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Venerdì, 29 Marzo 2024
Salute e medicina on line

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A cura di dottoressa Rosanna Cesena

L’alta quota e gli effetti sull’organismo umano

Prudenza per chi ha contratto il Covid o soffre di malattie cardiovascolari

La montagna è una delle mete più ambite per le vacanze. Il verde rilassante, le passeggiate ed i paesaggi rigenerano la mente e il corpo.Occorre però prestare attenzione non solo alla altitudine, ma anche alla velocità con cui si raggiunge una determinata altezza e alla permanenza a quella altezza. Il rischio infatti, non riguarda solo l’innalzamento della pressione arteriosa, ma anche alla possibile insorgenza del male di montagna (Acute Mountain Sikness, AMS), un malessere generale dovuto alla riduzione di ossigeno nell’organismo e che insorge generalmente oltre i 2.500 metri di quota.   

In alta quota (sopra i 2500 metri) si verifica una condizione di ipossia, cioè di ridotta disponibilità di ossigeno verso i tessuti e gli organi, che può indurre un rialzo pressorio, a volte significativo, anche in chi ha la pressione normale e maggiormente negli ipertesi, seppure in terapia farmacologica.

La montagna può determinare qualche sintomo già dai 1.300 metri, in quanto si riduce la pressione barometrica e diminuisce la pressione di ossigeno nell’aria. Si riducono inoltre, l’umidità e la temperatura. Se non si è in condizioni fisiche ottimali, oppure nelle persone anziane, si possono notare per i primi giorni cambiamenti importanti come insonnia, aumento della pressione arteriosa,qualche aritmia, il battito cardiaco accelerato, il fiato più corto e pesante ed in alcuni casi, cefalea. Più si sale in altitudine questi sintomi possono diventare importanti. Normalmente, l’organismo si adatta a funzionare nel nuovo ambiente, ma per le persone di una certa età o che presentano problemi di salute come, cardiopatie o patologie respiratorie pre-esistenti è necessaria una maggiore cautela. Questo è il caso anche di chi ha contratto la Covid -19, soprattutto, se ha sviluppato una malattia polmonare.

Una persona anziana che presenta problemi cardiovascolari, ad una certa altezza potrà avere la necessità di qualche giorno di adattamento. In particolare, gli ipertesi con insufficiente controllo della pressione arteriosa, potranno sperimentare un ulteriore aumento dei valori di pressione in quota. In questo caso, sarà opportuno che il proprio medico verifichi la stabilità delle condizioni cliniche e l’adeguatezza della terapia in corso.

Con l’aumentare della altitudine, la diminuita concentrazione di ossigeno nell’aria si traduce in un forte stimolo sul sistema nervoso simpatico ed un aumentato rilascio di noradrenalina a livello delle arteriole, i piccoli vasi arteriosi che regolano i valori pressori. In tutti i soggetti, variando l’altezza, si assiste ad un incremento progressivo della pressione arteriosa che aumenta con l’età ed interessa anche i pazienti ipertesi in terapia farmacologica.

La pressione parziale di ossigeno nell’aria passa da circa160 mm Hg a livello del mare a circa 110 mm Hg a 3.000 metri, portando la saturazione di O2 nel sangue da 98% al 90%.

Sul Monte Bianco (4.807 metri), la pressione parziale di ossigeno risulta essere diminuita del 50% rispetto a quella presente a livello del mare. A quote comprese tra i 5.000 e 6.000 metri, la pressione parziale di O2 scende a 80 mm Hg e sulla cima della vetta più alta del mondo, il monte Everest a 8848 metri, la ppO2 è meno di un terzo (a circa 50 mm Hg) rispetto a quella presente a livello del mare e la saturazione di ossigeno precipita al 25%.

La progressiva riduzione della pressione atmosferica e quindi della pressione parziale di ossigeno induce l’organismo a mettere in atto una serie di meccanismi compensatori per adattarsi alla conseguente ipossia tissutale (carenza dell'ossigeno a livello dei tessuti), processo che prende il nome di acclimatazione.

Una recente ricerca dell’Istituto Auxologico Italiano firmata dal professor Gianfranco Parati, insieme alla Università di Milano-Bicocca, pubblicata su International Journal of Cardiology, ha evidenziato che l’esposizione acuta intorno ai 2.000 metri porta ad un aumento della pressione sistolica e diastolica, ma anche a disturbi del sonno, soprattutto nei maschi ultra 40enni. Era già noto che l’esposizione acuta ad alta quota, sopra i 2.500 metri provochi un aumento della pressione e la comparsa di apnee del sonno centrali e di respiro periodico nel sonno, anche in soggetti in buona salute.

LE  CLASSIFICAZIONI DI QUOTA,

(Bartsch 2008)

Livello Del Mare         0 - 500 Metri  S.L.M.

Bassa Quota             500 – 2000 Metri S.L.M.

Media Quota             2000 – 3000 Metri S.L.M.

Alta Quota                3000 – 5500  Metri S.L.M.

Quota Estrema        > 5500 Metri S.L.M.

L’alta quota e gli effetti sull’organismo umano

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