Come funziona il "modello svedese", senza lockdown
Il "modello svedese" che ha scelto di non imporre alcun lockdown e di affidarsi alla responsabilità individuale e quindi collettiva per arginare la diffusione del Sars-CoV-2 è stata oggetto di dibattiti dall'inizio della pandemia. La Svezia con circa 10 milioni di abitanti ha un indice di contagio del 2,2% e oltre 6.500 decessi ai quali corrisponde un tasso di letalità del 2,8%, indicatori questi marcatamente negativi rispetto ai paesi vicini: Norvegia 0,6% e 0,9% - Danimarca 1,27 e 1,1% - Finlandia 0,4 e 1,7%.
Il Governo svedese non ha ordinato un lockdown integrale, ma dal mese di marzo sono stati vietati i raduni di oltre 50 persone e le visite alle residenze per anziani. Ha tenuto aperti gli asili nido e le scuole primarie, è stato raccomandato il lavoro a distanza, quando possibile, il distanziamento nei locali e sono stati sconsigliati gli spostamenti non indispensabili all'interno del Paese.
Mentre molti Stati adottavano e hanno nuovamente adottato una politica di "rigore", gli abitanti della Svezia hanno potuto e possono tuttora incontrarsi nei caffè o allenarsi in palestra. Sebbene negozi e ristoranti siano rimasti aperti, le analisi dei dati dei telefoni cellulari hanno dimostrato che molti svedesi sono rimasti a casa in una percentuale non molto diversa da quella registrata in
altre nazioni. Le politiche messe in atto dalla Svezia intendevano evitare di compromettere la prosecuzione della vita quotidiana e, secondo alcuni, erano in linea con la speranza di ottenere una sorta di "immunità di comunità".
A proposito delle residenze per anziani, alcune fonti indicano dati preoccupanti: il 7% dei 14mila anziani ospiti delle strutture di Stoccolma è deceduto per Covid-19. Attualmente, il numero di contagi in Svezia, analogamente a quanto avviene nel resto di Europa è di nuovo in aumento, secondo i dati della Johns Hopkins University. Questo potrebbe essere attribuito anche all'intensificarsi dell'attività di tracciamento di contatti e test, ma uno studio pubblicato ad inizio ottobre dall'Istituto reale svedese di tecnologia (KTH) sostiene che "una maggiore concentrazione del virus nelle acque reflue, mostra un aumento del virus nella popolazione residente nell'area di Stoccolma, dove vive la gran parte della popolazione del Paese, in modo del tutto indipendente dai test".
Un esempio molto rappresentativo è offerto dalle raccomandazioni in merito alle mascherine facciali, il cui uso non è consigliato neanche in ambienti pubblici "poiché, secondo le Autorità sanitarie svedesi, le prove scientifiche sull'efficacia delle mascherine per il viso nel combattere la diffusione dell'infezione non sono chiare" e inoltre, perché indossare le mascherine porta la persona a toccarsi frequentemente il viso per riposizionarle qualora si fossero abbassate, per pulire gli occhiali appannati. Tuttavia, le Autorità svedesi non negano l'esistenza di situazioni in cui le maschere per il viso possono essere utili: per esempio - specificano - quando non è possibile evitare di utilizzare i mezzi pubblici, anche se sono affollati. Secondo le Autorità sanitarie svedesi, le mascherine per il viso devono essere sempre considerate complementari ad altri consigli: restare a casa quando si hanno sintomi, lavarsi le mani regolarmente e tenersi a distanza da altre persone.
Dal punto di vista dell'assistenza medica, in tutti i Paesi avanzati la cura dei malati ha seguito protocolli molto simili, con le evidenze di efficacia o di danno delle terapie sperimentate.
In Svezia, però molti pazienti gravemente malati non sono stati ricoverati. "Una direttiva del 17 marzo rivolta agli ospedali dell'area di Stoccolma ha stabilito che i pazienti di età superiore a 80 anni o con un indice di massa corporea superiore a 40 non avrebbero dovuto essere ammessi in terapia intensiva, perché avevano meno probabilità di riprendersi. La maggior parte delle residenze sanitarie assistenziali non erano attrezzate per somministrare ossigeno, così che a molti ospiti è stata somministrata solo morfina per alleviare le loro sofferenze. Diversi giornali hanno riportato storie di persone decedute dopo essere state respinte al Pronto Soccorso perché ritenute troppo giovani per soffrire di gravi complicazioni dovute a Covid-19.
Recentemente la celebre rivista "Time" ha proposto un'analisi molto dettagliata, che è giunta a conclusioni scettiche nei confronti di quello che viene definito l'"esperimento svedese".
Questa politica che inizialmente aveva diviso l'opinione pubblica tra coloro che individuavano nel modello svedese un esempio straordinario e altri che temevano che queste misure fossero poco prudenti, oggi sembra non aver portato risultati sanitari di rilievo rispetto alle nazioni confinanti, ma comunque non peggiori a quelli europei, senza però i costi economici e culturali prodotti dal lockdown integrale. Sarà dunque interessante seguire l’evoluzione di questo “Modello svedese”.