia, “I pisson dla Piassa”, e come promesso, dopo che abbiamo dedicato due puntate alla sua produzione vernacola, parte dedicata a note figure popolaresche, trattiamo ora della “Bandȇta”, ovvero la donna custode dei gabinetti pubblici che aveva pure l’incarico di dare il becchime ai piccioni della Piazza Cavalli.

Nel centro storico certe figure non erano certo così numerose come nel resto delle borgate popolaresche, ma di alcune restò a lungo il ricordo, come nel caso della “Bandȇta”, ovvero Benedetta Rossetti, un personaggio assai familiare ai piacentini del suo tempo. Negli anni tra il 1919 ed il 1930 ebbe popolarità pari almeno a quella dell’onorevole Barbiellini. Non vogliamo essere irriverenti, paragonando il leader del fascismo piacentino con la custode dei gabinetti pubblici di Piazza Cavalli per il gusto di accostamenti grotteschi, ma semplicemente perché la figura della Bandȇta va inquadrata in quel periodo inquieto e pittoresco in cui l’onorevole Barbiellini, (la cui figura fu magistralmente tratteggiata nel libro di don Franco Molinari “Il fascista del dissenso”, ovvero un “socialista in camicia nera”), fu podestà del Comune, il primo dell’epoca fascista.

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Un’epoca “spumeggiante”, di miseria, di lotte e contrasti ideologici, ma pure qui con i suoi tipi originali e caratteristici, usciti dal popolo, ma anche dalla stessa nobiltà spiantata, perché anche Piacenza aveva i suoi “barnabotti” di goldoniana memoria, un folclore attorno al quale fiorivano aneddoti, episodi ed atteggiamenti che rinverdivano le figure comiche dell’antica commedia dell’arte.

Chi fu più giullare e mimo di “Cecchino al sòp”, figura tipica dell’epoca barbielliniana che raccontava le sue storielle di soldato della legione straniera mescolando, in una arguta miscellanea, frasi francesi al vernacolo piacentino?

E che dire di Lorenzo Calza, fantasioso ed estroverso piazzista che vendeva il “fulminatopi”, finché un giorno divenne uomo di fiducia della marchesa Dalla Rosa Zambelli, donna di squisiti sentimenti umani, di cui fu appunto lo zelante faccendiere. La marchesa era tra l’altro proprietaria (poi lo diede in gestione) del cinema "Roma", inaugurato nel 1912, ubicato in Piazza Cavalli, al primo e secondo piano successivamente occupato dal "Banco di Roma".

Poi la Bandȇta: c’era già prima di Barbiellini, quando l’umile fabbro Ferruccio Tansini, socialista, era sindaco del Comune di Piacenza, l’avvocato Cipelli Senatore del Regno, Faggi, Mazzoni e l’avvocato Bassi deputati del Parlamento.

Benedetta Rossetti era sorda come un paiolo e questo difetto fu forse all’origine di molte battute salaci e frizzi arguti tra lei e lo stuolo ininterrotto della sua clientela prevalentemente formata da vetturali di piazza, spazzini, studenti e contadini che animavano i mercati infrasettimanali.

C’era un copioso repertorio di battute e frizzi (quasi tutti censurabili) alla base dei rapporti tra la Bandòta e gli habitués dei luoghi di decenza. La battuta, il motto ironico e faceto fiorivano naturalmente, su una serie variopinta di sottintesi ed allusioni verbali e c’era sempre il buontempone, lo spirito burlesco pronto a parodiare in chiave comica o piccante, una frase o un’espressione innocente della più nota popolana di Piazza Cavalli.

Quegli equivoci d’interpretazione erano quasi all’ordine del giorno, passavano subito di bocca in bocca, dilatandosi ed enfatizzandosi nei particolari più fantasiosi e boccacceschi, formando lo spasso e le risate dei frequentatori dei caffè centrali. Certo non un esempio di eleganza verbale e di “dialogo dei massimi sistemi”, ma allora ci si divertiva veramente con poco e poi tutto finiva subito lì.

Si accedeva ai “luoghi di decenza” in due distinti settori: quello gratuito e quello a pagamento. Con pochi centesimi si acquisiva il diritto alla maggiore comodità ed ai confort riservati. Ma gli spiccioli sovente scarseggiavano nelle tasche di certa clientela nella quale era venuta consolidandosi l’abitudine di “far segnare”. Pare anzi che la bonaria donna conservasse un brogliaccio dei “bisogni soddisfatti a credito”.

