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Giovedì, 1 Giugno 2023
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Quando sul Po c’era il porto: il Rio Fodesta navigabile

Nei secoli XIII° e XIV° il Rio Fodesta era navigabile. Attraverso le sue acque i galeoni viscontei trasportavano derrate e legna in città. Nel 1447 servì all’assalto portato dai galeoni sforzeschi alle mura della città. La sua navigazione fu poi impedita dagli interramenti dell’alveo

Nei secoli XIII° e XIV° il Rio Fodesta era navigabile. Attraverso le sue acque i galeoni viscontei trasportavano derrate e legna in città. Nel 1447 servì all’assalto portato dai galeoni sforzeschi alle mura della città. La sua navigazione fu poi impedita dagli interramenti dell’alveo.

Com’era il porto piacentino dalla fine del ‘300 alla seconda metà dell’800? Era situato sulla riva emiliana ed era attrezzatissimo. Aveva una darsena ed un bergantino (corpo di guardia degli agenti daziari) ai quali, come si evince da un’interessante memoria manoscritta dello studioso Pancotti, fu “affidato il governo del fiume”. Tutta la normativa insomma concernente l’andamento dei traffici e la vigilanza perlustrativa delle acque del Po.

Già nel ‘400 i navaroli (marinai di fiume) disponevano di un proprio statuto corporativo connesso all’attività portuale. Il bergantino era ingresso ponte ferrovia-2comandato da un capitano denominato anche “luogotenente o tenente della Longa del Po”.

I doganieri del Po vivevano delle paghe detratte dai profitti daziari sui navigli. Quando al governo spagnolo subentrò quello napoleonico, quest’ultimo si appropriò dei beni della Longa, cioè degli uffici e delle attrezzature portuali, gestendoli per breve periodo, cedendoli al nuovo duca di Napoli il quale li trasferì al Comune di Piacenza a condizione che venissero divisi a metà i diritti di transito e pedaggio daziario.

Gli antichi “navaroli” eretti in paratico con statuti del duca Gian Galeazzo Visconti, beneficiarono di un oratorio portuale dedicato a S. Agnese ed abitavano nella zona bassa della città, nella zona del Fodesta dove era insediato un cantiere per la riparazione delle imbarcazioni e dei natanti. Esistendo un porto ed una darsena idonea all’attracco di grossi navigli, occorre un po’ di immaginazione per raffigurarsi i “doganieri del Po” nelle pittoresche uniformi dei tempi, perlustrare su scialuppe le acque da una sponda all’altra, abbordare battelli ed imbarcazioni, ispezionare merci e derrate, effettuare controlli e verifiche, riscuotere gabelle, infliggere sanzioni agli eventuali trasgressori.

I “navaroli” detti anche “paroni” (una parte di essi venivano reclutati tra i marinai della Serenissima) erano adibiti alle molteplici mansioni connesse all’attività del porto piacentino. Durante le periodiche piene dovevano tenersi pronti con speciali imbarcazioni ed attrezzi per recare soccorso in casi di emergenza.

Quattro “paroni” si alternavano alla custodia del ponte in chiatte che essi dovevano aprire al transito dei navigli mercantili. Erano infine adibiti al recupero dei cadaveri degli annegati, alla sistemazione periodica degli argini, alla loro manutenzione ecc.

Un contributo fondamentale alla conoscenza dell’attività fluviale è dovuto al saggio monografico del concittadino prof. Pietro Castignoli: una vera e propria miniera di notizie desunte dall’analisi specialistica degli atti concernenti le magistrature e gli uffici delle varie epoche politico- amministrative.

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In seguito al decreto napoleonico con cui furono abrogati i diritti doganali dell’amministrazione portuale, sul transito dei navigli, sui pedaggi, su ogni altra imposta daziaria, le condizioni organizzative ed economiche del porto piacentino decaddero rapidamente, con il sorgere dei nuovi mezzi a vapore, l’attività commerciale del porto si estinse definitivamente.

L’avvento della civiltà del vapore spazzò via letteralmente, come pittoreschi fantasmi di un passato splendidamente operoso, gli ultimi residui di un’attività fondata sul codice e dei balzelli anacronistici e degli esosi pedaggi d’eredità feudale.

Sappiamo comunque che nel 1803 il servizio degli stabilimenti portuali di Piacenza (darsena e bergantino) costava all’erario ducale 1057 lire, mentre nel 1820, gli anni rifiorenti della navigazione, fruttava al comune, netta da ogni spesa, l’onorata somma di 15.000 lire; un’entrata rispettabile per quei tempi di penuria erariale.ponte ferroviario-3

La crisi del glorioso porto padano era ormai incombente. Nel 1828, con il varo del battello a vapore Maria Luigia, i piacentini videro infatti decadere e tramontare un’epoca. Costruito nel cantiere piacentino da Gaetano Testa, appaltatore generale dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, su disegno e sotto la direzione dell’ing. Santi di Milano, il Maria Luigia fu varato alle 4 del pomeriggio del 22 marzo del 1828, malgrado soffiasse un forte vento, alla presenza delle autorità civili e militari, con il concorso di un’enorme folla di cittadini andati ad assistere all’inconsueto, esaltante spettacolo apprestato dalla nuova scienza dei mezzi di trasporto a vapore.

Il piroscafo entrò nei flutti salutato da numerose salve di cannone sui cui fusti garrivano le insegne stemmate degli stati ducali. Le cronache dell’epoca ci informano che il natante aveva una lunghezza di 30 metri; impiegò più di 20 giorni per raggiungere, attraverso l’Adriatico, lo Jonio, il tirreno, il porto di Ostia.

Con il sorgere dei nuovi mezzi di trasporto a vapore che segnarono un intenso quanto effimero sviluppo dei traffici mercantili via acqua, nella prima metà dell’800, il porto piacentino accusò un colpo mortale. Ma lo stesso progresso tecnologico non sfuggì alla legge del contrappasso. A sua volta anche la navigazione fluviale risentì della concorrenza dei trasporti ferroviari. Già prima dell’Unità d’Italia, era sorto sul Po il primo ponte ferroviario, sostituito, nel primo scorcio del secolo, da un altro imponente manufatto andato distrutto durante l’ultima guerra.

Con l’estendersi dell’attività portuale, la fisionomia geo- idrogeologica del Po si trasformò radicalmente. Le opere di sistemazione e fortificazione delle sponde, la costruzione di nuovi argini in seguito alle periodiche inondazioni, ne cancellarono le antiche vestigia. Accanto alle nuove attività nautiche-sportive, fiorite in età giolittiana, subentrò quella dei boscaioli, dei sabbiaioli, dei pescatori. Il Po dei galeoni, dei navigli, dei piroscafi, dei battelli a ruota, diventò pertanto una vaga immagine da stampa litografica.

Quando sul Po c’era il porto: il Rio Fodesta navigabile

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