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Venerdì, 29 Settembre 2023
Salute e medicina on line

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A cura di dottoressa Rosanna Cesena

L’evoluzione del Covid: il tasso di letalità dal 19,6% del 2020 allo 0,1% di giugno

La ricerca ha calcolato il Cfr (Case Fatality Rate), ovvero il numero dei decessi sulla popolazione dei casi diagnosticati e notificati

Da un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è risultato che il tasso di letalità* di Covid-19 è passato dal 19,6% di inizio pandemia allo 0,1% di giugno 2022. La ricerca ha calcolato il CFR (Case Fatality Rate), ovvero il numero dei decessi sulla popolazione dei casi diagnosticati e notificati. Gli alti valori osservati nella prima fase pandemica – chiarisce l’Istituto – sono verosimilmente anche dovuti alla ridotta capacità diagnostica. Inoltre, il tasso di letalità più alto in Italia rispetto alla media europea, è ritenuto in parte dovuto alla struttura per età della popolazione italiana che è relativamente più anziana.

Il 10 gennaio 2020, Edward Holmes, professore di Biologia e Medicina alla Università di Sidney e Fellow della Royal Society informava il mondo sulla sequenza genomica di SARS-CoV-2, identificata qualche giorno prima da Zhang Yongzhen del Centro clinico per la salute pubblica di Shanghai. Da anni denunciavamo, inascoltati la pericolosità dei salti di specie (spillover) degli agenti patogeni dagli animali, in particolare quelli selvatici, all’uomo – ha segnalato il professor Holmes. È un fenomeno antico quello delle zoonosi che risale almeno all’epoca romana. Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a numerosi eventi di questo tipo, da Ebola a Zika a Covid-19; il salto avviene nei luoghi in cui animali e l’uomo interagiscono.

Holmes, che da molti anni collabora con la Cina, in un articolo pubblicato nel 2017 aveva dimostrato come i pipistrelli fossero vettori di numerosi Coronavirus, individuati attraverso la metatranscrittomica, un esame genetico che serve ad individuare il microrganismo patogeno. Oggi di SARS-CoV-2 si conoscono tutti i dettagli dal punto di vista genetico: si tratta di un virus a RNA a polarità positiva con un rivestimento esterno (capside) ricoperto di glicoproteine chiamate Spike (S), che in inglese significa punta, che gli conferiscono il tipico aspetto a corona, da cui deriva il nome coronavirus. All’interno del virus, altre componenti: la proteina di membrana (M), l’emagglutinina-esterasi (HE), una proteina che svolge una funzione importante durante la fase di ingresso del virus nella cellula ospite, la proteina E, che con la proteina S aiuta il virus ad attaccarsi alla membrana della cellula bersaglio, l’RNA virale associato alla proteina N. Il virus SARS-CoV-2 penetra nelle cellule grazie a suoi speciali recettori Spike che permettono di riconoscere le cellule da infettare, di aderire alla loro superficie, di entrare e di riprodursi. Il recettore di elezione è l’enzima che converte l’angiotensina (ACE2), una proteina fondamentale per la regolazione della pressione arteriosa che è presente nelle cellule di numerosi tessuti del nostro organismo.

Rimangono ancora punti oscuri sulla sua origine. Non ci sono elementi sufficienti per sostenere l’ipotesi della origine naturale, come non ce ne sono per sostenere l’ipotesi della fuga da un laboratorio - E’ la tesi sostenuta dal professor Gianguglielmo Zehender, Ordinario di Igiene alla Università Statale di Milano – Quello che è certo, è che stiamo assistendo all’adattamento di un virus al suo ospite – ha precisato il professore.

Si può prevedere che emergeranno sempre più Coronavirus che potrebbero essere responsabili di nuove pandemie - dicono gli scienziati - che hanno classificato 889 virus presenti negli animali, in base alla loro pericolosità pandemica.

Nella lotta al virus SARS-CoV-2 un fattore importante è l’identificazione tempestiva delle varianti. Quando una persona ne è colpita viene contagiata da un alto numero di particelle virali che hanno piccole differenze nella propria sequenza genomica e che influenzano la capacità di SARS-CoV-2 di adattarsi e diffondersi.

SARS-CoV-2 ha subito migliaia di mutazioni da Wuhan ad oggi e questo avviene perché come tutti i virus replica molto velocemente e quindi il suo enzima replicativo (RNA polimerasi) commette degli errori nella incorporazione dei nucleotidi. Quanto più una infezione è persistente, evento frequente nei soggetti immunodepressi, tanto più le mutazioni si accumulano. Resta la possibilità che la pressione degli anticorpi nei soggetti vaccinati selezioni un mutante “escape” con sostituzione di uno o più aminoacidi nella proteina Spike che sfugga al controllo della risposta immunitaria - ha spiegato il professor Giorgio Palù, virologo e presidente Aifa.

Probabilmente, una volta aumentata l’immunità nella popolazione, il virus tenderà a diventare endemico come altri, o un virus stagionale.

La carica virale è molto alta prima che compaiano i sintomi e le tracce della sua presenza possono persistere per diverse settimane e mesi. Uno studio dell’Azienda Sanitaria IRCCS di Reggio Emilia, su oltre mille pazienti positivi sintomatici, ha dimostrato che in sei casi su dieci il virus viene eliminato dall’organismo entro 30 giorni dal primo test e all’incirca 36 giorni dalla insorgenza dei sintomi.

*Tasso di letalità: è una misura di incidenza cumulativa utilizzata in epidemiologia analitica e/o clinica che indica la proporzione tipicamente percentuale di decessi sul totale dei soggetti ammalati per una determinata malattia in un definito arco di tempo.

L’evoluzione del Covid: il tasso di letalità dal 19,6% del 2020 allo 0,1% di giugno

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