Il guaio (per non dire il lato buffo di questa prassi) si verificava quando il cliente, con ostinata malafede, dichiarava di non trovarsi d’accordo sull’importo da versare alla precisa scadenza delle rate settimanali o quindicinali.

Era allora che la discussione assumeva toni di divertita curiosità in presenza degli astanti occasionali. Il debitore forzando la scena e trasferendo il battibecco in un clima di maliziosa ironia, protestava contestando alla Bandȇta l’importo dovutole. Ma alla fine il moroso doveva accondiscendere di fronte alle meticolose annotazioni segnate sul famoso brogliaccio.

Si diceva dell’on. Barbiellini. Infatti spesso si tratteneva a colloquio con la “rasdora” della toelette pubblica la quale ad alta voce, come sono soliti i sordi, gli chiedeva le novità più importanti del palazzo civico ed egli affabilmente gliele riferiva. Erano notizie già note, ma il ritornello era sempre lo stesso “Siür capitàn, cus’ ghè ‘d nov?”.

Ma la Bandȇta era nota anche tra gli studenti che durante una festa di matricole a cui lo stesso Barbiellini aveva preso parte, fu eletta “reginetta”; una burla goliardica che divertì i piacentini e che la Bandȇta accettò con spirito arguto e sorridente. Aveva un cuore gentile: un’anima candida che si celava sotto le ruvide sembianze della schietta popolana. Quante volte rifiutava la modesta mercede dei numerosi “clochard” piacentini che accedevano al suo locale dicendo “Ch’al lassa lè, ‘t pagarè un’atra vota”.

Era una, cara figura, un simbolo matriarcale radicato nella realtà del centro storico, come i cavalli del Mochi, i portici del Gotico, l’edicola dei giornali che sorgeva in quei paraggi monumentali. La sua figura aveva un ruolo di rappresentanza nell’antica scenografia del centro urbano allora animato dal frullo intenso e festoso dei piccioni che volteggiavano attorno al palazzo medievale eccitando l’illusione del moto nel dinamismo barocco dei cavalli farnesiani.

La Bandȇta aveva anche l’incarico, attribuitole dal Comune, di provvedere all’alimentazione dei piccioni di Piazza, fornendo alle bestiole il becchime quotidiano. Attraverso quell’immagine di lei che dispensava con generosa rusticità il becchime ai volatili cari al turismo storico, Piacenza rivelava al forestiero il suo volto domestico, la sua autentica affabilità popolaresca, la gentilezza originaria di una stirpe che i tempi ed i costumi hanno in gran parte cancellato.

Diverse volte al giorno usciva con la sua cassetta a nutrire i piccioni, in quel suo caratteristico atteggiamento fissato da una vecchia foto anni’20. Trascorreva così la giornata in quel mondo provinciale, un po’ burlone ed anche un po’ cinico nella sua attitudine al lazzo ed alla beffa derisoria. Un mondo che, nonostante l’avvento della dittatura e la degradazione dei sentimenti che questa causò, si conservava almeno sereno, in una dimensione umana.

La Piacenza del 1928, pur tra i sintomi imminenti della crisi economica sfociata in “quota novanta”, vedeva nelle sue strade gli impeccabili “stucchein”, i gagà del tempo, il cui sussiego non impediva loro una rituale “visita” alla Bandȇta. Ma se talvolta qualche bellimbusto tentava di sottrarsi all’obbligo del “pedaggio” fingendo magari di non avere spiccioli, allora la solerzia dell’oculata guardiana si infiammava al punto da inseguire l’interessato fin sotto l’atrio del Comune e qui, alla presenza degli astanti, apostrofarlo con epiteti che sulla sua bocca popolana assumevano toni pittorescamente demolitori della compassata esteriorità che quel furbastro ostentava.

“Bala nûd d’un stuchèin-inveiva-cal vaga a fela a cà sua”; immaginate come restava di stucco… lo “stuccato” esponente nostrano dell’età del charleston! “Ien di fa da siür” aggiungeva con aria sprezzante la buona donna la quale, sbolliti i fiumi dell’ira (ma solo professionale…) tornava tra i diletti piccioni; in mezzo a loro ritrovava la pace, la meritata evasione quasi poetica di un ingrato mestiere che comunque le ha riservato un “posticino” nella storia del costume popolaresco di un secolo fa.

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La Bandȇta, Barbiellini e gli “stuchèi” di piazza Cavalli

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