“Long Covid”, una sindrome caratterizzata da sequele a lungo termine
Persistenti dopo il periodo di convalescenza della malattia
Gli effetti della Covid-19 possono trascinarsi per mesi, potenzialmente per anni, anche in chi ha avuto una forma lieve che non ha richiesto il ricovero ospedaliero. Questa condizione, chiamata “Long Covid” è caratterizzata da sequele a lungo termine, che persistono dopo il periodo di convalescenza della malattia e può comportare una serie di sintomi come: stanchezza persistente, cefalea, mancanza di respiro, anosmia, debolezza muscolare, febbre, disfunzione cognitiva (brain fog), tachicardia, disturbi intestinali e manifestazioni cutanee. La sindrome “Long Covid” ha una somiglianza con le sindromi post - infettive che hanno seguito focolai di infezione virale di Chikungunya ed Ebola.
In generale, le donne sembrano avere il doppio delle probabilità di sviluppare questa sindrome, rispetto agli uomini, ma solo fino a circa 60 anni, quando il livello di rischio diventa simile.
Recentemente, la persistenza di sintomatologia post-Covid-19 acuto è stata dimostrata anche in età pediatrica. In particolare, uno studio di un Gruppo di ricerca del Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino e di Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma, in una coorte di 129 bambini con diagnosi confermata di Covid-19, il 27.1% dei bambini aveva almeno un sintomo a distanza di oltre 120 giorni dalla prima diagnosi e tre o più sintomi in un 20.6% dei casi. Le sintomatologie più frequenti consistevano in dolori muscolari e/o articolari, cefalea, disturbi del sonno, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica e palpitazioni. Questi sintomi sono stati descritti anche in bambini che non hanno richiesto ricovero al momento della malattia acuta o in alcuni con infezione iniziale da Sars-CoV-2 asintomatica. Sono in corso valutazioni aggiuntive su casistiche più numerose per valutare se anche in età pediatrica ci sia una differenza nella persistenza della sintomatologia tra i due sessi.
Uno studio scientifico è stato pubblicato sulla rivista “Nature” dal dottor Ziyad Al-Aly, direttore della ricerca al Veterans Affairs St.Louis Health Care System (USA.
Questa indagine ha interessato oltre 73.000 americani colpiti da Covid - 19, ma non i ricoverati. Il loro rischio di decesso da 1 a 6 mesi dopo l’infezione è risultato del 60% maggiore rispetto ai coetanei e la necessità di ricorrere a cure mediche ambulatoriali di qualsiasi tipo è risultata del 20% superiore alla popolazione generale. I long - Covid hanno accusato problemi respiratori, neurologici, gastrointestinali, cardiovascolari, disturbi del sonno, sindrome ansioso-depressiva, cefalee persistenti; altri hanno presentato un diabete o una insufficienza renale di nuova comparsa. Questi problemi, oltre ad essere di lunga durata, per molti pazienti potrebbero diventare cronici. Al momento, non si conoscono quali possano essere le cause alla base della persistenza di questi sintomi che possono diventare disabilitanti. Potrebbe essere coinvolta la risposta immunitaria e soprattutto il modo in cui il virus va ad interferire con questa, coinvolgendo gli organi di tutto il corpo. Il danno d’organo causato da una eccessiva risposta infiammatoria attivata dal virus, ma anche una reazione autoimmune potrebbero essere responsabili dei sintomi. La risposta immune, sia per fattori genetici che ormonali è più forte nella donna. Lo studio della comparsa di autoanticorpi nel siero dei pazienti e la caratterizzazione della specificità di tali autoanticorpi potrebbero essere un importante obiettivo per identificare trattamenti personalizzati e specifici anche in base al sesso del paziente.
L’interazione della proteina virale spike con i recettori cellulari (ACE2) durante l’infezione potrebbe spiegare alcuni dei sintomi persistenti del Long Covid. (es. difficoltà respiratorie).
Questi postumi sono vari e differenti tra loro ed il British National Institute for Health Research, ha proposto una classificazione precisa delle varie forme, quattro diverse sindromi: un danno permanente ad alcuni organi colpiti dalla infezione; la sindrome da post terapia intensiva; una sindrome da fatica post-virale e la persistenza di veri e propri sintomi da Covid.
A preoccupare i pazienti guariti solo sulla carta, potrebbero essere le lesioni riportate ad alcuni organi, come i polmoni, il cuore o il cervello, o le conseguenze fisiche, cognitive e psicologiche dell’aver affrontato settimane legate a macchine di supporto vitale, a cominciare da debolezza, atrofia muscolare, disturbo da stress post-traumatico. Il loro malessere potrebbe anche essere legato alla fatigue spesso associata ad infezioni virali (la conseguenza di una eccessiva risposta immunitaria), o ancora dipendere da sintomi, come le difficoltà respiratorie, che si sono magari attenuati, senza sparire del tutto.
Circa un terzo dei pazienti che necessitano di ospedalizzazione può avere delle conseguenze a lungo termine a livello polmonare, l’organo bersaglio del virus, che possono essere documentate radiologicamente ed anche con prove di funzionalità respiratoria.