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Venerdì, 19 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Torrione Borghetto: Nadal cul rosa, barbiere con la bottega sottobraccio

In questo antico palcoscenico di vita attiva si aggirava Nadal cul rosa, così denominato perché girovagava di contrada in contrada coi fondelli dei pantaloni rimpannucciati di pezze, che poi si scucivano lasciando intravedere, fra i buchi delle mutande, squarci di natiche rosate

In questo quadro di squallido marasma economico, nel teatro-strada della borgata che racchiude Borghetto, S. Bartolomeo, Cantarana ed il Torrione, viveva il nostro “Nadal” ; neppure le precedenti guerre, carestie, epidemie (come la falcidiante “spagnola”) erano riuscite ad intaccare la sua pur gracile complessione fisica. Forse la sua difesa immunitaria fu, come per molti, il vino, bianco e rosso, tracannato a litri dalla mattina alla sera. Mangiava come un passerotto, “beccuzzando” dalla “scartàsa”, pane e mortadella, pane e stracchino, riducendosi via via pelle ed ossa, quasi una trasparente magrezza. Ma del resto allora tra gli abitanti delle borgate, di persone ben pasciute ce n’erano ben poche; semmai il problema per tanti, era quello della denutrizione.

Quando entrava nelle case dei sottoproletari della borgata, portava dentro un venticello di gioiosa, ilare, festevolezza. Nelle serate estive, i ragazzi che sugli spalti del Torrione prendevano il fresco assieme ai genitori, si arrampicavano sovente sulla finestra aggrappandosi alle inferiate per vedere Nadàl  dormire svampito nei fiumi del vino, sul giaciglio all’angolo dello stambugio illuminato dal chiarore fioco delle lampade del piazzale, divertendosi ad osservarlo mentre nel sonno dialogava con chissà quali fantasmi onirici, la stessa dimensione visionaria della sua realtà quotidiana. Era uno dei più stravaganti, uno spasso per tutti, ma nessuno ne deplorava o censurava gli eccessi talora plateali del suo comportamento buffonesco.

Gli anziani ricordavano che il podestà Barbiellini ogni volta che lo incontrava, gli pagava da bere perché Nadàl gli faceva scordare tensioni e dissapori che il potere comportava. Vedeva in lui una specie di Diogene, l’ideale condizione ascetica cui ispirava la sua prassi di uomo privato e pubblico, come ben ci ha fatto comprendere nel magistrale saggio a lui dedicato, lo storico don Franco Molinari. Nadàl aveva il cuore tenero come quello di un fanciullo; era capace di piangere e commuoversi  davanti alla sofferenza o al semplice corruccio di un bambino: le beffe e gli scherni dei monelli lo esilaravano. Li prendeva in braccio, li accarezzava, comprando, quando aveva un po’ di spiccioli, qualche chicca o i “balìt” nella bottega della “Micòta”, all’angolo di piazzale Torrione e Borghetto.

Aveva un senso arguto dell’ironia e della burla. Le sue mosse mimiche sono rimaste celebri fra le generazioni anziane che lo conobbero ed intrattennero. Aveva sempre pronta una barzelletta e motti di spirito da vendere ad ogni occasione, battute salaci e spontanee. Se qualche “bullo” talvolta tentava di metterlo nel sacco, veniva ricambiato con lazzi e frizzi arguti che ne smontavano la boria e la supponenza.

Parlava e scriveva correttamente l’italiano in quell’epoca di diffuso analfabetismo. Uno dei tanti episodi di cui è rimasto a lungo il ricordo è il seguente: entrando all’osteria del “Suclèi” la vigilia di Natale ed avendo alzato un po’ troppo il gomito, il proprietario lo invitò con garbo ad uscire dal locale. Con finta sorpresa gli rispose:

“Ma come, tutti desiderano Natale, tutti lo vogliono in casa e tu che ce l’hai lo cacci fuori?”. La battuta divertì l’oste il quale ridendo gli offrì mezzo litro lasciandolo cantare fra la brigata di bontemponi che gremivano il locale.

Si ignoravano le sue origini, i fatti della giovinezza. La sua biografia era condensata nel copione di un ventennio di sceneggiate. Nessuno ricordava con precisione l’anno della sua scomparsa, pare verso la prima metà degli anni ’30, all’età di oltre settant’anni. Risultava che visse gli scorci estremi della stralunata esistenza sulla Montagnola, povero in canna, giocondo e faceto com’era sempre stato. Ma in quel rione-ghetto si sentì però spaesato,sradicato come un fiore d’ortaglia trapiantato in una serra di cortile.

Si disse che era morto nel sonno, che il suo trapasso era stato lieve come quei pappi di campo che si spiumano al primo soffio di fiato o alla brezza primaverile. Succede talvolta che la cruda, banale cronaca esistenziale di taluni individui senza storia, si decanti nella dolcezza poetica annidata nell’inconscio collettivo delle piccole comunità borghigiane.

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Torrione Borghetto: Nadal cul rosa, barbiere con la bottega sottobraccio

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