rotate-mobile
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Storia d’amore con fuga e matrimonio a Sant’Agata nel 1802

La vicenda emerse da un documento presente nell’archivio di Stato, portato alla luce dal compianto “archeologo” di memorie piacentine Emilio Malchiodi

Non dobbiamo certo scomodare il nostro più illustre romanziere, Alessandro Manzoni, per scoprire oggi il fascino della cosiddetta storia minore. Il proliferare di pubblicazioni a carattere locale inerenti costumi, modi di vita, tradizioni, personaggi caratteristici che hanno animato il proscenio borghigiano di ogni città, ha esercitato un fascino inusitato per alcuni decenni, anche a Piacenza.

Forse ciò è stato determinato dalla constatazione che, tanti aspetti definiti secondari del nostro passato, formano invece l’humus insostituibile dal quale deriviamo e che le tribolazioni, le quotidiane lotte esistenziali, i valori del passato dei nostri avi, rappresentano un punto di riferimento importante, in un’epoca come la nostra, caratterizzata da un’innegabile assenza di ideali e da un senso della fugacità e dell’incertezza, che rende il nostro vivere così precario.

A questo riscontro non deve essere sfuggito il nostro concittadino Emilio Malchiodi, scomparso già da anni, che, con felice preveggenza, ha raccolto, in un’intera vita, un patrimonio di testimonianze minori che era per ogni studioso di storia locale, un essenziale punto di riferimento.

Malchiodi, “frugando e scartabellando”, è il caso di dirlo, tra le carte del locale Archivio di Stato, aveva riportato alla luce, un documento che se nulla di importante aggiunge alla storiografia ufficiale, presenta un innegabile sapore romantico, un fascino da romanzo d’appendice quali appassionavano i nostri bisnonni. Di questo documento, durante le mie frequentazioni a casa di Milietù, negli anni in cui stavo predisponendo la documentazione che poi sarebbe sfociata nelle due pubblicazioni dal titolo “Piacenza popolaresca delle vecchie borgate”, scritte di concerto con Gaetano Pantaleoni, Emilio Malchiodi mi mostrò fotocopia di questa lettera che ora ben si presta ad un ricordo spicciolo, ma tutto sommato, ancora affascinante.

Si tratta di una “banale” fuga per amore avvenuta in S. Agata (frazione di Villanova d’Arda) il 18 ottobre 1802 e la lettera, indirizzata dal padre di una giovane fuggiasca per passione, alle autorità locali, ha il pregio non solo di offrirci uno spaccato di vita quotidiana, un “tranche de vie” naturalistico del tempo, ma consente pure alla fantasia di spaziare in libertà sull’onda del tempo che fu.

La denuncia della scomparsa si apre con una breve descrizione di quotidianità: una mattina, con le prime foschie di un autunno ancora dorato, si alza Maddalena Riva che (come riferisce il padre Filippo), era solita iniziare le abituali incombenze familiari, accendendo il camino per la colazione, rigovernando le stoviglie della cena serale, per uscire quindi sotto il portico per dar da mangiare alle galline ed iniziare qualche rammendo.

Ma negli occhi di Maddalena, quella mattina, c’era qualcosa di diverso, come differenti erano probabilmente i suoi pensieri; in quella mattina il cuore era in tumulto, in quella giornata nella sua vita di giovane fanciulla, stavano per iniziare significativi mutamenti destinati a cambiare radicalmente la sua esistenza.

In quella mattina, dopo lunghi e minuziosi preparativi attuati con mille sotterfugi, Maddalena sarebbe fuggita con Carlo, figlio di Vincenzo Tondi, oste in Busseto, indicato nella missiva indirizzata alle autorità, come il sospettato dell’avvenuto “rapimento”. Evidentemente il giovane, inviso alla famiglia della ragazza, aveva attuato l’estrema soluzione, dopo avere attuato, con ogni probabilità, le tradizionali “procedure” del corteggiamento: sguardi insistenti nella via, le prime fugaci parole la domenica dopo la Messa, qualche serenata, un fiore fatto pervenire da un’amica.

Poi la conclusione con la consueta domanda di fidanzamento “ufficiale”, alla quale il padre aveva opposto un deciso diniego. Ai due giovani innamorati contro cui tutto sembrava congiurare, a cui un mondo di ancestrali tradizioni, negava la gioia più importante della vita, non resta che la decisione di fuggire per iniziare una nuova esistenza lontano.

Così scatta il piano scrupolosamente predisposto: un’amica compiacente scambia i messaggi tra i due innamorati e poi la fuga in una ancor tiepida mattina di autunno, verso un incerto ma radioso avvenire insieme. “Ecco che alle otto- come attestava il documento- si alza la madre, cerca la figlia, esce….ma è sparita”. Il padre disperato, dopo averla cercata presso i vicini ed i parenti, dopo avere inutilmente atteso, dopo avere vagato per tutto il circondario, si rivolge al prete che, sicuramente, ha poi redatto questa lettera alle locali autorità.

In essa, tramite l’ecclesiastico, il genitore afferma che “la figlia non ha mai fatto l’amore con nessuno” che la sua casa poteva definirsi “un romitaggio”, di “avere la testa confusa ed il cuore affranto, che le lacrime mi ricoprono gli occhi” e conclude con una citazione di Ovidio (quasi illeggibile) che ci rivela appunto che l’estensore della missiva è stato certamente un sacerdote o una persona colta cui l’uomo si era rivolto.

Infine il padre, dopo avere raccomandato (non si comprende a chi), “l’integrità della figlia”, in una postilla indica il nome di colui che, secondo lui, “è responsabile del misfatto”.

Di più non si sa. Non è stato possibile, mi aveva riferito Malchiodi, reperire altre missive che spiegassero come la vicenda si era conclusa, ma vogliamo sperare, come fossimo trepidi lettori romantici di un racconto d’appendice, che la fuga si sia conclusa bene, che i due giovani abbiano ottenuto il perdono paterno, coronando così il loro sogno d’amore. Certo che il fatto sia avvenuto a S. Agata, a due passi dove Verdi, il massimo musicista del Romanticismo, visse ed operò, non può che colpirci e farci meditare.

Storie d’altri tempi, restituiti alla memoria da una lettera ingiallita, relegata nei polverosi scaffali dell’Archivio di Stato che ci rivela un fatto di per sé curioso, di tutti i giorni, ma che allora, il 18 ottobre 1802, avrà offerto, al piccolo paese, l’occasione per settimane di pettegolezzi, fino a che le chiacchiere si saranno lentamente placate e sarà giunto l’oblio del tempo, come sempre, a far scordare tutto.

E’ un semplice ritratto di vita,un’ulteriore testimonianza di come i nostri antenati, fossero, tutto sommato, simili a noi nei sentimenti, anche se oggi i costumi di vita sono radicalmente mutati. E chissà, forse in una sera di inverno (permettetemi la scontata conclusione), Maddalena, oramai incanutita, con accanto il marito Carlo, avrà raccontato ai nipoti raccolti attorno al fuoco del camino, la storia del suo grande ed avventuroso amore.

Storia d’amore con fuga e matrimonio a Sant’Agata nel 1802

IlPiacenza è in caricamento